L’ultimo fine settimana di agosto, da ormai oltre tre decadi, è la collocazione riservata al Blues to Bop di Lugano, anche quest’anno con un programma trasversale e interessante, allestito dall’amministrazione comunale in collaborazione con Ed Bersier. La formula è quella consolidata, con qualche accorgimento differente. I palchi sono stati ancora tre, con l’avvicendamento però al posto di piazza San Rocco, di uno allestito sul lungo lago e denominato Rivetta Tell, per i concerti nelle serate di venerdì 25 e sabato 26. Come già da alcuni anni a questa parte poi, il festival ha previsto una serie di incontri pomeridiani con artisti e/o scrittrici per offrire una ulteriore occasione di approfondimento sulle musiche di matrice afroamericana,

Elli De Mon ph Matteo Bossi

Eccoci quindi con Elli De Mon, nella bella cornice di piazza Cioccaro, per inaugurare il festival. L’artista veneta parte a spron battuto, ma il suono risulta all’inizio un filo impastato. Poi le cose migliorano, la one woman band introduce i brani, omaggia Lottie Kimbrough o Ma Rainey, lasciando filtrare l’importanza sovversiva dei testi come, per esempio, in “Prove It On Me Blues”. Propone anche un pezzo con il sitar, altro suo strumento d’elezione, un incrocio tra oriente e occidente, mondi distanti soltanto in apparenza.

A seguire ci spostiamo per seguire una parte del concerto di Eugenio Finardi in piazza della Riforma. L’eclettico artista milanese, nel proprio percorso, ha sovente spaziato seguendo il proprio gusto. Qui a Lugano si è preso una pausa dal tour di Euphonia Suite e torna a proporre il fortunato progetto Anima Blues, sfociato in un album del 2005. Accanto a lui ci sono Vince Valicelli (già sul disco), Giovanni Maggiore, Andrea Taravelli e Mecco Guidi. Un’occasione per riscoprire una passione, quella per il blues, che ogni tanto riaffiora in superficie e lo porta con sé, inducendolo, forse, ad anche ad uso differente della voce. Il set è ricco di omaggi ad alcuni suoi eroi e ripassi di classici come “Spoonful” o “Shake Your Hips”.

King Solomon Hicks ph Matteo Bossi

Se lo scorso anno era stato la rivelazione del festival, King Solomon Hicks ha confermato quest’anno tutto il suo talento. Bastano le prime note che sentiamo al Rivetta Tell per capire come sia sempre ottimamente accompagnato dal suo produttore, Kirk Yano al basso e da Steve Holley alla batteria. Solomon possiede una bella voce dalla sfumature soul e alla chitarra il suo fraseggio e pulito e dinamico, senza annoiare mai nei passaggi solisti. Non ha ancora pubblicato un nuovo lavoro dopo “Harlem” e da esso provengono esecuzioni come “I’d Rather Be Blind” o “Help Me”, brani che sono, ovviamente, dei classici ma i suoi arrangiamenti li rendono freschi e gustosi.

Del concerto di The War and Treaty, apprezzati lo scorso anno anche in Italia a Piacenza, restano di sicuro impatto gli scambi vocali tra la coppia, sul palco e nella vita, formata da Michael Trotter e Tanya Blount. Portano in scena, qui con un gruppo allargato, la loro musica eclettica che attinge a soul, ballate, brani vicini al country o altri dalle atmosfere jazzate. Quanto a repertorio attingono al recentissimo “Lover’s Game” (Mercury) prodotto da Dave Cobb, con pezzi quali “Ain’t No Harmin’ Me” oppure “Yesterday’s Burn” ma recuperano anche episodi dai primi lavori, come l’efficace “Set My Soul On Fire”.

Riusciamo a vedere, anche se solo parzialmente, l’esibizione di Keith “Prince Of Delta Blues” Johnson accompagnato dalla sua Big Muddy Band. Johnson è chitarrista e armonicista, visto qui anche lo scorso anno quando faceva parte della band di Vasti Jackson. La loro è una proposta accostabile per certi versi a quella di Vasti, anche alcuni dei musicisti sono gli stessi. Un blues muscolare dai suoni un po’ compressi, a dire il vero, su cui si staglia la chitarra di Johnson. Repertorio che alterna alcuni brani originali, “Come To Mississippi” a molti standard, soprattutto del repertorio del suo avo Muddy Waters.

Shemekia Copeland ph Matteo Bossi

Shemekia Copeland è, a sua volta, una certezza. L’avevamo lasciata nel 2019 a Lucerna e la ritroviamo quattro anni dopo, con la sua voce e la personalità sempre ben delineate. Non sono stati anni facili per lei, con un problema di salute (sono “cancer free” da due anni, esclama dal palco) e la scomparsa della madre lo scorso anno. A lei dedica “Nobody But You”, un brano composto dal padre Johnny e inciso da Shemekia in “Done Come Too Far”.

