La singolare traiettoria della Stax continua per fortuna ad essere ricordata e rinverdita da tante iniziative, non soltanto dal punto di vista discografico, dove pure, in anni recenti, la Craft / Universal, detentrice del catalogo, ha pubblicato splendidi cofanetti come l’integrale di “WattStax” e “The Stax Songwriter Demos : Written In Their Soul”. Pensiamo anche al bel documentario suddiviso in quattro parti intitolato “Stax-Soulsville USA”, prodotto e diretto da Jamila Wignot e andato in onda su HBO in America nel 2024, che ricostruisce l’epopea dell’etichetta memphisiana.
Un altro pezzo di un ipotetico mosaico viene edito sotto forma di questo doppio CD o LP, Stax Revue Live In ’65 comprendente brani dal vivo ricavati da concerti a Memphis e Los Angeles nel 1965. Si tratta di materiale in parte confluito in CD pubblicati soltanto ad inizio anni Novanta dalla Ace inglese e subito dopo anche dal rivitalizzato marchio originario coi titoli, rispettivamente, di “Stax Revue Live At The 5/4 Ballroom” e “Funky Broadway”. Questa edizione definitiva si compone di ventuno brani, otto dei quali inediti, quasi equamente suddivisi tra le esibizioni californiane e quelle al Club Paradise.
Siamo nel 1965, un anno denso di avvenimenti, potremmo ricordare l’assassinio di Malcolm X, le marce da Selma a Montgomery o la china tragica della guerra in Vietnam. Musicalmente, tra tante cose è anche l’estate della svolta elettrica di Dylan e in settembre esce su Stax/Volt “Otis Blue”, uno dei più bei dischi di Redding, punta di diamante dell’etichetta.
In questa revue Redding non c’è ma gli artisti coinvolti sono in grado di portare in scena uno spettacolo spumeggiante, vivido e per nulla intaccato dai sessant’anni trascorsi da allora. Sono quasi tutti artisti giovani, emergenti che stanno iniziando a cavalcare un’onda destinata ad avere un impatto ben al di là della loro epoca.
Tra i musicisti cardine del suono Stax degli inizi ci sono senza dubbio Booker T & The MG’s, che aprono il set al club Paradise di Memphis con una prestazione molto convincente, mettendo in fila l’iconica “Green Onions”, il loro singolo di quell’anno, “Boot-Leg” (curiosamente in studio non c’era Booker all’organo, bensì Isaac Hayes), una trascinante “You Can’t Sit Down” e persino un momento più lento, una rilettura di “Summertime”. Dei veri fuoriclasse, tra l’organo di Booker, la chitarra di Cropper e l’architrave fornito dalla sezione ritmica (che batterista Al Jackson!).
Troviamo, a seguire, The Astors, un quartetto che ha pubblicato solo una manciata di singoli su Stax, imperniato sulle armonie vocali, ne danno esempio con questa morbida “What Can It Be”. E poi c’è il bravo David Porter, coinvolto nella etichetta in varie vesti, nonché celebre coautore con Hayes di hit per tanti, soprattutto Sam & Dave. Ma era anche un credibile soul singer, che, a partire dal ’70, pubblicherà con la sotto-etichetta Enterprise alcuni Lp solisti.
Qui interpreta il suo singolo “Can’t You See When I Want To”, la ballad “Just Be True”, hit dell’anno precedente per Gene Chandler (scritta da Curtis Mayfield) e la jamesbrowniana “Out Of Sight”. Merita una menzione anche Wendy Rene (vero nome Mary Frierson), allora una esuberante teenager, che chiude il primo disco con una danzereccia, divertente “Bar-B-Q”. Il ll lascito di una carriera troppo breve è racchiuso in una bella raccolta edita qualche anno addietro da Light In The Attic, “After Laughter Comes Tears”.
I concerti a Los Angeles, un mercato importante ma all’epoca ancora nuovo per la Stax, avvengono il 7 e l’8 agosto, incastonati tra altri due fatti significativi, la promulgazione da parte del presidente Lyndon Johnson del Voting Rights Act, avvenuta il 6 agosto e la rivolta di Watts, quartiere afroamericano della città, repressa con violenza e devastazione (34 morti e migliaia di feriti).
Di sicuro gli artisti erano motivati e carichi per esibirsi al 5/4 Ballroom, un posto dove erano di casa Ray Charles o Little Richard, considerata anche la presenza come MC del noto DJ locale Nathaniel “Magnificent” Montague col suo tipico intercalare “burn, baby, burn”, che qualche giorno, a Watts, acquisirà tutta un’altra connotazione.
Basta far partire il disco e dall’iniziale “Last Night”, dei Mar-Keys ci si trova avvolti da una musica ruvida e calda, quasi come si facesse parte del pubblico di quelle serate. Si passa da un ottimo William Bell con due perle del suo repertorio, l’intensità di “You Don’t Miss Your Water” e “Any Other Way” ad una frizzante Carla Thomas con un bel tempo medio, “Every Ounce Of Strength” (scritta dal duo Porter/Hayes con Cropper). Ma dovremmo citare anche la ballata “Don’t Have To Shop Around”, probabilmente il brano di maggior successo dei Mad-Lads di John Gary Williams.
Di rilievo la presenza di un artista che non fu mai sotto contratto per Stax, anche se registrò negli studi di Memphis tre fruttuose session proprio nel 1965 edite da Atlantic. Parliamo di Wilson Pickett qui in una torrenziale “In The Midnight Hour”, listata come inedita anche se sembra essere la stessa versione inclusa, a suo tempo, nel doppio CD antologico “A Man And A Half” (Rhino-1992).
Gran finale con Rufus Thomas, showman impareggiabile, dapprima con “Walking The Dog” e poi con una infinita “The Dog” (non compresa nella versione in doppio vinile, che omette anche un brano di Porter) di quasi venti minuti, in cui tiene il pubblico in mano con continue ripartenze. Un documento sonoro prezioso di un’epoca irripetibile.
Matteo Bossi










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