Moreland & Arbuckle – Foto di Simone Bargelli

Era un lontano weekend dell’89 quando nella piccola piazza del paese Chianino si svolgeva la prima edizione del Torrita Blues Festival; oggi, ad un quarto di secolo da quei concerti, crediamo che nemmeno gli stessi organizzatori si sarebbero mai immaginati di festeggiare le nozze d’argento e di aver dato il via ad una delle manifestazioni di settore più apprezzate e seguite. In questi venticinque anni di nomi illustri ne sono passati sul palco di Torrita e anche in un periodo così critico, dove molti eventi sono addirittura scomparsi, lo staff del festival ci garantisce un programma di tutto rispetto, merito di un duro e costante lavoro durante i mesi che lo precedono, di una filosofia da tempo adottata (quella dell’ingresso a pagamento) che garantisce un margine di sicurezza al futuro dell’evento e della passione sempre viva e presente rendendo ancora possibile questo “piccolo miracolo”. Il forte attaccamento alla cultura e musica afro-americana è espresso anche in “Blues In The Garden”, rassegna nella rassegna che, arrivata al suo quarto anno, ha saputo proporre piccole realtà musicali contraddistinte da apprezzabili qualità esecutive e interpretative. Blues in The Garden è l’evento che a partire dal pomeriggio anticipa i concerti dei “big” e intrattiene il pubblico, mai così numeroso come in questo 2013, presso i giardini pubblici del paese insieme ai mercatini. Le band partecipanti sono state selezionate nei mesi autunnali attraverso il contest “Effetto Blues” e quelle risultate più meritevoli hanno avuto l’onore di aprire le tre serate del festival. Dato il successo raggiunto, il problema che si presenta agli ideatori è ora quello di come poter continuare questa rassegna in continua ascesa.  Entrando nel merito della tre giorni senese vorremmo esprimere il nostro apprezzamento per due particolari set; il trio Moreland & Arbuckle ha chiuso il festival Sabato 29 giugno in un incessante tumulto di pura energia sovrastato soltanto dalle urla eccitate di un pubblico festante. I tre ragazzi del Kansas non si sono risparmiati e hanno offerto ottanta minuti ricchi di emozioni; suoni forti, incalzanti, gli stessi che caratterizzano i lavori più recenti. Il folk della cigar box di Aaron si fonde perfettamente con il blues dell’armonica di Dustin esplodendo in un roots-rock di grande impatto anche attraverso gli ipnotici ritmi della batteria di Kendall. Set-list per la gran parte estratta dai loro ultimi due album “7 Cities” e “Just A Dream” con la caratteristica di non eseguire ballads. Di tutt’altra natura è composta lo stile di Sean Carney, esibitosi il giorno precedente venerdì 28 giugno. Va sottolineato che Sean si è trovato all’ultimo momento come front-line della serata dato l’improvviso malessere di Joey Gilmore che non gli ha permesso di potersi esibire; anche per questo Sean è risultato essere la vera sorpresa del festival, un musicista che attraverso un set di rara bellezza non si è mai risparmiato. Il suono della chitarra di Carney è intenso, pulito e coinvolgente; ogni assolo è ben dosato e mai eccessivo; il connubio con Stephane Barral al basso e Pascal Delmas alla batteria è pressoché perfetto; il repertorio ricercato e raffinato; inoltre, come se non bastasse, Sean è accompagnato da un’innata ironia e leggerezza che lo rendono artista completo accattivante. Gusto, professionalità e talento caratterizzano un concerto che entrerà nella storia del Torrita Blues. Eccellente! Sessanta minuti circa contenenti tanti classici tra cui “Messin’ With The Kid”, “You’d Better Watch Yourself” e l’immancabile “Sweet Home Chicago” sono ciò che hanno proposto Johnny Mars e la sua band. Il consumato armonicista del South Carolina è possessore di un’espressione musicale tutta sua grazie all’utilizzo di riverberi, chorus, harmonizer etc che colorano la propria harpe se l’impiego di questa tecnica viene ben dosato (come in questo caso) il risultato espresso è piacevole e d’effetto! Adeguata la band che lo supporta con l’esperto Danilo Parodi (basso) e Davide Serini (chitarra) per un concerto piacevole e godibile. Johnny dimostra anche grande sensibilità quando per ovviare alla mancanza di Joye Gilmore non si tira indietro per un’improvvisa partecipazione sul set di Sean Carney regalando una splendida versione di “Kindhearted Woman Blues” di Robert Johnson. Non avremmo mai immaginato che la delusione più grande di questo venticinquesimo Torrita arrivasse dall’artista più atteso e di spessore.

Sean Carney – Foto di Simone Bargelli

Bob “Steady Rollin” Margolin è infatti una vera e propria icona del blues per le sue innumerevoli collaborazioni e soprattutto per la sua partecipazione (sette anni) alla Muddy Waters Band con il quale ha inciso album seminali per tanti artisti di oggi. Purtroppo Bob e la sua chitarra non convincono a causa di un atteggiamento a volte troppo caricaturale, per la scelta di basare il set più su un lato scenografico che non sulla sostanza musicale, forse anche perché obbligato da una band (composta da musicisti italiani) poco incline a quel tipico Chicago Sound (che lo ha reso celebre) e più adatta ad un “atteggiamento” rock che poco si addice al sessantaquattrenne di Boston. Circostanze sbagliate, o forse una serata nata male ci piace pensare, anche perché la bella versione di “Mannish Boy” ha il sapore di grande occasione mancata…peccato, sarà per la prossima volta. Tra le band provenienti da Effetto Blues quelle che più ci hanno convinto sono state; i romagnoli Angry Gentlemen, sul palco centrale la sera di sabato 29 e i toscani Meez Pheet nell’improvvisato palco (causa maltempo) della Sala del Convento venerdì pomeriggio. L’edizione 2013 sarà anche ricordata per la partecipazione della St.Augustine Gospel Choir da Washington, DC, di giovedì 27 giugno che ha terminato la serata dedicata alla musica e il buon mangiare con l’ormai consueta cena blues; oltre 200 partecipanti che nemmeno un improvviso acquazzone ha saputo mandar via…al prossimo anno e…Grazie Torrita!

Simone Bargelli

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