Il Porretta Soul Festival richiama frotte di pubblico da ogni dove, confermandosi, nel sincero endorsement della Ace Records di Londra, «quasi certamente il miglior evento al mondo di musica del suo genere». Persino la provenienza degli artisti è segno di rilievo globale. Oltre alle numerose, solide band italiane che hanno animato i palchi allestiti nelle strade centrali, stavolta abbiamo apprezzato con entusiasmo l’autorevole Annsofi Wigert con la scandinava Brooklyn Soul Stew, l’incredibile funk dell’ottetto giapponese Osaka Monaurail guidato da Ryo Nakata, beniamino delle scene trendy di tre continenti, e la International Soul Caravan messa in piedi da Sax Gordon, honker di Boston con famiglia toscana insieme al mago austriaco del Hammond Raphael Wressnig e al terrificante chitarrista blues Igor Prado, in trasferta dal Brasile col fratello batterista YuriGraziano Uliani forse non amerà il blues in maniera viscerale. Eppure l’inarrivabile direttore artistico del festival condivide la vecchia intuizione: per ascoltare il vero blues si deve venire proprio a Porretta Terme, dove ogni anno si celebra la Sweet Soul Music e il rhythm & blues più classico, prova che soul e blues, nel cuore degli interpreti, del pubblico e persino di qualche trombone della critica, sono due facce della stessa medaglia.

Sax Gordon – Foto di Alberto Solmi

Non solo: proprio in questa sagra appenninica che, oltre a “fare scuola” anche in senso stretto con un autorevole workshop di tecnica vocale e strumentale, ha consolidato un fiorente indotto turistico, gastronomico e, ovviamente, termale, si è tornati a dibattere dell’antica dicotomia tra musica del diavolo e canti del Signore. Mitty Collier, ora un’autorità nell’establishmentdella chiesa nera di Chicago, ricorda alla platea di quando era la star della Chess Records con “I Had A Talk With My Man”, dove il carnale “my man” sostituiva il trascendentale “God” con cui avveniva la conversazione nel canto gospel del Rev. James Cleveland. Quei tempi sono passati per sempre, ammette; non si possono servire due padroni.

David Hudson – Foto di Alberto Solmi

Eppure l’ambiente del blues che si ascolta nel chitlin circuit, riflette, è ricco di vitalità e di amore almeno quanto quello della chiesa, e in entrambi i campi il processo di affermazione richiede una lunga a paziente gavetta. In quanto a carnalità, ciascuno ha la sua ricetta. Il sornione David Hudson, credibile controfigura sonora di Al Green e Bobby Womack, è stato l’uomo-immagine della rassegna: la sua foto sui manifesti ufficiali decorava gli autobus di tutta la provincia di Bologna. Si è dichiarato coram populo alla sua compagna e l’ha baciata sul palco, col pubblico in affettuoso tripudio. I texani Bruce James e Bella Black, dal canto loro, tra un set e l’altro insieme ai Groove City si sono addirittura sposati, da queste parti; regalo di nozze, un’esibizione extra in piazza, sotto il sole del mezzodì della domenica!

Bobby Rush – Foto di Alberto Solmi

Latimore, che dell’eleganza vistosa e della calda voce rassicurante ha fatto i suoi marchi da quasi mezzo secolo, torna a proporre i successi di una vita legata alle etichette del produttore Henry Stone: dalla gloriosa “Let’s Straighten It Out”, uno dei brani più sexy e ipnotici di ogni tempo, fino alla recentissima ripresa del repertorio di Ray Charles. Bobby Rush, che con orgoglio macho da capo tribù si dichiara ottantenne (sarà vero?), dà voce alla black music da ancora più tempo. Nel suo stile “folk-funk” racchiude elementi di soul, pop, soap opera, rock e disco, ma è quanto di più blues ci si possa attendere. Sul palco rende la vita difficile agli accompagnatori con repentine virate di moode di tempi, si appropria del canzoniere di altri, da Muddy Waters a Little Walter a Tony Joe White, e propone personali ricette anti-crisi come “Tight Money”.

Charles Walker – Foto di Alberto Solmi

Un paio di ballerine reclutate dal profondo del Mississippi completano lo show; compiacenti, fascinose, le misure incontenibili dei loro lati B rappresentano un ulteriore motivo di richiamo. I promoter del vecchio continente, politically correct e ostaggi di riserve puritane, di solito preferivano lasciarle a casa, quasi fossero uno scandaloso oltraggio al pudore. La presenza, rivelatasi trionfale, del re del chitlin circuit è occasione del ritorno del bandleader e tastierista Paul Brown, che ora risiede a Nashville e di Rush ha prodotto l’ultimo “Down In Louisiana”. Lo scatenato capellone ha organizzato, con l’apporto di Sax Gordon, l’orchestra al servizio di tutti i cantanti solisti. Fa eccezione l’ottimo, stentoreo Charles Walker, nashvilliano pure lui, che invece si è accompagnato ai concittadini Dynamites dell’organista Al Gamble, altra vecchia conoscenza di Memphis e di Porretta. Quella diretta da Paul è una Allstar Band che, nelle migliori tradizioni del circuito della musica “di razza” del quale Porretta è ormai una tappa ambitissima, una sera si chiama “Heart and Soul Band” e l’altra “Memphis Rhythm and Blues Show and Revue”. Brown sul palco si agita e si diverte come un hippie attempato, e sotto una direzione impeccabile e apparentemente istintiva pretende e ottiene il meglio da tutti.

Toni Green – Foto di Alberto Solmi

La band accompagna anche Falisa Janaye, elastica e frizzante diva del nuovo soul sudista, Charlie Wood, raffinato cantautore in blues e jazz sulle linee di Mose Allison, Percy Mayfield e Georgie Fame e direttore dei collaterali corsi di musica, e le gradite puntate solistiche di Jackie Wilson, corista di pregio e bionda omonima del divo di “Higher And Higher”. E naturalmente la nuova, adorata madrina de facto della manifestazione, la dinamica, sensuale Toni Green, alla sua quarta presenza. Acuta indagatrice dell’animo umano, Toni comprende i segreti rapporti tra l’arte e la vita e si fa ascoltare non solo quando canta; ben più di un’interprete di culto, è oggetto di una autentica celebrazione di stima e affetto che, partita dall’attivo zoccolo duro degli appassionati, si è estesa all’intero popolo di Porretta che lei ha imparato a comprendere e sedurre.

Edoardo Fassio

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