Impegnato da oltre tre anni in un Farewell tour, al quale aggiunge felicemente nuove date, tanto che oramai è stato ridefinito Damn Right Encore!, Buddy Guy ha compiuto 89 anni lo scorso 30 luglio. E per l’occasione si è regalato un ennesimo capitolo della sua storia discografica, il cui titolo non potrebbe essere più esplicito. Persino ovvio ribadire la centralità della sua figura, senza ricorrere ai consueti appellativi per un artista capace di costituire un ponte imprescindibile tra diverse generazioni di bluesmen, dai suoi eroi Muddy, B.B., John Lee, Wolf, Lightnin’ ai nipotini come Kingfish, passando per tutti quelli nel mezzo, senza dimenticare la lunga fila di estimatori, se non proprio idolatri, inglesi.
Una storia raccontata anche tramite documentari come The Blues Chase The Blues Away e The Torch, quest’ultimo passato anche su Rai 5, considerando poi che, alla sua popolarità presso un pubblico generalista, ha senz’altro giovato la recente partecipazione all’interessante film Sinners di Ryan Coogler, un successo di critica e pubblico (soprattutto in America). Ain’t Done With The Blues (Silvertone) ci dice Buddy con queste diciotto (!) nuove tracce ancora realizzate con Tom Hambridge a Nashville. Al settimo album consecutivo assieme, la sintonia tra i due è consolidata, anche per la scrittura, tanto è vero che Hambridge spesso costruisce i brani (talvolta con la collaborazione di Richard Fleming o Gary Nicholson) a partire dai dialoghi con Buddy sulla sua vita, la numerosa famiglia e i suoi incontri o le espressioni colloquiali.
E attorno a lui ritroviamo sessionmen molto affidabili quali Kevin McKendree alle tastiere (o in qualche brano Chuck Leavell), Rob McNelley, Glenn Worf al basso (sostituito da Tal Wilkenfield a volte) oltre a Hambridge stesso alla batteria. Immancabili una manciata di ospiti che stavolta rispondono ai nomi di Joe Walsh, Joe Bonamassa, Kingfish Ingram, The Blind Boys Of Alabama e Peter Frampton. Ma, al di là della schiera di invitati, il protagonista assoluto resta Buddy Guy, la sua chitarra vibra e distilla note senza esasperazioni eccessive e la voce sfida il tempo, infischiandosene della carta d’identità, “Age Ain’t nothing But A Number”, verrebbe da dire, citando Little Milton e non “Done Got Old” (Kimbrough), numero acustico col quale Buddy apriva il suo bellissimo “Sweet Tea” (2001).
Anche in questo caso l’inizio è acustico, sospettiamo ricavato da un intermezzo tra una take e l’altra, affidata ad un assaggio di “Boogie Chillen”, qui intitolata “One For Hooker”, la prima cosa che ha imparato a suonare, racconta lui. La stessa cosa succede più avanti nella scaletta con un altro breve passaggio acustico, “One For Lightnin’”. Nel mezzo una generosa quantità di brani, tra riprese e pezzi nuovi, a coprire, come di consueto, una gamma di stili piuttosto ampia. Da suoi estimatori spassionati, ascoltarlo alle prese con uno slow blues, come l’ottimo “Blues On Top”, è sempre un vero piacere.
Ed anche la ballad “Dry Stick” si fa apprezzare, gran lavoro di McKendree (Wurlitzer e Hammond), assolo di un misurato Bonamassa e ottimo Guy nel convogliare il testo, l’unico su cui è co-accreditato, improntato ai consigli materni, pieni di saggezza popolare, “conserva legna secca per i giorni di pioggia, non sai cosa ti capiterà, spera per il meglio ma sii preparato al peggio”. Ancora dall’andamento medio-lento, “I Don’t Forget”, ombrosa ed evocativa, “non dimentico la storia della mia gente e le cose che ho visto”, canta, citando discriminazioni e razzismo.
Altrove, strizza l’occhio al film di Coogler nell’episodio che vede la partecipazione dei Blind Boys Of Alabama, “Jesus Loves The Sinner”, una sorta di gospel blues, con un riff di chitarra iniziale che sembra preso in prestito da certi brani di Tony Joe White. Simpatico il funk “Where U At”, con Kingfish e i fiati, ma lo preferiamo quanto reinterpreta con fare sornione un pezzo di Earl King, “Trick Bag” o nella stringata rilettura di “Talk To Your Daughter” (JB Lenoir), con lui e McNelley alla chitarra acustica, Worf al contrabbasso e la batteria minimale di Hambridge. Se (spoiler!) nel finale di Sinners, il protagonista Sammie/Buddy rifiuta l’offerta di immortalità vampiresca, replicando “I’ve seen enough of this place”, ricordando quella notte fatidica e indelebile, il vero Buddy continua indefesso nella sua missione al servizio del blues. E nel nostro piccolo, ci auguriamo di esserne testimoni per altri anni, altri dischi, altri concerti.
Matteo Bossi










Comments are closed