Chris Bergson & Ellis Hooks: Blues and Soul Partners In Crime
di Matteo Bossi
Lo scorso luglio, prima del loro concerto allo Spirit de Milan, abbiamo avuto modo di parlare con Chris Bergson ed Ellis Hooks. I due amici hanno da tempo stabilito un fruttuoso binomio musicale che li ha portati a lavorare insieme sia dal vivo che in studio, collaborando anche in fase di composizione, da quando si sono ritrovati nel 2013.
E il loro set, pieno di energia e divertimento, non ha fatto altro che confermarne l’affiatamento, alternandosi al canto in un repertorio in gran parte personale, con qualche bella cover (Grits Ain’t Groceries, For What It’s Worth… ), ottimamente supportati da un trio italiano costituito da Pablo Leoni, Andrea Vismara e Gabriele Bernardi.
Il talento chitarristico di Bergson emerge subito, sia nel suoi assolo gustosi e melodici, sia nel suo solido lavoro alla ritmica, oltre ad essere un valido cantante a sua volta. Quanto a Hooks, nel suo canto ruvido e fervente, riecheggiano i grandi del soul e R&B del passato, conservando tuttavia una sua impronta e una presenza d’impatto.
La nostra conversazione, talvolta, non ha nemmeno avuto bisogno di domande, i due completavano le rispettive storie o le proseguivano spesso con una sonora risata.
L’intervista a Chris Bergson & Ellis Hooks
Quando e come vi siete conosciuti?
Hooks: Eravamo in cartellone nello stesso club a New York, un posto chiamato Joe’s Place…Poi una sera del 2013, stavo camminando per strada e ho sentito un chitarrista veramente fantastico, ho pensato fosse, come si chiama, Eric Clapton.
Bergson : che suonava al Jules’?
Hooks: Sì, non sapevo da dove provenisse. Ho capito che veniva dal Jules e allora sono entrato. Ed era lui. È stata una cosa come “ma cosa ci fai qui”?
Bergson: Era una sorta di piccolo bistro francese.
Hooks: Mi aveva riconosciuto.
Bergson: Sì mi ricordavo che avevi cantato con noi “Red House” di Jimi Hendrix.
Hooks: ed ho pensato, dovremmo scrivere qualcosa insieme…ma lui credeva lo prendessi in giro.
Bergson: Beh, mi è successo un paio di volte e la seconda di solito mi chiedevo, “amico, ma mi chiamerai davvero?” Ma lui mi ha chiamato e mi sono detto – Oddio ma questo fa sul serio. – Ci siamo trovati ed è scattato qualcosa fin da subito. Ci siamo conosciuti nel 2004 ma abbiamo iniziato a collaborare nel 2013. Stavo preparando un disco Live, quel club purtroppo ha chiuso con la pandemia…ho invitato Ellis a cantare per quel disco e da allora in poi abbiamo cominciato a scrivere canzoni insieme. Entrambi eravamo più abituati a cantare da solisti, abbiamo lavorato sulle parti di armonizzazione, cantavamo anche cover all’inizio, pezzi di Otis Redding e poi è scattato qualcosa quando abbiamo iniziato a scrivere e andare in tour. Abbiamo intrapreso il primo tour in Francia nel 2018 e dopo la pandemia abbiamo ripreso, siamo stati al Cahors Blues Festival e a Cognac lo scorso anno, quello è stato un concerto in duo molto speciale. Stranamente questa è solo la mia seconda volta in Italia, ci sono stato coi mie genitori quando ero un ragazzino nel 1990. Ci stiamo divertendo molto.
Chris, hai iniziato a suonare la chitarra molto presto e hai preso anche lezioni da Jim Hall?
