Si deve, in parte, allo status di Buddy Guy, che potremmo definire last man standing ancora attivo della sua generazione, confermato dalla recente pubblicazione di Ain’t Done With The Blues, la ripubblicazione di dischi del suo passato per il mercato del vinile. Ed è senza dubbio lodevole l’idea della Verve di includere nella sua Acoustic Sound Series, Buddy & The Juniors, album uscito in origine su Blue Thumb nel 1970 senza clamori che, col tempo, ha giustamente acquisito la sua vera dimensione, un gioiello, traboccante di cretività.
La session, che riuniva Buddy col compare Junior Wells e col pianista Junior Mance, avvenne per iniziativa di Michael Cuscuna (1948-2024), allora giovane produttore alle prese col mixaggio di quello che sarebbe diventato il terzo LP di Guy su Vanguard, “Hold That Plane!”, inciso nel novembre 1969 ma, per qualche ragione, pubblicato solo nel 1972.
Per aggirare il rifiuto dell’etichetta di pagare il viaggio a New York di Guy e finire il lavoro insieme, Cuscuna escogita una stratagemma, quello cioè di organizzare una session acustica per la Blue Thumb di Bob Krasnow, per mettere in luce un altro lato della personalità di Buddy e Junior, affiancati da Mance, già presente sul citato album Vanguard di Guy.
Grazie all’intesa naturale tra i tre e all’atmosfera rilassata e intima ne viene fuori un disco unico nelle loro discografie, replicato, almeno concettualmente, anni dopo dalla Isabel con “Going Back” (poi ristampato da Alligator come “Alone & Acoustic”) e infine dal bellissimo live al Legends intitolato “Last Time Around”. Come scriveva Marino Grandi recensendo la ristampa in CD della Hip-O sul n.116 de Il Blues, “[…] fa sempre un enorme piacere ascoltare questo materiale.” Concludendo la sua disamina con una lapidaria quanto azzeccata dicitura, “L’immaginazione al potere”.
È davvero così e i sette brani che compongono la scaletta fluttuano liberi e lunghi, ricordandoci la magia che Buddy e Junior sapevano creare. Pensiamo in primo luogo a due brani nati come improvvisazioni tra i due, senza nemmeno Mance, “Talkin’ About Women Obviously” e “Riffin’ (AKA A Motif Is Just A Riff)”, per comprendere la complicità scherzosa che li legava, gli scambi vocali e sui rispettivi strumenti, suonati con una sensibilità rara. L’uno subito pronto ad assecondare i cambi dell’altro in un gioco continuo di rimandi. Lo confermava Guy nella sua autobiografia, “When I Left Home”, nelle pagine dedicate a questa session.
E poi ci sono le versioni di classici quali “Hoochie Coochie Man” o “Five Long Years” che nelle loro mani acquistano freschezza, lirismo e senso. Anche il piano di Mance si ritaglia un suo spazio senza mai rubare la scena, contribuendo ad esaltare l’espressività di Buddy e Junior. Ma sono probabilmente considerazioni superflue, essendo un disco già noto agli appassionati. Per chi non lo possedesse già questa riedizione della Verve rappresenta, anche per la cura sonora, un approdo sicuro.
Matteo Bossi










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