Dopo aver recensito i suoi lavori discografici ed averlo intervistato, per chiudere il cerchio non potevamo fare altro che assistere ad un suo concerto. L’occasione, tra le molte del suo tour italiano, è stata quella del 5 novembre all’Una e Trentacinque Circa di Cantù, Como. Introdotto da un breve ma non interamente convincente set di Angelo “Leadbelly” Rossi (sarà probabilmente colpa nostra, che da lui ci attendiamo sempre quel qualcosa in più…), da cui però non possiamo dimenticare l’autografa “Take Me Away” tratta dall’esperienza con Nerves & Muscles ed eseguita con quel tocco alla Robert Belfour che pochi possiedono, e l’omaggio toccante ad Hank Williams, Reed Turchi, accompagnato per l’occasione alla batteria da Gianluca Gianasso dei Dead Shrimp, ci ha condotti a viva forza lungo i sentieri, ormai intasati, del blues delle colline del Mississippi. Cantante ancora in via di formazione (molto meglio infatti in questo caso la seconda parte dello show, quando la voce ha saputo entrare in sintonia con la musica acquistando la profondità e le variazioni necessarie), e chitarrista slide energizzante, ha guadagnato l’interesse del pubblico giocando su temi veloci ed adrenalinici che non lasciavano spazio a troppe divagazioni sul tema. Ma possiamo anche capirlo, in quanto la gestione di un duo (che crediamo inusuale per lui) non è cosa così facile (la voglia di strafare e dietro l’angolo), e non tutti possiedono le doti che Luther & Cody Dickinson misero in mostra con disinvoltura durante il loro breve “intermezzo italiano” di due anni fa. Eppure, dietro la strumentalità esagerata di Reed, dedicata forse più che altro ai fan del virtuosismo senza fine, continuavamo ad essere convinti ci fosse altro. Ed effettivamente così fu. Ad un certo punto, sarà un caso sicuramente, Turchi ha imbracciato una cigar box ricavata da un bidone della benzina ed ha riempito l’aria con il suo arrangiamento gospel del traditional “Don’t Let The Devil Ride”. E da questo momento tutto il concerto ha cambiato colore. Abbiamo ascoltato medley diversi, tra cui quello ferroviario e trascinante con la fedele Gibson dedicato a Fred McDowell con “John Henry” e “Back, Back Train”, e quello in cui la sua esuberanza giovanile ha lasciato il posto alla sensibilità personale rimasta sino ad allora in ombra. Quest’ultimo infatti, dominato dal suono della cigar box “ufficiale”, si è rivelato una favola, articolato come è stato tra una tiratissima “Mississippi Boll Weevil”, le emozionanti “Keep Your Lamp Trimmed And Burning”, “When I Lay My Burden Down” e “Glory Glory Hallelujah” e l’elettrizzante “I Can’t Be Satsfied”. Insomma, lo spirito, nonostante le apparenze, abitava in lui.

Marino Grandi

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