Bluesville-Seconda Parte

di Matteo Bossi

In un precedente articolo avevamo preso in esame quattro uscite nella serie di LP Bluesville, in corso di pubblicazione da parte della Craft/Universal. Ci occupiamo di seguito di tre album, notando come si siano scelti non soltanto titoli classici dalla discografia di artisti celebri, ma scegliendo, coraggiosamente, anche figure meno note e commerciali.

È il caso di Scrapper Blackwell e del suo “Mr Scrapper’s Blues”, uno dei pochi album a suo nome di questo grande musicista dopo la sua riscoperta, avvenuta nel 1958. Blackwell, vero nome Francis, era stato uno dei più stimati chitarristi del periodo prebellico, raccogliendo successi e notorietà accanto al suo socio Leroy Carr, col quale, dal 1928 al 1935, anno della prematura dipartita di quest’ultimo, registrò un centinaio di brani. Molti di essi destinati a divenire standard, oltre a stabilire un canone per tanti duo di piano e chitarra, pensiamo a Tampa Red/Georgia Tom, Clifford Gibson/Roosevelt Sykes, Big Bill Broonzy/Joshua Altheimer…per fare soltanto qualche esempio. Dopo la morte di Carr, Blackwell, pur continuando a vivere ad Indianapolis, smette quasi completamente di fare musica per oltre vent’anni.

scrapper blackwell

La sorte non gli sorride neppure nel nascente folk/blues revival, infatti verrà assassinato nel 1962, a pochi mesi dalla pubblicazione di questo disco, realizzato l’anno prima grazie ad Art Rosenbaum (1938-2022) appassionato di blues e poi docente di arte all’Università della Georgia di Athens. A lui si devono altre registrazioni di artisti di Indianapolis per Prestige / Bluesville quali Pete Franklin, Brooks Berry proprio con Blackwell, JT Adams e Shirley Griffith.

Queste registrazioni lo vedevano solo alla chitarra e ci ricordano, innanzi tutto, come le sue abilità non siano state intaccate dagli anni trascorsi. Inventivo e intricato, il suo tocco alla chitarra ha letteralmente fatto scuola, esercitando una influenza diretta su schiere di chitarristi, da Kokomo Arnold a Robert Johnson. Per l’occasione registra sia temi che era solito eseguire con Carr, come “Blues Before Sunrise” (poi ripresa anche da Elmore James) oppure “Shady Lane Blues”. Molto evocativa “Nobody Knows You When You’re Down And Out”, in una versione particolarmente melanconica. Ci sono anche trumentali per chitarra, “E Blues” o “A Blues”, una malinconica “Little Girl Blue”, suonata al piano, forse con un pensiero al vecchio amico Carr, o ancora il rifacimento di un brano che incise nel 1928, “Penal Farm Blues”.

buddy guy

Restiamo negli anni Sessanta, anche se verso la fine del decennio, nel 1968 con “This Is  Buddy Guy!” secondo album di Buddy su Vanguard ancora prodotto da Sam Charters. Dopo il bellissimo “A Man And The Blues”, uscito nello stesso anno, si decide di far uscire un disco dal vivo e di registrarlo durante un concerto alla New Orleans House di Berkeley, California, in grado di catturare i suoi concerti fiammeggianti.

La formazione è in parte diversa da quella del disco in studio, che contava fuoriclasse come Otis Spann e Wayne Bennett, qui non c’è il piano e come secondo chitarrista venne ingaggiato Tim Kaihatsu (1945-2014), che ritroveremo sugli LP Vanguard di Charlie Musselwhite e più tardi al fianco di Robert Cray.

Al basso c’è di nuovo Jack Myers (era anche nel capolavoro “Hoodoo Man Blues), Glen McTeer alla batteria e una sezione fiati di ben cinque elementi capitanata da A.C. Reed. Buddy è in gran forma e riversa la sua energia su un pubblico, presumibilmente composto in maggioranza da studenti e hippy, che frequenterà spesso negli anni a venire, pensiamo alle aperture per i Rolling Stones o al tour canadese del 1970 immortalato dal docufilm “Festival Express” accanto a Grateful Dead o Janis Joplin.

