A due anni dal precedente “Black Bayou”, torna Robert Finley, ancora sulla Easy Eye Sound di Dan Auerbach, casa di ogni suo progetto discografico dal 2017 ad oggi. Un disco che si colloca nella continuità del solco tracciato assieme al chitarrista e cantante dei Black Keys, sebbene con qualche variazione, di volta in volta. Al centro c’è sempre la voce del settantunenne Finley, potente ed espressiva, in grado di adattarsi a tappeti sonori differenti. Come per il precedente, che già aveva un approccio da “live in studio”, in cui i pezzi non erano preparati prima ma sono venuti fuori durante la session, anche questo lavoro ha avuto una genesi simile.
Cambiano i musicisti di supporto però, se là spiccava la presenza di Eric Deaton e Kenny Brown, per un risultato talvolta vicino allo swamp blues, stante la costante presenza di Auerbach stesso, qui troviamo due musicisti protagonisti di un’altra recente produzione Easy Eye Sound, vale a dire Malcolm Catto (batteria) e la chitarra di Barrie Cadogan (Little Barrie & Malcolm Catto), mentre al basso ecco Thomas Brenneck (Dap-Kings, Charles Bradley, Lee Fields e molti altri), oltre alle tastiere di Raynier Jacildo.
Inoltre, come si deduce fin dalla copertina un po’ discutibile con la scritta ad aureola sopra la sua foto, di rilievo la presenza della figlia di Finley, Christy Johnson, che gioca un ruolo di primo piano nel rispondere vocalmente al canto. Ancor di più se si tiene conto che i testi dell’album sono di carattere gospel, un ambito frequentato abitualmente dal nostro, seppur sui dischi precedenti solo lambito. Siamo comunque abbastanza lontani dai canoni, l’accompagnamento del gruppo alle sue spalle è vigoroso e talvolta indulge a qualche effetto sonoro memore di certo R&B quasi psichedelico degli anni Settanta e la voce di Finley si staglia sopra il tutto.
Sono soltanto otto brani, ma tre di essi raggiungono una durata superiore ai sette minuti, in cui il messaggio è di lode e ringraziamento, di testimonianza econdivisione, risulta eloquente fin dai titoli. Dall’apertura ritmata di “I Wanna Thank You” alla lunga “I Am A Witness”, una sorta di soul/gospel con sonorità da colonna sonora blaxploitation, passando per la lenta “His Love”, in cui quasi come un mantra Finley ripete “his love is forever”. Più vicina al blues, con la sua scansione ritmica e gli interventi di un armonicista (Tim Quine) “On The Battlefield”, mentre “Holy Ghost Party”, di cui è disponibile un curioso video girata in una chiesa con Robert nelle vesti di predicatore, celebra il ritrovarsi della comunità, almeno prima che un assolo di chitarra distorta distolga un po’ l’attenzione. Altrove “Helping Hand” è pervasa da una certa tensione e guadagna senz’altro nella durata più breve.
Anche in quest’album la convinzione e l’onestà convogliate dalla voce di Finley arrivano intatte all’ascoltatore, travalicando anche qualche effetto sonoro di troppo. Peccato solo i suoi tour europei (l’ultimo dei quali avvenuto nell’intero mese di ottobre) continuino ad escludere sistematicamente date nel nostro paese; ma questo è, ahinoi, un altro discorso.
Matteo Bossi










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