L’Associazione “Original People Singing”, chiedendo aiuto ad un’altra associazione “Blues Made In Italy” nella figura dell’infaticabile “boss” Lorenz Zadro con i suoi sparring partner, Patrick Moschen e Valter Consalvi, da tre anni, nel mese di Aprile (quest’anno era Sabato 29), organizza una manifestazione “profana”, Have Mercy Blues Festival, all’interno di una “sacra”, la Festa Del Perdono di Corbetta (MI). Il luogo di tale combinazione si trova nei giardini di Villa Pagani Della Torre, trasformati per l’occasione in un luogo di festa con vari stand di artigianato e con il Festival andato in scena sotto un tendone, dove hanno preso posto stand di dischi, gadget, associazioni varie e punto ristoro.

In scala molto ridotta è come un “presepe” che vorrebbe raffigurare l’annuale appuntamento nazionale del “Blues Made In Italy” a Cerea (VR), dove musicisti, appassionati e addetti ai lavori, si ritrovano per un sentire comune e per seguire la via maestra del blues, indicata da musicisti italiani. Il programma di questa terza edizione era basato su cinque concerti, il primo dei quali, causa impegno in un’altra area del Festival, non lo abbiamo potuto seguire e ci dispiace per il chitarrista trentino, Patrick Moschen. A seguire i Poor Boys, un duo chitarra più voce Ste Barigazzi, e batteria Enrico Zanni, seguiti con interesse fin dal loro esordio e, benché giovani, hanno intrapreso la via del blues delle hills del Mississippi nella sua accezione più consona, con sonorità amplificate, ipnotiche, crude, identificabili nella riproposta di cover come “Skinny Woman (R.L. Burnside), “Shake Em’ On Down” (Fred McDowell), chiudendo con una versione di “The Weight” (The Band) sporcata di blues delle hills quanto basta.

Foto di Adriano Siberna

Il quartetto acustico della Betta Blues Society è sempre più richiesto in manifestazioni e locali, per un idioma stilistico che guarda alla tradizione neroamericana e bianca, con una dose di personalità stilistica e una vitalità interpretativa e scenica della cantante e suonatrice di ukulele, Elisabetta Maulo. Anche questa esibizione si è basata maggiormente sui pezzi autografi, tratti dal loro ultimo disco “Let Them Out”, senza tralasciare una insolita versione di “Down In Mississippi” (sempre dal suddetto disco) e una rilassante riproposizione di “Make Me A Pallet On Your Floor”. Di ritorno da una più che onorevole partecipazione alle finali dell’European Blues Challenge a Horsens in Danimarca dove sono giunti quarti, i Bayou Moonshiners, Stephanie Ghizzoni voce/rullante/kazoo e Max Lazzarin piano e voce, hanno portato sul palco del Festival, la vivacità, la magia, la spiritualità di New Orleans in un concerto coinvolgente che ha fatto ballare, cantare e meditare. I due sul palco si divertono come si conviene fra le strade, i locali e i bordelli di N.O. “Cabbage Head”, “Big Time Woman”, “I Just Can’t Get New Orleans Off My Mind”, con Lazzarin che con encomiabile abilità passa da accenni di musica classica, al primordiale jazz, al blues, al rock’n’roll, mentre Stephanie canta con trasporto, mostrando le due sue inclinazioni, profane e sacre. Proprio con quest’ultimo aspetto, con “Amazing Grace”, ha ricordato la scomparsa del noto organizzatore di Festival Svizzeri, Hannes Anrig. Via via, il pubblico partecipa con il battito di mani, “Salvation Is Free” e ascolta in silenzio una toccante versione, voce e piano, di “Just A Closer Walk With Thee”. Un concerto energizzante! La chiusura del Festival è affidata agli storici “fratelli del blues”, i Limido Brothers, Marco chitarra e Franco voce e armonica, accompagnati per l’occasione dal bassista Ruben Minuto e dal batterista Alessio Gavioli.

Foto di Adriano Siberna

I Limido sono ormai più che una certezza, hanno un rispetto l’uno per l’altro visibile e udibile anche sul palco. Uno sostiene l’altro per poi amalgamarsi in un crocevia dove la tradizione elettrica a volte rimane tale e a volte assume una veste più contemporanea, con interventi di chitarra, armonica e canto, sempre calibrati e pertinenti allo svolgimento del pezzo. Se si provava a chiudere gli occhi durante il concerto, si aveva la sensazione di sentire due “fratelli americani” provenienti da qualche città del blues, anziché dalla cittadina di Arluno! Non hanno bisogno di proporre cover, i pezzi sono tutti del loro stimabile repertorio, passato e presente, rintracciabili nei loro dischi. A campione prendiamo uno slow blues dal forte impatto “Livin’, Lovin’, Drinkin’”.

Silvano Brambilla

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