Roomful Of Blues

Intervista a DD Bastos e Chris Vachon

di Matteo Bossi

Il nuovo album dei Roomful Of Blues, “Steppin’ Out”, appena uscito per Alligator, segna anche un nuovo capitolo nella lunga storia della band. È infatti la prima volta che hanno stabilmente una cantante, DD Bastos, “in realtà cinque persone se ne sono andate nel giro di poco tempo, perciò non è stato semplice rimettere tutto in moto, ma alla fine tutto è andato per il meglio”, ci racconta Chris Vachon, chitarrista di lungo corso. “Abbiamo pubblicato il disco precedente nel 2020 e poi è arrivata subito la pandemia. Credo non abbiamo suonato per un anno e mezzo, perciò quando abbiamo ripreso a suonare ci sono volute alcune prove, quel materiale non lo avevamo mai suonato dal vivo. Ed ora è tutto nuovo”.

Su quel disco, “In A Roomful Of Blues”, c’erano parecchie canzoni originali.

Vachon: Si ci avevo lavorato a lungo…sono felice di averlo fatto, avrei solo voluto le circostanze fossero state diverse, tutto qua. E ora eccoci con un altro disco.

 Quando ti sei unita alla band DD?

Bastos: Il 7 giugno 2024 è stato il primo concerto insieme, eravamo al The Spire a Plymouth, Massachussetts, è stata una grande serata! Abbiamo ricevuto una standing ovation alla fine, è stato forte.

Vachon: Ed è stata proprio quella sera che la gente ha cominciato a dire, ma perché non c’è un disco con lei? Così ci siamo detto che dovevamo proprio farlo. Ci è voluto un po’ di tempo, ma eccolo qui.

Ovviamente vi conoscevate già, ricordo che su un tuo disco come DD & The Road Kings, suonavano allora membri dei Roomful.

Bastos: Sì, effettivamente c’erano membri dei Roomful e di Sugar Ray & The Bluetones…

Vachon: In realtà abbiamo già suonato insieme, facciamo entrambi parte di una band, The Sons Of Providence, teniamo concerti ogni tanto e perciò ci conosciamo da tempo.

Bastos: Negli anni Novanta la mia band ha aperto per la prima volta per i Roomful nel Rhode Island, ed è in quell’occasione che ho conosciuto Chris e il resto del gruppo.

Vachon: Si e dato che avevamo già esperienza di suonare insieme mi sono detto, perché non provare. E le cose hanno funzionato bene. Dopo aver fatto qualche indagine ci siamo detti, mettiamola alla prova e sono sicuro che sarà perfettamente in grado di farlo. Anche a me è successo quando sono entrato a far parte del gruppo, mi dicevano – oh ti daremo una risposta definitiva…- e la cosa è andata avanti a lungo.

Bastos: fin qui tutto bene e ne sono felice.

Hai dovuto fare dei cambiamenti per quanto riguarda il repertorio, rispetto a quando c’era Phil Pemberton?

Bastos: Beh, canto da quando ero giovanissima, quasi una bambina e mi sono sempre sentita a mio agio di fronte al pubblico. Poi da adolescente ho iniziato a registrare in studio, ma ho anche una formazione classica, ho avuto una borsa di studio per studiare musica. Poi sono stata morsa dall’insetto che mi ha trasmesso il virus del  blues ancora da teenager ed ho sempre amato questa musica, sento una vera connessione con essa. Ma amo l’aspetto tecnico della musica classica, capire come usare la voce…è molto importante. Ed è quello che mi consente di farlo sul palco sera dopo sera senza perderla. Dato che avevo la mia band e suonavamo blues avevo molto materiale da proporre al gruppo. Tutta musica che, come me, anche loro hanno appreso dai grandi maestri. Quindi per mancanza di una parola migliore, direi che è stato un matrimonio perfetto.

Così quando è arrivato il momento di registrare vi siete trovati e avete scelto insieme i pezzi?

Bastos: Assolutamente. E c’erano canzoni che ho portato di cui Rich aveva già pronte le partiture per i fiati…aveva gli arrangiamenti e così ci siamo detti, ma è fantastico. Io e Chris abbiamo scelto alcune canzoni, canzoni che conosceva, amava e voleva incidere, le ho ascoltate anche io e ne ho scelte anche altre che sentivo di poter interpretare, dove c’era una buona storia. E con la strumentazione ha funzionato benissimo.

I Roomful non hanno una storia di cantanti donne, a parte i sei mesi in cui Lou Ann Barton ha fatto parte della band negli anni Ottanta. Qualcuna di queste canzoni veniva eseguita anche ai tempi della Barton?

Vachon: Credo sia rimasta tre mesi. Ma sì per un paio di pezzi Rich ha proprio detto -queste le suonavamo già con Lou Ann- così ci siamo detti, sono belle canzoni, facciamole. Avevo altre canzoni che avevamo considerato per altri precedenti, perciò abbiamo passato in rassegna anche quelle, ovviamente tenendo presente che dovevano essere adatte a lei.

Avete scelto canzoni del repertorio di Big Mama Thornton, Etta James o Big Mayebelle ma anche cose meno conosciute da artisti R&B di New Orleans.

