Dopo tre anni a Ferrara il Comfort Festival organizzato dalla Barley Arts ha trovato una nuova collocazione nel bel contesto del parco della seicentesca Villa Casati Stampa a Cinisello Balsamo, nell’area metropolitana di Milano. Cinque serate con una programmazione di qualità e in grado di soddisfare palati differenti, con possibilità di cenare in loco, un grande palco sul quale possono trovare posto anche band allargate. La prima serata, quella dello scorso 4 luglio, prevedeva tre artisti i cui legami al blues e alle musiche afroamericane sono evidenti dai rispettivi percorsi.
Il compito di inaugurare il festival, nel tardo pomeriggio e davanti ad un pubblico non ancora folto, il grosso arriverà infatti un po’ più tardi, tocca alla cantante newyorkese Bette Smith. Ancora poco nota dalle nostre parti, se si eccettua un passaggio al Blue Note lo scorso autunno, la Smith ha pubblicato tre dischi per altrettante etichette e alcuni singoli, muovendosi tra R&B, rock e soul. Qui è accompagnata da un quartetto spagnolo e comincia sulle note di “Shackle And Chain” scritta per lei da Jimbo Mathus, produttore dell’album che l’ha rivelata nel 2017, “Jetlegger”. La set list alterna cover a brani dei suoi lavori, tra le prime un brano non certo facile come “Tell Mama” che si scontra con la classicità inarrivabile di Etta James e l’omaggio all’Isaac Hayes di “Do Your Thing”. Tra le seconde la simpatica “Fistful Of Dollars” dal suo album “The Good, The Bad & The Bette”. Nel finale, da esso attinge anche, con meritevole scelta, un grande pezzo del compianto Eddie Hinton, “Everybody Needs Love”, in una esecuzione, a dire il vero, meno convincente di quanto ci si sarebbe potuti attendere.

Bette Smith al Comfort Festival 2025 (foto Samuele Faulisi©)
Giusto il tempo di un cambio palco ed ecco un’altra signora, Ana Popovic, che è invece abituata, almeno per gli ultimi venticinque anni, a suonare in Italia, tanto che la sua band è, potremmo ben dire, italo-americana. Da oltre tre lustri è con lei Michele Papadia tastierista di riconosciuto valore ed anche la sezione fiati è stabilmente composta dai fidati Davide Ghidoni e Claudio Giovagnoli. La parte americana è invece costituita da Jeremy Thomas (batteria) e Buthel (basso), spesso collaboratore della Popovic anche in fase di composizione. In un concerto generoso quanto a durata ed energia profusa, ricordiamo la sua rilettura di un brano di Tom Waits, “New Coat Of Paint”, che come dice lei introducendola viene portata verso New Orleans dai fiati. Ci sono cose dal suo album più recente, “Power”, scritto dopo aver superato una malattiacome “Rise Up” o la vivace “Queen Of The Pack”. La sua musica spinge in direzione di un rock blues con spruzzate funky, coi fraseggi nervosi della sua chitarra, che si prende sovente i suoi spazi ma ne concede anche ai fiati e alle tastiere di Papadia, sempre puntuale nei suoi inserimenti. Emblematici in questo senso le ritmiche di “Lasting Kind Of Love” o ancora di “Like It On Top”, brano titolo di un suo disco di qualche anno fa prodotto da Keb’ Mo’. Popovic saluta annunciando la prossima pubblicazione, per settembre, del nuovo lavoro “Dance To The Rhythm”, il suo è un concerto che il pubblico dimostra di apprezzare, tributando applausi a lei ed ai suoi musicisti, ognuno protagonista di un assolo nel finale.

Warren Haynes al Comfort Festival 2025 (foto Samuele Faulisi©)
Warren Haynes al Comfort Festival 2025
Il tempo di mangiare qualcosa e alle 21,25, addirittura in anticipo sulla tabella di marcia, prende possesso del palco Warren Haynes e non lo abbandonerà per le due ore seguenti. Haynes, che avevamo avuto il piacere di intervistare all’uscita del suo bell’album dello scorso anno “Million Voices Whisper”, si presenta con Matt Slocum (Railroad Earth) alle tastiere, Greg Osby al sax, Kevin Scott (già con i Gov’t Mule dove ha sostituito Jorgen Carlsson) e Terence Higgins alla batteria.
Se all’inizio i suoni sono ancora da calibrare, le cose vanno via via migliorando, saldandosi attorno alla voce, sempre espressiva e alla chitarra del leader. Il pubblico, ora è numeroso e attento ad ogni passaggio, ben sapendo di essere di fronte ad un artista di prima grandezza, basti l’impressionante curriculum accumulato negli ultimi trentacinque anni e il rispetto unanime di cui gode presso i colleghi. La Popovic, per dire, era seduta a lato del palco a gustarsi a sua volta il concerto.
“The River’s Gonna Rise”, da “Man In Motion”, dall’incedere quasi un R&B è l’antipasto di alcuni brani estratti dall’ultimo disco, tra cui una convincente “The Life As We Know It” o una altrettanto bella “You Ain’t Above Me”.
Le set list di Haynes variano molto e questa volta vi hanno trovato posto “Banks Of The Deep End” del repertorio dei Muli o un doveroso momento allmaniano con lo strumentale “Instrumental Illness”.
Scende la sera e la band trova il suo groove, Scott che è musicalmente allievo del compianto Colonel Bruce Hampton, dimostra il suo valore al basso e gli altri non sono da meno, forse, paradossalmente Osby è quello meno in evidenza, almeno in certi brani, considerando la levatura del musicista, titolare di decine di lavori solisti molti dei quali su etichetta Blue Note.
Un posto per l’amato blues non manca mai ed ecco quindi una “Big Legged Woman”(Freddie King) molto compatta e soprattutto uno slow blues emozionante, suonato da Warren con maestria e una grande gestione delle dinamiche, “It’s My Own Fault”, a metà strada tra B.B. King e Otis Rush, forse tra gli apici della serata.
Ma c’è ancora tempo per una trascinante “Thorazine Shuffle” e il recupero di un suo vecchio pezzo, “Invisible”.
Immancabile il bis, con una coinvolgente “Soulshine”, col pubblico che abbandona le sedie per farsi più vicino al palco e cantare assieme a Warren le ultime note di un ottimo concerto.
Ecco, se il buongiorno si vede dal mattino o meglio, in questo caso, dalla prima sera, il Comfort Festival sembra avviato a catalizzare l’attenzione di tanti appassionati e a diventare un appuntamento regolare dell’estate milanese. Noi glielo auguriamo.
Matteo Bossi










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