Yates McKendree_Need To Know

È davvero un piacere ritrovare questa giovane promessa del blues (perlomeno, così ci era sembrato al suo debutto con “Buchanan Lane”, nel 2022 e par riconfermarcelo ora) sempre per la stessa casa discografica, àncora di salvezza in tempi di restrizioni pandemiche, quando suo padre s’ingegnò proprio con questa “via” di fuga. La Qualified Records di Kevin McKendree così nasceva come etichetta di musicisti per i musicisti, rispondendo all’esigenza di cooperare in un momento di difficoltà.

L’approdo al disco precedente per Yates è allora solo la diretta conseguenza di un percorso di maturazione all’interno di un certo contesto, quello degli studi di registrazione, dove lo stesso McKendree “junior” ci è nato, se pur di suo padre era anche lo studio “The Rock House” di Nashville, dove registrarono John Hiatt o Delbert McClinton, e per quest’ultimo, Yates ha vinto pure un Grammy come ingegnere del suono, nel 2020 di “Tall Dark & Handsome”, comparendo quale “deus ex machina” prima del suo debutto in prima persona.

Questo “Need To Know” prosegue sulla stessa linea d’onda e non aggiunge nulla di nuovo, se non l’impressione di una maggior padronanza dello stile, integrando alle consuete tredici tracce (come sul precedente) solamente un’autografa in più, tale “Tide”, per giunta, strumentale. Squadra che vince non si cambia quindi, ma con “Need To Know” Yates McKendree si perfeziona nella scrittura a quattro mani di godibilissimi blues e R&B, e parafrasando la fatidica domanda del presunto Marvin Berry al cugino Chuck, nella fantastica telefonata che inventò il rock’n’roll nel film “Ritorno al futuro” (1985): – << … è questo il sound che cercavi”? >> – beh, direi proprio di sì!

Ci azzecca in pieno, McKendree, col suo entourage pur guidato dal padre, ma tant’è che la “‘bbanda” (per dirla alla Blues Brothers) porta davvero avanti una tradizione, e Yates figlio d’arte è uno dei ragazzi che vorremmo avesse altrettanti cugini a cui telefonare, diffondendo la musica che più cerchiamo in un che di “ricercato”, appunto, che fatichiamo a ritrovare.

Testimonianza di un’autentica passione, è allora un piacere ascoltare certi blues che suonano come fossimo al lunedì del Bluebird Café di Nashville, in cui pare che l’orchestra “McKendree” sia di casa, il sodalizio in apertura sulle tracce scritte con Gary Nicholson, della Nashville Songwriters Hall Of Fame, a regalarci liquidi bluesoni come “Burnin’ Tears” o l’intensa “Need You Know You Better”.

L’ensemble di base a questo sound è sempre la ritmica jazzie di Steve Mackey al basso e Griffin Photoglou alla batteria, con Robert Frahm alla chitarra, cui non mancano gli inserti di fiati come dei tasti bianco/neri di papà o delle percussioni dell’amico George Sluppick: suoi, gli abbellimenti sulla tribale “Tide”, la cui base (racconta on line McKendree) era un loop di Yates bambino che picchiava sulla lavatrice, registrato dal padre. Ci piace segnalare poi un banco di prova come “I Can’t Stop” di Willie Dixon, che i “ragazzi” fanno propria; o una rivisitazione originale della grande “See See Rider”. Non possiamo che attendere la prossima, o un concerto che ci faccia compiacere con nostro “cuggino” del “sound che cerchiamo”!

Matteo Fratti

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