Mai come questa volta Walter Trout ha sentito l’esigenza di catturare l’attuale clima sociale e politico comunicando la rabbia, l’ansia e la divisione di quest’epoca attraverso l’energia potente del suo rock blues: il chitarrista descrive il suo ultimo lavoro come un “urlo primordiale e una valvola di sfogo di cui tutti abbiamo disperatamente bisogno”, con l’obiettivo di riflettere il tumulto e l’inquietudine che caratterizzano il mondo di oggi. L’apertura di “Artificial” è una critica pungente al mondo falso, plasmato da un’intelligenza artificiale incontrollata, con degli splendidi interventi sulla chitarra e sull’armonica: analogamente “No Strings Attached” prende di mira il bigottismo, con testi taglienti e una forza musicale sempre efficace. A tale proposito la title track rafforza ancora di più l’intensità del suo messaggio con un suono fortemente distorto e cori che hanno un che di quasi selvaggio e dissonante. Subito dopo viene però lasciato spazio alla pausa acustica di “Mona Lisa Smile”, impreziosita da fisarmonica, mandolino e violino, che rivela un lato più morbido: un’ode alla vulnerabilità e all’amore, ispirata da un sogno e offerta con un pregevole arrangiamento. Walter Trout ci parla della sua stessa storia personale e delle sue vecchie fragilità con lo splendido slow blues di “Blood on My Pillow” piuttosto che con “Hurt No More”, entrambe capaci di trasmettendo emozioni crude secondo il suo classico stile.

Il chitarrista propone un nostalgico desiderio di tempi più semplici attraverso “I Remember”, guidata da un riff di chitarra e un ritornello coinvolgenti, quasi a bilanciare i momenti più cupi dell’album con una prospettiva di speranza. Riscontriamo la stessa atmosfera nelle successive “High-Tech Woman” e nell’acustica “Too Bad”, con l’eccellente assolo di Walter all’armonica: brani più leggeri, ma di pari spessore, che rendono omaggio alle tradizioni blues. Il finale di “Struggle To Believe” appare come una jam session prepotente e libera, palesemente ispirata ai Double Trouble di Stevie Ray Vaughan, che con grande energia invita a perseverare nei momenti più difficili. “Sign of The Times” è uno specchio fedele dei tempi che viviamo, dove il leader non propone posizioni politiche o soluzioni, ma usa invece la sua musica per elaborare ed esprimere l’angoscia collettiva. Le tastiere di Teddy “Zig Zag” Andreadis e la consolidata sezione ritmica di John Avila (basso) e Michael Leasure (batteria) contribuiscono alla riuscita di uno dei lavori forse più hard rock della carriera di Walter Trout, ma l’urgenza dei temi trattati ha spinto la formazione ad affrontarli in maniera decisa, capace di lasciare il segno, appagando comunque ogni appassionato della sua musica.

 

Luca Zaninello

 

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