Bob Stroger è una faccia conosciuta, e molto amata, dai fans del Blues, cosa abbastanza inusuale per un bassista, nel caso di Stroger un uomo anziano, ha passato ampiamente i 90 anni, vestito in maniera elegante come si usava nella musica fino agl’anni sessanta. Negl’ultimi 25 anni e’ stato sistematicamente coinvolto nei maggiori festival europei ma anche negli States gode di buona fama, soprattutto dopo essersi legato a Delmark Records.
Nel Blues, specialmente in passato, la sezione ritmica basso-batteria suonava per “tenere il tempo” e seguire gli sbalzi musicali e umorali del solista di turno, pronti a seguirlo in un improvviso cambio di tonalità, uno stacco repentino, un’inversione ad U tra le dodici e le otto battute. Riempire i vuoti senza saturarli. Eppure, nonostante questa presunta subalternità, i primi musicisti bianchi che si dettero al Blues, vollero imperativamente una sezione ritmica di colore. Vedi la Butterfield Blues Band, con Jerome Arnold e Sam Lay (poi lo straordinario Billy Davenport), ma anche il Mayall americano che assoldò un giovane Ron Selico, poi batterista con James Brown, Sam Cooke, Bobby Womack.
Non c’è tempo nè spazio per scrivere alcunche’ su Willie Dixon, al quale si deve probabilmente buona parte del Blues moderno e contemporaneo. Per curriculum, riconoscimenti e attutudine Bob Stroger sta nel Phanteon del Blues e questo suo nuovo “Bob is back!” lo conferma. Come nel precedente “That’s my name”, sempre su Delmark, gli Headcutters, una band brasiliana che di sbagliato ha solo il nome, spalleggia abilmente il nostro Bob. Il pianista Ben Levin, astro nascente della musica americana, completa l’impatto sonoro generale che si può definire come “Chicago Blues” nonostante i brasiliani abbiano, scusate il pasticcio geografico, qualche tendenza texana.
Cinque originali di Stroger e sette classici si contendono fieramente il posto di miglior pezzo. Nell’iniziale “Look over Yonder Wall” spicca Joe Marhofer all’armonica che si divive il proscenio con Levin al piano nella seguente “Champagne and Reefer”. La swingante “Jazz Man Blues” con il chitarrista Ricardo Macia e il contrabassista Arthur Catuto in prima fila rompe l’ambiente Chicago ormai installatosi grazie anche al canto vellutato di Stroger, autore del pezzo.
In “Don’t you lie to Me” torna Marhofer con un possente assolo Walteriano, armonicista da tenere d’occhio. Ottimo up-tempo “Loan me train Fare” con Levin che tallona da vicino Marhofer mentre nello shuffle “Thinking e Drinking” i tre solisti si danno il cambio. Il pezzo omonimo “Bob is back” ricorda un po’ le aperture alla Albert King con Levin che prende il largo con l’organo. Armonica e chitarra danno vita al Blues lento “Gold Tailed Bird” e il finale scoppiettante di “Let the Good Time Roll” chiude un godibile album di Blues vecchia scuola. Particolarmente meritevole Delmark Records a dare spazio a un musicista di grande valore, seppur di famiglia ma gia’ molto anziano.
Luca Lupoli










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