alabama mike

Little Village è una fondazione no-profit creata da Jim Pugh nel 2015, una volta terminata la sua lunga permanenza, ben 25 anni, come tastierista nella Robert Cray Band. Attraverso di essa ha pubblicato decine di dischi, valorizzando artisti meritevoli ma magari non ancora emersi del tutto o rimasti senza etichetta. Pensiamo, scorrendo il catalogo, a Willie Walker, Aki Kumar, Ron Thompson, Sonny Green, Diunna Greenleaf…per non citarne che alcuni. Tutti accomunati da un fattore, pur nella differenza specifica di ogni artista, la qualità complessiva della produzione.

Tra le uscite di quest’anno troviamo questo album di Alabama Mike, cantante attivo sulla West Coast da diversi anni e con una serie di produzioni sulla sua etichetta Jukehouse, oltre ad uno sulla Bigtone di Big Jon Atkinson (Il Blues n. 149). Registrato nello studio Greaseland di Kid Andersen (qui anche produttore e chitarrista), “Stuff I’ve Been Through”, Michael Benjamin si conferma un cantante di livello che, questa volta, si muove in una direzione diversa rispetto al precedente che guardava più a Chicago. Siamo infatti in territorio soul/blues con una band allargata e compatta, arricchita da sezione fiati, archi e coriste (Vicki Randle, Lisa Leuschner Andersen).

Tutti gli undici brani sono di sua composizione, nove sono in studio e due, posti alla fine,  quasi come bonus, sono invece dal vivo. Si tratta di  “Mississippi” con ospite Rick Estrin all’armonica e il gospel “God Is With You”, cantato con la Leuschner, un rimando alle chiese che frequentava nell’infanzia a Talledega, Alabama.

La scrittura di Mike è fondata sul personale o sull’osservazione della realtà, come nella canzone che dà il titolo all’album, condita sovente con una dose abbondante di autoironia. “Fat Shame”, presente in due parti, è ad esempio una difesa appassionata e funky delle persone con qualche kilo di troppo, si direbbe provenire da qualche session degli anni Settanta, del resto al basso c’è un maestro come Jerry Jemmott. Buffo il video del pezzo rintracciabile in rete.

Ancora bagnata in atmosfere analoghe risulta la ballad soul “Damage Control” così come “Goodbye Tamika”, addio sardonico ad una ex, sottolineato dalla sezione fiati e dalle coriste. I fiati sono di nuovo in grande evidenza nel funky/blues “King Cock”, una vanteria semiseria, con un bell’assolo del sempre ottimo Anson Funderbugh.

Ma ci sono anche momenti di commento sociale, “This Ain’t No Dizneyland”, per esempio, dove il nostro, residente da anni a Richmond, California smentisce il luogo comune sul benessere del “Golden State”, i vestiti li acquista nei negozi da 99 centesimi e “…just around the corner you see the hungry and the homeless…”, canta, in un brano jazzato che sarebbe piaciuto a Curtis Mayfield. La voce del cinquantottenne Alabama Mike, stentorea e versatile si dimostra del tutto a suo agio nel condurre in porto un disco di soul/blues divertente e ben suonato, da ascoltare di filato in una serata estiva.

Matteo Bossi

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