Maria Muldaur: One Hour Mama – The Blues of Victoria Spivey

Le strade di Maria Muldaur e Victoria Spivey si sono incrociate quando l’ancora giovanissima Maria D’Amato iniziava a farsi conoscere in quel magnifico palcoscenico che era il Greenwich Village che eleggeva New York come la capitale della folk music di quei primissimi anni Sessanta.

La musica, in gran parte originaria del Sud rurale degli States, era in quegli anni fonte di grande ispirazione per gli artisti bianchi del Nord ed erano i tantissimi locali, come il Gerde’s Folk City nel West Village di Manhattan, che ospitavano le loro esibizioni e dove una delle regine del blues, Victoria Spivey appunto, ebbe l’occasione di ascoltare questa giovanissima e timida cantante.

La sua voce colpì immediatamente “Queen Victoria” che la consigliò alla Even Dozen Jug Band una novella jug band che aveva appena scritturato per la sua etichetta, la Spivey Records, regalando a Maria Muldaur i fondamentali consigli su come presentarsi al pubblico.

Era l’inizio di una bella e luminosa carriera per la giovane cantante e polistrumentista che la vide successivamente diventare parte attiva della Jim Kweskin & The Jug Band (dove conobbe Geoff Muldaur che divenne suo marito), prima di intraprendere una lunga carriera solista, costellata di sempre ottimi album di successo.

Ma c’era un debito da saldare, appunto con Victoria Spivey, ed ecco questo nuovo e sentito omaggio ad una delle più influenti voci femminili del blues da metà degli anni Venti e per oltre quarant’anni.

One Hour Mama – The Blues of Victoria Spivey” è un album che ci riporta a quegli anni dove il blues non aveva ancora incontrato l’elettricità e dove i 12 brani presenti cercano di farci rivivere quelle atmosfere che avevano indubbiamente ispirato la giovane Maria, facendole capire che la strada del blues sarebbe stata quella da percorrere.

Si parte con “My Handy Man”, brano di Andy Razaf, che vede accompagnare la sempre bella voce della Muldaur dalla James Dapogny’s Chicago Band, la cui sezione fiatistica dialoga a meraviglia con la chitarra di Rob Bourassa.

In “What Makes You Act Like That?” è il grande Elvin Bishop che duetta con Maria Muldaur in questo blues di Lonnie Johnson assieme ad una formazione comprendente Johnny Bones (sax), Danny Caron (guitar), Steve Height (bass), Neil Fontano e David K. Matthews (piano) e Beaumont Beaullieau (drums), che formeranno l’ossatura di ben 7 brani sui 12 totali, come le seguenti “Don’t Love Me No Married Man” (con Chris Burns al piano), “Dreaming On You”, tutti dal repertorio della Spivey.

Organ Grinder Blues” di Clarence Williams ci viene proposta in collaborazione con la Tuba Skinny, street band di New Orleans che ritroveremo anche in “Funny Feathers”, dopo le ottime versioni di “No, Papa, No!” e della title track che ci arriva dai quaderni di musica di Porter Grainger, pianista e songwriter che accompagnava anche Victoria Spivey oltre che Bessie Smith.

La voce inconfondibile ed inossidabile di Taj Mahal dialoga con la protagonista in “Gotta Have What It Takes”, incisa dalla Spivey per la prima volta nel giugno del 1930.

Any-Kind-A-Man” è un brano di Hattie McDaniel, la prima donna di colore a cantare alla radio negli USA, nonché la celebre Mamie di Via col vento, che la Spivey aveva nel proprio repertorio.

“One Hour Mama – The Blues of Victoria Spivey” si chiude con “Down Hill Pull” e con “T-B Blues”, quest’ultima (così come la title track) accompagnata dalla James Dapogny’s Chicago Band e che chiude in modo impeccabile questo album registrato in più riprese tra gli studi di Ann Arbor (Michigan), New Orleans (Louisiana) e Berkley (California) e uscito per la Nola Blue Records, etichetta fondata e gestita da Sallie Bengtson a Lancaster in Pennsylvania.

Antonio Boschi

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