Bastos: Sì, i pezzi di Etta James e Big Mama Thornton erano caposaldi del mio repertorio, ho sempre amato la loro musica. Stessa cosa per Big Maybelle. Facevo anche brani di Ruth Brown, che sarebbero andati benissimo. Le altre sono jam, abbiamo pensato suonassero eccitanti, fresche e nuove e potessimo farle nostre. Ed essere in grado di cantarle a mio modo. E mi sembra abbia senso rispetto a qualcosa che la band aveva già fatto prima, che magari devo interpretare pur senza allontanarmi troppo da quanto fatto.

DD Bastos & Chris Vachon foto Sonja Lemoi

Chris, hai prodotto ogni album della band dalla metà degli anni Novanta, come lavorate in studio?

Vachon: Abbiamo lavorato sempre nello stesso modo. Proviamo per un paio di giorni e poi andiamo in studio e registriamo dal vivo. Non ci sono molte sovraincisioni o altre cose del genere. Abbiamo sempre fatto così. La band è preparata, sono tutti pronti. Non ci sono grosse sorprese. Mi ci vuole molto più tempo per il mixaggio, una volta finite le incisioni porto tutti qui in studio e mi metto al lavoro…richiede tempo. Stavolta abbiamo anche dovuto aspettare un po’ per il vinile, probabilmente tre mesi in più. Nei dischi precedenti non avevamo il vinile, ma siamo in una nuova era. Io ho parecchi dischi ma non ne compro praticamente più, mi sono stancato di portarli in giro. Vedremo come andrà, per il nostro tipo di pubblico…dalle vostre parti come funzionano le cose?

Penso che il vinile sia tornato, anche per le ristampe.

Vachon: Capisco, in effetti ogni nuova uscita Alligator ha una versione in vinile.

Vi capita di registrare più canzoni e poi di scartarne qualcuna per arrivare a comporre il disco?

Vachon: No, non lavoriamo così, decidiamo cosa incidere prima di andare in studio. Non abbiamo il lusso di passare giorni e giorni in studio, dobbiamo badare al sodo, perciò non rimane nulla da scartare.

C’è stato qualcosa che, come hai detto poco fa, ti ha trasmesso il virus del blues?

Beh, è interessante, perché ogni domenica pomeriggio c’era un programma televisivo chiamato Don Kirshner’s Rock Concert, in realtà andava in onda il sabato sera, ma era troppo tardi per noi per stare svegli a guardarlo, ma lo trasmettevano di nuovo la domenica pomeriggio. E io lo guardavo sempre. Una volta suonava la band Journey e io non sono un loro grande fan, ma mio fratello adorava i Journey, quindi guardava con grande attenzione. E hanno detto: “Adesso vi presentiamo qualcuno che ci ha ispirato moltissimo, un musicista che amiamo e che vorremmo si unisse a noi”. E B.B. King è salito sul palco! È stata una cosa incredibile. Non avevo mai sentito parlare di lui, guardai mio fratello e gli chiesi: “B.B. King? Hai mai sentito parlare di lui?”. No, rispose. Una volta che iniziò a suonare e a cantare, pensai: “È straordinario”. Sembrava gospel, che conoscevo dalla chiesa… ma non avevo mai sentito niente del genere.

Così il giorno dopo ho chiesto al mio insegnante di musica a scuola: ha mai sentito parlare di un musicista chiamato B.B. King? Oh sì! Ha risposto, ha preso la sua chitarra e ha iniziato a suonare Lucille. Ogni due settimane andavamo in biblioteca, dove c’era una vasta collezione di dischi, così ho iniziato a cercare e ho trovato un disco di B.B. King, era “Live At Cook County Jail”, una delle sue registrazioni più significative. L’ho ascoltato più e più volte. Poi la mia curiosità è arrivata al punto che mi sono chiesta: ci saranno anche donne che hanno fatto lo stesso? Così ho scoperto Etta James, Koko Taylor, Ruth Brown, Big Maybelle, Big Mama Thornton… è come cadere nella tana del bianconiglio. La cosa interessante per me era che riuscivo a sentire il blues nella musica popolare, come ovviamente nei Led Zeppelin o nei Rolling Stones, e questo ha alimentato il mio interesse per molti stili musicali diversi. Che viaggio fantastico è stato!

Chris, anche per te B.B. King ha rappresentato una svolta?

Vachon: Sì, il primo disco di blues che ho avuto è stato “Live At The Regal”, avrò avuto quindici o sedici anni. È cominciato tutto da lì. Me lo aveva dato un mio amico e mi dissi- wow davvero forte-.

Uno dei motivi per cui amavo i Roomful, molto prima di entrare nella band, era che avevano i fiati e lo stesso setup di B.B. King. Ma mi ci è voluto molto tempo per arrivare qui, perché avevano dei chitarristi fantastici. Credo di aver avuto trent’anni quando ho fatto il provino per entrare nella band… Ronnie (Earl ndt) stava per andarsene, ma poi non l’ha fatto ed è rimasto per altri sei o sette anni. Quando finalmente se n’è andato, hanno assunto qualcun altro, si chiamava Tommy K, ma alla fine se n’è andato anche lui. Così mi hanno portato in tour e mi hanno tenuto, ma per molto tempo non mi hanno detto che ero stato assunto. Ero per così dire in prova… ma è andata bene e sono nella band da 36 anni.

