jim brewer

Un disco come questo potrebbe essere una delle ragioni che non lasciano alcun dubbio riguardo alla musica di cui diciamo in queste pagine, di “blues …” – appunto –  “… e dintorni” -. Siamo sicuri infatti che, quando attaccano le chitarre elettriche o dei campionamenti, o i musicisti sono bianchi e nemmeno americani, per giunta: beh, in fondo in fondo, qualcuno che si domandi ancora se si tratti di blues (o dintorni) c’è sempre. Ma con registrazioni come queste, il dubbio non sussiste e andiamo all’origine della storia.

Un tuffo in quel contesto di ricerca che contribuì alla riscoperta del blues nelle radici musicali del canzoniere popolare americano, ed ebbe nel fenomeno del folk – revival quella rinascita per la carriera di molti musicisti neri che, pur in una vita di miseria, ebbero un guizzo di riconoscimento al di fuori del loro angolo di strada. Accogliamo così, come un prezioso documento “filologico” le “takes” di “Take It Easy Greasy”, album composito di alcune “novità” per i due che neppure son più tra noi, colte in concerto o in studio, in quell’arco di tempo (tra il 1966 ed il 1984) in cui le loro vite si intersecarono.

Brewer infatti, bluesman cieco di Brookhaven, Mississippi, fu a Chicago e in Maxwell Street dagli anni Quaranta, andandosene già nel 1988, a sessantotto anni; più longevo, il reverendo Dan Smith, che nacque invece nel 1911 in Alabama e gravitò nei dintorni di New York, all’attenzione di Pete Seeger e di altri musicisti, fino alla sua dipartita, nel 1994.

La vicenda di come siano arrivati a questa pubblicazione postuma è oltremodo interessante, quanto l’incontro tra i due, le cui vicende si frapposero a quelle degli altrettanti musicisti e maestri, talvolta a loro insaputa, negli scenari di allora. Sicché, in questa gradita riscoperta, il perno ruota intorno a un certo Bill Fonvielle, che nel 1966 ingaggiò proprio Brewer perché suonasse a casa sua per una festa che da studenti, organizzarono per pagarsi l’affitto a Evanston, Illinois.

Caso vuole che Fonvielle lo abbia raccontato di recente a Gary Leopold, veterano dell’industria musicale e complice il passaparola, la notizia sia giunta a Michael Frank e Andy Cohen, che ebbero professionalmente a che fare coi due negli anni d’oro. Lo raccontano nelle note di copertina: l’uno, della Rivelark Music lavorò con entrambi, nel ’65 e nel ’70; l’altro, della stessa Earwig Records, già aveva registrato il secondo disco di Brewer, “Tough Luck”, tra il 1983 e il 1984 (quando anche il n.3 della nostra rivista ne coglieva pioneristica testimonianza in un’intervista, dopo un concerto del 12/03/1983 a Vimercate)!

Si dice che Frank e Cohen poi li avessero voluti nella loro Traveling Blues Revue e la loro testimonianza offre al disco il valore aggiunto che solo chi c’era gli può dare: – “Prenotai i festival di Winnipeg e Vancouver …” – dice Cohen – “… e concerti in Oregon, Minnesota e Wisconsin. La Revue era composta da me, Fris Holloway e John Dee Holeman dalla Carolina del Nord; Jim Brewer, Dan Smith da New York, una band di Chicago composta da Kansas City Red (Arthur Lee Stevenson), Honeyboy Edwards, Lester Davenport e Michael Frank, più Frank Frost dal Mississippi”.

E ancora: – “Negli anni successivi alla scomparsa di Jim e Dan, Michael e io abbiamo cercato l’opportunità di pubblicare un album storico che li ritraesse insieme. Quando Bill Fonvielle ci ha contattati nel 2021 per le registrazioni dei concerti in casa del 1966, ce ne ha dato l’opportunità”. “Take it easy, Greasy …” – uno dei detti preferiti di Jim Brewer (che chiosava: – “… we got a long way to slide”) – suggerirà il titolo per quest’album da un tempo lontano, in questo nostro futuro, presuntuoso di saper già tutto.

Ecco perché, anche se il disco inizia con una “Jim’s Highway 61” catturata alla Reel Recording Company di DeKalb, Illinois, a noi piace andare al nocciolo della questione colle tracce di Bill Fonvielle (quelle dell’appartamento a Evanston, nello stato di Lincoln). Istantanee ripulite e altrettanto valide come la prima da studio, e “chicche” come “Step It Up and Go” assorbite dai 78 giri di Blind Boy Fuller, come anche “That’s All Right” di Jimmy Rogers.

Un senso di maggior profondità invece, per quei blues in apertura, che ci fanno apprezzare il duo dal vivo a Madison, presso l’Università del Wisconsin, nel luglio 1984. “The Train” porta sul palco il sodalizio armonicistico di Dan Smith, così come assieme all’autoharp di Brewer entrambi riprenderanno ancora  una volta la celebre “Cotton Needs Pickin” dei campi. C’è tutto il repertorio di un’epoca, qua dentro, e anche tra i brani dell’ ’80 alla Gentry Remedy Company di Bloomington, Indiana, in chiusura “It Hurts Me Too” di Tampa Red o “See See Rider” di Ma Rainey, per un autentico scorcio da un momento storico (e di transizione) del blues: documentato e reale, e in presa diretta!

Matteo Fratti

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