Quando se ne vanno figure della statura di Steve Cropper, scomparso all’età di 84 anni lo scorso 3 dicembre, ci si trova sopraffatti nel solo ripercorrere la mole di musica che lo ha visto coinvolto, in vari ruoli, a partire dall’inizio degli anni Sessanta. Basterebbe quanto accaduto in quel decennio per consegnare alla storia il suo nome, legato a doppio filo ad una piccola etichetta creata da due fratelli Jim Stewart ed Estelle Axton a Memphis, dapprima chiamata Satellite e poi dal 1961, Stax.
E forse non è un caso che proprio il suo gruppo, The Royal Spades, che presto si rinominò The Mar-Keys, abbia firmato uno dei primi hit dell’etichetta, “Last Night”. Cropper, benché poco più che ventenne, si trova in breve tempo a far parte della house band della Stax, suonando in dozzine di dischi. Accanto a lui c’erano Lewis Steinberg e poi Donald “Duck” Dunn al basso, Al Jackson Jr alla batteria e un diciottenne di grandissimo talento, Booker T. Jones. Ossia il nucleo di Booker T & The MG’s, una band mista, una felice eccezione, anticipatrice dell’integrazione che il movimento per i diritti civili stava portando avanti. A partire dal successo “Green Onions”, un hit nato quasi per caso, improvvisando in studio in attesa di una session, il loro suono diviene quasi sinonimo della Stax.

Steve Cropper, Pistoia Blues Festival 1988 (Foto Marino Grandi)
Cropper possiede uno stile molto particolare alla chitarra, le sue ritmiche impeccabili contraddistinguono moltissimi brani diventati dei classici, dove i silenzi contano almeno quanto le note. I suoi contrappunti, gli assolo, brevi e incisivi, hanno fatto scuola e in questo si può ben dire che avesse perfezionato la lezione di uno dei suoi eroi, Lowman Pauling dei The 5 Royales, riferimento riconosciuto anche da un disco omaggio “Dedicated: A Salute To The 5 Royales” (2011).
Uno stile economo sempre al servizio delle canzoni, che in molti casi aveva anche contribuito a scrivere e arrangiare. Anche qui sarebbe sufficiente citare alcuni brani firmati con gli amici Eddie Floyd (“Knock On Wood” o “634-5789”) Otis Redding (“Mr Pitiful”, “Any Ole Way”, “Fa-Fa-Fa-Fa-Fa (Sad Song)” e ovviamente “(Sittin’ On) The Dock Of The Bay”) o Don Covay, (“See Saw”), per fare di lui un autore di primaria grandezza. Per non dire del lavoro svolto come produttore sia con artisti della label, Eddie Floyd,Staple Singers o l’esordio solista di Mavis, oppure in seguito come freelance dagli anni Settanta in poi per Mitch Ryder, Jose Feliciano, John Prine, Robben Ford, Joe Louis Walker, Shemekia Copeland…e sono soltanto una minima parte.
E poi, certo, l’avventura dei The Blues Brothers, dischi e film, ancora con l’amico di lunga data Duck Dunn, dove lascia ancora il proprio segno e si fa conoscere ad un pubblico più vasto. La sua attività solista, inaugurata con “With A Little Help From My Friends” su Stax, non si è mai arrestata davvero ed anzi l’ultimo suo album, “Friendlytown” (Provogue) con la partecipazione di Billy Gibbons, risale soltanto allo scorso anno. Canonizzato, con pieno merito, in ben tre Hall Of Fame (Rock’n’Roll, Musicians, Songwriters), Cropper ha ispirato (e siamo sicuri che continuerà a farlo), generazioni diverse di musicisti o aspiranti tali, come uno degli artefici essenziali della musica americana.
Matteo Bossi










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