 Hai fatto parte di altre band prima dei Roomful?

Vachon: Sì, ho suonato con varie band a livello regionale…ma almeno suonavo blues. In alcune ho suonato il basso e cantato, ma poi con i Roomful c’erano così tanti bravi cantanti che mi sono detto, OK al massimo riesci ad essere intonato, ma è tutto qua.

Roomful Of Blues photo Sonja Lemoi

Roomful Of Blues foto Sonja Lemoi

Come siete riusciti a conservare la stessa identità nonostante i cambiamenti di musicisti all’interno della band nel corso del tempo?

Vachon: Sostanzialmente è rimasta la stessa perché ogni volta che qualcuno se ne è andato siamo riusciti a trovare qualcuno con un retroterra simile che conosce già la band. E l’idea è rimasta la stessa, nessuno sia aspetta che diventiamo una rock band.

DD hai avvertito la responsabilità nell’entrare a far parte di una band con una storia così lunga?

Bastos: Oh assolutamente, proprio perché, come hai detto, ci sono tutti questi anni di storia che ti trovi a rappresentare. La cosa incredibile dei Roomful è che sono una macchina ben oliata e il trovarmi ad essere la prima cantante donna a registrare con loro mi ha fatto pensare: “Wow, devo davvero dare davvero il meglio per questo progetto”. Come cantante solista sei la prima punta il primo collegamento con il pubblico, perché alla maggior parte delle persone piace ascoltare musica che ha un testo e una storia. Quindi ho sentito che era importante per me lasciare il segno in un modo che mantenesse la storia e fosse fedele allo stile di Roomful, ma allo stesso tempo sviluppasse il mio stile personale. In modo che i fan potessero apprezzarlo e non sentirlo come qualcosa di completamente diverso e distante. Ecco perché avevo bisogno di canzoni che potessi sentire mie, ma che fossero nello stile di Roomful.

 Avete anche pensato di scrivere canzoni originali, magari in collaborazione tra voi?

Bastos: Oh, certo, è proprio questa l’idea per il prossimo disco, scrivere quanti più pezzi originali possibile. E in collaborazione, questo è il bello.

Tornerete a suonare molto dal vivo? Immagino non sia facile andare in tour con una band di otto elementi.

Vachos: Beh, no infatti, è una grande sfida. Ci piacerebbe riprendere tour a livello internazionale ma non è facile essendo in così tanti. Spero ci riusciremo, ma ci vuole un po’ di tempo per rimettere in moto tutte le cose. In passato abbiamo fatto molto ma è certamente più complicato rispetto ad un trio o un quartetto.

Quali sono stati alcuni dei momenti più memorabili dei vostri percorsi con i Roomful o senza?

Vachon: Mangiare il cibo in Italia! (ride) Abbiamo vissuto tante esperienze, viaggiare è stato incredibile, non avrei mai pensato di visitare tutti quei paesi diversi, anche se non ci si resta a lungo… Da bambino pensavo che se avessi fatto un paio di concerti nella mia zona sarei diventato qualcuno. E invece è stato molto di più. Sono entrato a far parte della band quando avevano già lavorato con Pat Benatar e Colin James… quindi non ho potuto registrare con nessun altro oltre ai Roomful. Ma abbiamo avuto persone che si sono fermate a guardarci, come Billy Gibbons o Lowell Fulson, ed è sempre emozionante, ti rende un po’ nervoso. Ricordo che una volta stavamo suonando a Memphis al B.B.King’s durante un blues lento, sono sceso dal palco, stavo camminando sul pavimento e all’improvviso ho guardato e ho visto Albert King che soffiava una boccata di fumo dalla sua pipa proprio davanti a me… Ho pensato: “Oh Gesù!”. Abbiamo fatto un sacco di cose divertenti, potresti scriverci un libro.

Bastos: Uno dei momenti più preziosi che ho vissuto con Roomful è stata quella prima serata, memorabile proprio perché era la prima volta. Ero nervosa, ma alla fine è stato fantastico, mi sono detta: «Ok, ci sono!». Ma anche poter vivere alcune delle esperienze che ho avuto nella mia vita, per esempio qui negli Stati Uniti ogni stato organizza una competizione quando sei al liceo, ti unisci a un coro e poi cerchi di arrivare alla gara del distretto, poi allo stato e alla zona orientale, e infine tutta la nazione… Sono stata molto fortunata a poterlo fare. Ci siamo riuniti con un coro enorme, siamo andati in un’università e l’esibizione è stata in un country club a New York. Ne sono rimasta folgorata. Bisogna fare un’audizione per alcune parti, al liceo ero un soprano, cantavamo note alte, ma volevano solo un piccolo gruppo di noi per quello. Sono stata una delle cinque persone scelte. Per me è stato molto importante. L’unica cosa che potrebbe superarlo sarebbe un Grammy Award. Non sarebbe male!


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