Bergson: Sì, una esperienza incredibile. È buffo perché ho appena finito di registrare un nuovo album, che uscirà il prossimo anno ed è più orientato verso il soul / jazz, con Larry Grenadier al basso e Herlin Riley alla batteria. In origine doveva esserci Al Foster ma è scomparso tre settimane prima delle session. Siamo stati fortunati ad avere Herlin. È una combinazione tra il trentennale di quando mi sono trasferito a New York ed ho studiato con Jim Hall e uno sguardo indietro alle mie prime influenze jazz e blues. Ho inciso una canzone di Muddy Waters, una di Ray Charles, ma anche uno di Herbie Hancock o un originale boogaloo blues ispirato ai classici dischi Blue Note di artisti come Lee Morgan…uscirà anche in Lp l’anno prossimo.
La chiusura di un cerchio, in un certo senso?
Bergson: Si lo è davvero. Ho perso mio padre quest’anno e mi sento grato ai miei genitori per avermi fatto scoprire così tanto blues e jazz. Da ragazzino mi portavano a sentire Miles Davis, Herbie Hancock…mio padre mi portava a sentire Buddy Guy e John Lee Hooker, quando se ne è andato mi sono travato a riflettere un po’ e mi sono sentito davvero grato. E mi hanno sempre incoraggiato a studiare musica e a diventare un musicista. E ho avuto modo di suonare con molti dei miei eroi, artisti come Al Foster, Levon Helm, Hubert Sumlin, Bernard Purdie…ed è un sogno venire qui in Europa a presentare la nostra musica e vedere tanti posti straordinari.
Ellis, tu invece vieni dal Sud, un contesto diverso.
Hooks: Sì, sono cresciuto in Alabama in una famiglia battista, una grande fattoria, eravamo sedici figli. Se ci ripenso un po’ mi manca, ma ovviamente all’epoca non la sopportavo. Cantavo nel coro, sai tutti abbiamo iniziato in chiesa. Se non fosse per quello oggi forse non sarei qui. Ascoltavo musica country ma la mia famiglia la detestava, all’epoca c’erano molte divisioni razziali…e il rock and roll e detestavano anche quello. Andavo fuori di nascosto ad ascoltare musica e le prendevo per questo.
Bergson: come si chiamava quel programma che vedevi in tv?
Hooks: Midnight Special. Ma la regola allora era che, se eri nero, non ti era permesso ascoltare la musica dei bianchi, perché ti odiano. Ma per me non era così, mi piaceva la musica, qualsiasi cosa mi attraesse. Mia mamma voleva che cantassi gospel…sono andato via di casa molto presto.
Quando sei arrivato a New York?
Hooks: Negli anni Ottanta, ho suonato per strada per sette o otto anni…è stato formativo e in più all’epoca si riusciva a guadagnare bene.
Un momento di svolta è stato l’incontro con Jon Tiven, come vi siete conosciuti?
Hooks: Suonavo in un piccolo locale all’East Village, The Oasis, e mi presi una pausa, da allora non lo faccio più perché perdi il pubblico, ma era entrata una bella ragazza, una messicana davvero carina e mi aveva chiesto di lasciarla cantare…l’ho fatto e il pubblico se ne è andato.
Bergson: non era brava?
Hooks: Non lo capiva…in ogni caso mi disse- senti domani devo vedere un produttore sulla 61 Street, ma non mi fido molto, vuoi venire con me? -Le dissi di si. Una storia vera. Il giorno dopo andiamo da TIven ed era seccato, le diceva, ma chi è questo qua? Un mio amico. Credevo dovesse solo lasciargli un CD e ce ne saremmo andati, ma lei voleva cantargli un pezzo. Non farlo mi dicevo io. Così lei comincia a cantare e lui la ferma. Al che guarda verso di me e mi dice, “tu cosa fai?” “Suono la chitarra e canto”, gli rispondo io. E lui mi fa, “suona”. Io comincio a suonare e gli viene la pelle d’oca. Quando lei è andata al bagno mi ha dato il suo biglietto da visita, “chiamami”, mi ha detto. E due settimane dopo mi ha trovato un contratto con una casa discografica, E music o qualcosa del genere…poi sono falliti ma ne ho ricavato diecimila dollari e ci hanno restituito i master. Ecco come è cominciata.
