Nonostante il titolo evocativo del suo terzo album, sarebbe riduttivo considerare Big A come un qualunque portabandiera del blues suonato a Clarksdale (MS). In realtà, dopo averlo ascoltato più volte nei club del profondo sud, sono tra coloro che considerano Big A l’artista che meglio rappresenta il sound del blues elettrico del Delta, quello che meglio trasmette la tradizione di Big Jack Johnson, dei Jelly Roll Kings, il down home blues che trasuda dai pori della pelle di Roosevelt “Booba “ Barnes, il suono appiccicoso e ipnotico del compianto bassista Wesley ”Mississippi Junebug“ Jefferson, quello che si impregna del canto di Josh ‘Razorblade’ Steward o che imita le scatenate incursioni di James ”Super” Chickan.
In pratica è l’erede dell’arte musicale del Delta con la A maiuscola. Figlio del cantante gospel E. J. Johnson (membro dei Golden Stars) e figlioccio di Big Jack Johnson, Big A, (nato nel 1984 a Clarksdale), è immerso nel blues dall’età di sei anni, quando suo padre gli comprò la sua prima chitarra.
Suo cugino suonava la batteria con un gruppo al Delta Blues Museum. Quando Johnnie Billington, pilastro della chitarra blues nel Mississippi, venne a sapere che il piccolo Big A voleva suonare, gli insegnò le basi del basso, in particolare con l’aiuto di alcune cassette di B.B. King, dicendogli che così avrebbe potuto guadagnare un po’ di soldi durante la sua infanzia. Nell’ambito del programma extrascolastico del Delta Blues Museum (di cui oggi è uno dei più ferventi promotori), Big A è stato formato dal suo mentore alla scuola dell’eccellenza e ha continuato a suonare con lui nel suo gruppo J.B. and the Midnighters fino alla sua morte nel 2013.
Sherrod è apparso nel notevole documentario del 2012, “We Juke Up In Here” (DVD da cercare), nel brano omonimo che ha composto e che offre una visione suggestiva della cultura e della tradizione dei juke joint del Mississippi. Ascoltandolo, si rimane colpiti dalle reminiscenze del tocco e della brillantezza del gioco del compianto Big Jack Johnson. Nel corso dell’ultimo decennio, Big A ha anche valorizzato il blues di Clarksdale su disco.
Il suo primo album con i Cornlickers (ex gruppo di Big Jack Johnson), pubblicato nella serie “Red’s Juke Joint Sessions vol 2”, è stato registrato nel 2014. Il secondo, “Right on Time” (2016), rimasterizzato e ristampato da Nola Blue nel 2022, è stato premiato come “miglior album di debutto” dalla rivista Living Blues. Sherrod è anche vincitore del Bobby Rush Jus’ Blues Music Award 2024. Ha inoltre partecipato al Blues-Symphonic Experience, una sorta di mix tra musica classica e Delta blues sotto la guida di Morgan Freeman, comproprietario del mitico club Ground Zero a Clarksdale.
Big A è un brillante polistrumentista: chitarra elettrica, basso, batteria e tastiere con cui interpreta e canta un blues denso e appassionato, in linea con il blues elettrico del Delta che insegna ai più giovani: “Ho trasmesso gli insegnamenti dei miei mentori ai miei allievi, affinché non dimentichino mai da dove tutto è iniziato”, spiega. “Clarksdale è la culla del blues… Puoi suonarlo e puoi scriverlo. Ma devi sentirlo per avere successo”.
Il suo terzo disco, “Torchbearer of the Clarksdale Sound”, è appena uscito per Music Maker, con grande soddisfazione di Tim Duffy, il boss della Music Maker Foundation, che lo ha inserito nel suo catalogo. Questo album presenta diverse particolarità. Innanzitutto, si tratta più di un “EP” che di un album, poiché contiene solo 5 brani per una durata complessiva di 28 minuti. In secondo luogo, è una novità assoluta, perché tutti i brani sono originali. Infine, il produttore non è altro che Jimbo Mathus (Squirrel Nut Zippers), che ha saggiamente scelto di registrare Sherrod nel suo ambiente a Clarksdale. Nel febbraio 2025, Mathus ha installato due microfoni collegati a un registratore analogico “reel-to-reel” a due tracce all’interno del Clarksdale Reels, un vecchio negozio con pareti in mattoni ricoperte di intonaco, che conferiscono al suono una colorazione proprio come piace a Mathus.