Shemekia è accompagnata dalla sua band, un ensemble molto rodato, se pensiamo che chitarrista Arthur Neilson è al suo fianco in pratica dai suoi inizi, venticinque anni addietro. Il suo repertorio si è arricchito, col tempo, di brani originali che non disdegnano messaggi e commenti sociali. Si pensi a “Ain’T Got Time For Hate” o ancora “Clotilda’s On Fire”, ispirata al ritrovamento della nave negriera Clotilda. Ma sono ottime anche la “Great Rain” del compianto John Prine e soprattutto “Never Going Back To Memphis”.

La serata si chiude in piazza della Riforma con Baba Sissoko & Mediterranean Blues. Il sessantenne polistrumentista maliano, discendente di una famiglia di griot ma residente da tempo in Calabria, è accompagnato da una band di sette elementi.  vita ad una performance policroma, in cui il suo ngoni tratteggia lunghe suite a metà strada tra l’Africa occidentale, sonorità afro-caraibiche e quelle mediterranee, pensiamo ad esempio a “Djarabi Blues”.  Il suo messaggio di unità, pace e fratellanza fa presa anche sul pubblico ticinese che lo segue cercando di assecondare i ritmi della musica.

La serata di sabato la trascorriamo gustando ancora Solomon Hicks in piazza Cioccaro per un set divertente e centrato. Ricordiamo una bella “Further On Up The Road” con dedica a Ed Bersier. Davvero bravo. Lo attendiamo con curiosità alla prossima prova discografica.

Spetta alla Treves Blues Band inaugurare la scena di piazza della Riforma e Fabio e soci offrono un concerto solido e simpatico, in cui convivono elementi differenti, medley di classici rock, momenti acustici in con solo Treves e Alex Gariazzo (“Take This Hammer”), slow blues, la “Lodi” dei CCR e le battute ilari del “puma di Lambrate”. Il pubblico li richiama per un bis che Fabio e i suoi pard sono ben contenti di concedere, attaccando la classica “The Blues Is Alright” di Little Milton. E chissà cosa avranno in serbo per il cinquantennale della band il prossimo anno.

I Lovesick Duo sono in pratica un trio vista la presenza del versatile Alessandro Cosentino (violino, percussioni). Francesca Alinovi (contrabbasso, voce) e Paolo Roberto Pianezza (chitarre, voce) sono ottimi alfieri di una tradizione parallela, quella country/rockabilly degli anni Cinquanta, e sposano ad una capacità tecnica di primo piano un look d’antan. Gli strumenti dialogano fitto, la lap steel o il violino si intrecciano con l’accompagnamento pieno del contrabbasso in pezzi dal loro “A Country Music Adventure” come “Roly Poly”o ancora “All Over Again”.

True Believers ph Matteo Bossi

Blues to Bop ha spesso riservato un posto in cartellone per il gospel meno canonico e quest’anno non fa eccezione. Ecco allora i True Believers, gruppo mississippiano che incide per Malaco, guidato da Castro Coleman, noto in ambito blues come Mr. Sipp. A Lugano si schieravano in sestetto, con la chitarra e la voce di Coleman a guidarli, oltre a sezione ritmica, tastiere e un secondo chitarrista. Il suono è pieno e vigoroso, con brani dall’andamento incalzante. Coleman, la cui formazione risale proprio all’ambito gospel e solo in seguito si è cimentato con la musica secolare, sa fare spettacolo con la chitarra, ma anche tornare concreto. C’è spazio anche per una “Amazing Grace” in cui gli strumenti si fanno quasi da parte e le tre voci principali modellano lo storico inno. Ensemble interessante, differente da un certo gospel stereotipato che viene proposto sotto Natale.

Chiusura di serata ancora con la Copeland, altrettanto convincente della sera precedente e con una set list in parte differente. Inizia infatti dalla fluida “Dirty Water” e prosegue in crescendo, passando per “Walk Until I Ride” oppure “Done Come Too Far”, titolo del suo album dello scorso anno. Molto buona anche “The Other Woman”, tratta da un suo vecchio disco. Noi torniamo verso l’Italia sul finire del concerto ma, fonti affidabili ci raccontano, di come  Shemekia abbia continuato a fare faville anche nella jam seguente.

Avendo potuto essere presente solo alle serate di venerdi e sabato, tenendo conto della consueta concomitanza di concerti, qualcosa si finisce inevitabilmente per perdere; tuttavia, la particolarità della manifestazione risiede anche e soprattutto in questo, nel girare da un palco all’altro, lasciandosi guidare dalla musica e dagli incontri con altri appassionati, come nella miglior tradizione festivaliera.

Blues to Bop ha saputo conservare anche quest’anno l’atmosfera festiva, leggera e il gusto della scoperta che aveva saputo infondergli per tanti anni,  il suo direttore artistico Norman Hewitt. E che auguriamo a chi ne ha raccolto il testimone, di portare avanti per le edizioni future.

Matteo Bossi

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