Nel repertorio  c’è spazio per l’influsso del soul/R&B, d’altra parte era solito eseguire brani come “Out Of Sight” (vedasi filmati dell’American Folk Blues Festival) o “Money” (dal già citato precedente su Vanguard). Stavolta ecco “Knock On Wood”(Eddie Floyd) e la “Fever” portata al successo da Little Willie John e poi divenuta uno standard. Per il blues omaggia uno dei suoi eroi, Guitar Slim, con “The Things I Used To Do” e poi attacca uno di quegli slow blues di cui possiede il segreto, magistrali per dinamiche e intensità, “I Had A Dream Last Night”, in cui i fiati e il basso di Myers hanno un ruolo decisivo. Finale scoppiettante e semi-improvvisato sullo onde dei fiati funk in “I’m Not The Best”, seguendo una espressione dei genitori, “try to be the best until the best come around”, peraltro ribadito in una canzone di molto successiva, “Best In Town” (da “Rhythm & Blues”).

memphis slim

Torniamo invece alla fine del decennio precedente, più precisamente al 1959, per Memphis Slim e il suo “At The Gate Of Horn”, uscito su Vee-Jay. Se il titolo suggerisce trattarsi di una registrazione dal vivo nell’omonimo locale di Chicago, in realtà si tratta di una session in studio. Un espediente non nuovo all’epoca,  anche il “At The Gate Of Horn” di Odetta su etichetta Tradition era frutto di incisioni in uno studio di New York. Ma tornando a Memphis Slim (1915-1988) alias Peter Chatman alias L.C. Frazier (lo pseudonimo con cui firmava i brani), molto attivo discograficamente, sia accanto ad altri (Big Bill Broonzy, Sonny Boy Williamson I, Jazz Gillum…) che in proprio, per un gran numero di etichette.

Solo negli anni Cinquanta incide singoli per King, Premium, Mercury e United, tra le sue cose migliori, poi rieditate per altre etichette, ricordiamo il materiale United venne rieditato dalla Delmark. Alcuni di quei brani li registra nuovamente in queste valide incisioni per l’etichetta di Vivian Carter e il marito James Bracken (Vee-Jay, appunto), che volendo funziona bene quale introduzione al suo universo musicale. Anche perché al suo fianco c’è una buonissima formazione, col fido Matt M.T. Murphy alla chitarra, Sam Chatmon al basso, Billy Stepney alla batteria e una sezione fiati.

La band ha grande compattezza e suona senza sprecare note e Murphy è davvero un chitarrista di classe, basti ascoltare i suoi passaggi solisti su “Blue And Lonesome” o “Steppin’ Out”, uno strumentale che colpirà tanto il giovane Eric Clapton da inciderlo con tre formazioni diverse (Powerhouse, Bluesbreakers, Cream), trasferendo alla chitarra anche certi interventi dei fiati. “Mother Earth” è uno dei suoi classici, inciso per la prima volta all’inizio degli anni Cinquanta e poi ripreso da tanti altri (Tracy Nelson coi Mother Earth, Johnny Winter, Eric Burdon, Dave Alvin…).

Slim è al suo meglio in “Rockin’ The Blues”, fedele al suo titolo, in un remake di “Messin’ Around”, già un successo nel 1948, quando la registrò per la Miracle o in una “Land Me Your Love”, la cui prima versione risale agli anni Bluebird (i primi Quaranta). Un ottimo disco che ha conosciuto negli anni molte edizioni, talvolta con un titolo differente (ad esempio anche “Mother Earth” su Buddah/One Way), restituito nella sua pienezza sonora dalla qualità (180 grammi) di questa ristampa.

(fine seconda parte-continua)

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