Bergson: era la Evidence?
Hooks: no, qualche altra label, ma hanno chiuso poco dopo.
Bergson: non so se te l’ho mai raccontato, ma la vita talvolta è divertente, i miei genitori mi regalarono un grande album di Albert King, The Lost Session, lo conosci?
Quello prodotto da John Mayall?
Bergson: Sì, era un bel disco e Jon Tiven scrisse le note di copertina. Perciò conoscevo il suo nome per questo. Era una novità, uscì solo negli anni Ottanta.
Tiven negli anni Novanta ha prodotto molti artisti, Wilson Pickett, Freddie Scott, Garnet Mimms, Little Milton…
Hooks: Sì, molti cantanti di soul. Ma non lo sapevo quando ci siamo conosciuti. Ha lavorato con un sacco di gente ed è amico di Steve Cropper, Dan Penn…Ho suonato al Lincoln Center con Cropper!
Chris, ci puoi raccontare della tua esperienza con Levon Helm?
Bergson: si, ero stato a Woodstock con la mia band a registrare nel suo studio, una grande esperienza, era per l’album “Fall Changes”. E un paio di giorni dopo essere tornato a casa, all’epoca abitavo a Brooklyn, ero fuori per un brunch con mia moglie e mi suona il telefono. Era Levon. Mi chiedeva se potessi andare a Woodstock quella sera stessa e suonare al suo Midnight Ramble. Ci sarebbero stati alcuni concerti ai quali Jimmy Vivino non poteva esserci, con il suo tipico acccento dell’Arkansas, disse, “hey ragazzo, sono Levon, potresti venire su a Woodstock? E iniziare ad imparare il libro? Ci sarà anche Jimmy V così impari le canzoni”. Iniziai a sostituire Vivino o Larry Campbell.
Ho fatto concerti con ognuno di loro ma anche ce ne sono stati almeno un paio in cui ero il solo chitarrista. Mi ricordo che scrivevamo le set list seduti al tavolo nella cucina di Levon e sempre lì mi hanno insegnato “Rag Mama Rag”. Momenti veramente incredibili. Era uno dei miei cantati e batteristi preferiti in assoluto e The Band è stata una grande influenza sulla mia scrittura. Una bella persona, con uno spirito e un groove incredibili e una energia contagiosa. Ero il più giovane della band, avevo solo trent’anni, era l’autunno del 2006. Con la mia band ho aperto dei suoi concerti e un paio di volte ho cantato The Weight con lui. All’epoca registravano ogni concerto, quindi ne è rimasta traccia da qualche parte. Ed è stato bello anche registrare al suo studio…lui in quel periodo stava finendo “Dirt Farmer”, album che avrebbe finito per vincere un Grammy. Lavoravamo con lo stesso ingegnere del suono. Se mi avessi detto, quando ero un adolescente, che avrei lavorato con Levon o Hubert Sumlin, probabilmente non ci avrei creduto.
Anche Hubert era una persona squisita oltre che un fantastico chitarrista.
Bergson: Davvero. Una delle più belle serate blues che abbia mai sentito è stata al B.B. King’s a New York, con Levon, Hubert e David Johansen che suonavano il repertorio di Howlin’ Wolf. Hubert e Levon erano speciali, non li dimenticherò mai. Levon suonava uno shuffle unico, incredibilmente potente, ricordo di aver pensato, ma come fa un tipo così magro a suonare la batteria così forte?
Hai mai conosciuto Chris O’Leary? Anche lui ha suonato a lungo con Levon.
Bergson: Sì, sai è buffo, lo scorso anno eravamo entrambi insegnanti ad un blues camp in Francia e abbiamo finito per fare una jam insieme e condividere storie su Levon. Ha fatto parte dei Barn Burners e si era anche trasferito a New Orleans quando Levon aveva aperto un club là…abbiamo scoperto di aver suonato con molti degli stessi musicisti ma non ci eravamo mai incontrati prima. Ed è stato forte conoscerlo, Chris è una bella persona.