In una sola sessione di due ore, accompagnati dalla bassista Heather Crosse, dal batterista Lee Williams e da Jimbo Mathus alla tastiera, hanno registrato le cinque canzoni dell’album. “Volevo che Big A fosse nel suo ambiente naturale, in questo contesto live”, spiega Mathus. “Era al top”. Scommessa vinta! L’unico inconveniente di questo album è che contiene solo cinque canzoni! Big A è un artista che interpreta, rivendicandolo, un “real blues”.
La sua voce è accattivante e i suoi riff di chitarra sono incisivi e incandescenti. La chitarra dal suono chiaro e dal fraseggio fluido funge da catalizzatore di emozioni musicali. Sherrod apre l’album con “Baby That Hurt”, su un ritmo reggae, cantando “Sono uscito in città ieri sera, ho visto la mia ragazza con un altro ragazzo, mi ha fatto male, mi ha fatto male”. In “Don’t Make Me Pay”, Sherrod implora: “Beh! Non farmi pagare… vedi, mi hai mentito troppo a lungo… non farmi pagare… non essere troppo dura con me, tesoro, non farmi pagare”. Un bell’esempio del linguaggio vernacolare della comunità afroamericana.
“Good Man” riflette la quintessenza della musica di Big A: un linguaggio sincero, un groove torrido, un tocco di reggae, soul e funky blues sostenuto da note psichedeliche, un ritmo travolgente e arrangiamenti precisi alla tastiera. Ne vogliamo ancora! Sherrod, da “bravo ragazzo”, è deluso: “Senti, avevo una donna fantastica… Beh, ora lo sai, ora lo sai… Ricordo quello che mi ha detto… Ho perso una donna perbene, ora se n’è andata, ora se n’è andata”.
In “My Life”, un racconto autobiografico intimo e commovente dal ritmo medio-veloce, Sherrod canta: “Beh, sì, parlo della mia vita, sono nato a Clarksdale, in campagna, nel Mississippi… Sentivo qualcuno che mi chiamava e andavo a fare una passeggiata… Hai il blues, ogni giorno ho il blues, tutta la mia vita, non se ne andrà“.”Everybody Ain’t Your Friend” gli dà l’opportunità, con la sua chitarra fiammeggiante e ariosa, di parlare con ironia dell’ingratitudine e dell’ipocrisia dei veri falsi amici: “Fai attenzione a quelli che consideri tuoi amici, non tutti sono tuoi amici solo perché ti frequentano, possono riderti in faccia, dicono di sostenerti, non tutti sono tuoi amici solo perché ti frequentano, non sono tuoi amici, non sono tuoi amici”.
Da meditare. Ecco in cinque brani, probabilmente, l’album della maturità di questo giovane quarantenne, in contatto diretto con la dura quotidianità dei musicisti del Sud, nata dalle difficoltà della vita. Un album che va dritto al punto, senza sovraincisioni né ritocchi. Big A canta con forza e convinzione, a volte con disperazione, la propria esperienza di vita, mettendo a nudo senza pudore i propri stati d’animo che lo agitano, la fonte da cui attinge la sua ispirazione
Insomma, Anthony Sherrod restituisce qui, intatto, il suo vibrante e tutta la sua emotività e lo fa in modo superbo. La sua musica, che agisce su di lui come una vera e propria catarsi, costituisce senza dubbio una parte essenziale della cultura musicale afroamericana che si può (ancora!) ascoltare nei locali del profondo Sud. Da non perdere.
Philippe Prétet










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