E Alexis P. Suter? Hai suonato dal vivo e in studio con lei.
Bergson: Anche Alexis P. Suter per la prima volta l’ho incontrata ai concerti Midnight Ramble di Levon nel suo studio a Woodstock, New York, tra il 2005 e il 2006… Lei apriva il concerto di Levon e io sostituivo il chitarrista della sua band. Sono rimasto folgorato, allora come oggi, dalla potenza emotiva della sua voce!
Ellis, nel giro di pochi anni, nel primo decennio del 2000, hai inciso diversi dischi per Evidence, Zane, Artemis e tenuto molti concerti.
Hooks: Si, è accaduto tutto in fretta. Andavamo a Nashville e ci chiudevamo a casa di Tiven a scrivere. Non ero abituato a quel tipo di pressione…lui aveva uno studio a casa sua e per me era magico. Non avevo mai scritto canzoni così, non mi ero mai messo alla prova in questo modo. Mi ha tenuto occupato ed è stata davvero una fortuna incontrarlo. Ho appreso molto da lui, sulle mie capacità, su quello che posso fare con la voce e sulla mia scrittura. Non ero molto bravo a strutturare le mie canzoni e Tiven sapeva farlo, “metti quella frase là e sposta il bridge qua…”, era come andare a scuola. E inoltre ho potuto conoscere tutti questi personaggi come Penn o Cropper, gente che avevo solo sentito nominare. Come ho detto, mi ha davvero fatto diventare qualcuno. E sono stato spesso in tour. Se non fosse stato per lui forse sarei tornato in Alabama per fare il predicatore, perché sono soldi facili e in fondo era quello che si aspettavano da me. Mia sorella ha una chiesa nell’Upstate New York e vado a trovarla talvolta, ma non mi invita mai a cantare sul palco perché la mia musica non è la musica di Dio. È strano che oggi la pensi ancora così. Dopo ho rallentato un po’, ho avuto una figlia nel 2009, una bellissima esperienza…quando ci siamo ritrovati con Chris era il momento giusto ed ero pronto. Stiamo pensando di realizzare un album acustico, credo verrà bene.
Chris, inizialmente suonavi solo la chitarra e poi hai deciso di cantare?
Bergson: In realtà cantavo nelle band ai tempi del liceo, ma il canto l’ho messo da parte quando mi sono trasferito a New York a diciotto anni, pensavo ci fosse così tanto da imparare per diventare un chitarrista jazz migliore. Il canto mi è sempre venuto naturale non ho mai preso nessuna lezione. Ho imparato ascoltando e copiando il fraseggio dei miei cantati preferiti come Ray Charles, Muddy Waters, Gregg Allman o Levon Helm. Lo davo un po’ per scontato dato che non dovevo lavorarci su quanto la chitarra o altri aspetti della musica. È stata mia moglie, Kate, ad incoraggiarmi a riprendere a cantare dopo avermi sentito cantare alcune cose di Robert Johnson una sera nel nostro appartamento per degli amici. Ha cominciato a dire, “e questo cos’è? Perché lo tieni per te? È questo che dovresti fare!” Onestamente non ci avevo pensato molto, era solo una cosa del tipo “oh la facevo da ragazzo”. Mia moglie ha sempre avuto l’istinto da produttrice e ne sono grato, amo molto cantare e ora non potrei immaginare di non farlo.
Avete anche scritto molte canzoni insieme, come funziona la cosa?
Bergson: si è sviluppata gradualmente nel corso degli anni. Kate è una ottima attrice e regista teatrale con una solida formazione shakesperiana. Ha dunque una grande padronanza del linguaggio e del ritmo. Da anni collaboriamo per i testi delle canzoni. Nel disco più recente, “Comforts Of Home”, ha contribuito più che in passato alla musica, le melodie, le strutture delle canzoni e anche alcune singole parti strumentali. Anche i miei compagni della band hanno contribuito con ottime idee agli arrangiamenti.












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