BLUESVILLE- Ristampe di qualità

di Matteo Bossi

Varata dalla Craft Recordings all’inizio del 2024, diramazione del gruppo Universal, la nuova serie Bluesville si ispira nel nome all’omonima serie della Prestige iniziata nel 1959, con lo scopo di ristampare in curate edizioni in vinile, album classici provenienti non soltanto da essa, ma anche da altre etichette ormai entrate a far parte del vasto catalogo controllato dalla major, quali Stax, Vanguard, Riverside, Rounder o Vee Jay. Si tratta di vinili di 180 grammi, rimasterizzati in analogico, con il coinvolgimento della Acoustic Sounds di Chad Kassem, che riproducono anastaticamente l’edizione originale, anche nell’apparato note, con l’aggiunta di una fascetta, obi se preferite, comprendente un breve commento redatto dal produttore Scott Billington. Una considerazione generale,  prima di passare in rassegna alcune di queste uscite, riguarda la qualità del suono, che indubbiamente era, in molti casi già valida per le matrici originali, ma in questi Lp il lavoro di valorizzazione è stato davvero ottimale.

skip james

Cominciamo dallo Skip James di “Today”, indubbiamente tra i vertici delle registrazioni da lui effettuate dopo il 1964, quando cioè John Fahey, Bill Barth e Henry Vestine lo trovarono in un letto d’ospedale a Tunica, Mississippi e portato, poco dopo, sul palco del festival di Newport. Questo Lp venne inciso per Vanguard a New York in due giorni, 9/10 gennaio 1966 e uscì sul mercato nell’agosto dello stesso anno. James era artista e persona particolare, orgoglioso e conscio del proprio talento e della propria unicità. Tanto è vero che malgrado le non poche riprese dei suoi brani realizzate dai suoi ammiratori, pensiamo soltanto a quelle contenute in “The Soul Of A Man” di Wenders, rare sono quelle che si avvicinano alla sua musica che viaggia sospesa, animata da una irrequietezza sottile. Se non occorre certo rammentare quanto il suo stile alla chitarra sia stato unico e in parte portato avanti da musicisti come Jack Owens e Jimmy “Duck” Holmes, anche al piano la sua originalità si manifesta, si riascoltino qui “How Long” e “All Night Long”. Per il resto, possiamo senz’altro concordare con Ted Gioia quando, nel suo Delta Blues, scrive: “queste sue riprese di vecchi pezzi come Hard Time Killing Floor, Cherry Ball Blues, Devil Got My Woman, sono collocabili allo stesso livello delle versioni classiche della generazione precedente e in certa misura risultano migliori, non solo per la qualità del suono ma per una intangibile atmosfera di disincanto, difficile da descrivere ma chiaramente avvertibile nei solchi, la sensazione di uno sguardo che va oltre le difficoltà di questa vita e che rende l’interpretazione di questi brani più adatta ad un uomo anziano che a un giovane”.

john hurt

Restiamo con la stessa casa discografia d’origine, la Vanguard creata da fratelli Maynard e Symour Solomon, che aveva nel suo catalogo musica classica e jazz, ma anche figure importanti del folk revival (Joan Baez, Odetta…) e del blues a cominciare dalle antologie Chicago The Blues Today, curate da Sam Charters. Come noto, Mississippi John Hurt viene ritrovato da Tom Hoskins nel 1963 e fino alla sua dipartita avvenuta tre anni più tardi, divenne un faro e un riferimento per tantissimi, apprezzatissimo ispiratore di decine di musicisti più giovani. E per Vanguard incise materiale per tre album, racchiusi negli anni Novanta, in un box di tre CD. “Today!” (1966) è ormai un classico assoluto e come scrisse Marino Grandi recensendo la versione in CD sul n. 55 de Il Blues, “[…] il tempo trascorso dalle incisioni del 1928 non ha tolto nulla alla sua fluidità esecutiva. La sua voce rilassata e il chitarrismo pacato, senza mai perdersi in virtuosismi sono le caratteristiche vincenti di questo songster, gli permettono di ammaliarci con Pay Day e di farci sorridere coi doppi sensi erotici di Candy Man[…]”. Sarebbe del tutto pleonastico rimarcare quanto questi brani, dal suono caldo e chiaro, che non ci si stanca mai di ascoltare, siano entrati a far parte di un patrimonio sonoro condiviso e abbiano conosciuto innumerevoli riprese da parte di artisti di ogni dove.  Da notare che la fascetta menziona, correttamente, la presenza del suo allievo e amico Jerry Ricks alla seconda chitarra in due brani. Ricordiamo inoltre su MJH la meticolosa biografia scritta da Philip Ratcliffe e l’uscita, lo scorso anno, di un film documentario su di lui, “A Man Called Hurt-The Life & Music Of Mississippi John Hurt”, che ci auguriamo di poter vedere quanto prima.

jimmy reed

Con “I’m Jimmy  Reed”, uscito in origine nel 1958 per la Vee-Jay, ripercorriamo alcune celeberrime tracce apparse su singoli tra il 1953 e il 1958 appunto. Reed è stato uno dei bluesmen postbellici più popolari in assoluto, le sue canzoni sono spesso finite nelle classifiche di vendita di Billboard, divenendo degli standard ripresi non soltanto in ambito blues, ma anche in chiave rock’n’roll, soul e country & western. Bob Dylan, che nel suo ultimo album gli ha dedicato un omaggio, “Goodbye Jimmy Reed”, ne ha scritto anche nel suo “Filosofia della Canzone Moderna”, con queste parole: “[…] Il blues a dodici battute può essere eseguito con centinaia d variazioni e Jimmy Reed deve averle conosciute tutte. Nessuna delle sue canzoni tocca mai terra. Non smettono di muoversi. Era il più country di tutti gli artisti blues degli anni Cinquanta. È leggero e rilassato. […]”. Qui ci sono dodici pezzi, alcuni punti fermi del suo repertorio quali “Honest I Do”, “Ain’t That Lovin’You Baby” o “You Don’t Have To Go”, brani notissimi, quanti “Little Rain” o “Boogie In The Dark”, quest’ultima con John Littlejohn alla chitarra e un giovane Albert Nelson, futuro Albert King alla batteria. Essenziali i contributi di Eddie Taylor e nello strumentale “Roll & Rhumba” compare anche John Brim alla seconda chitarra.

gary davis

Un altro album entrato a buon diritto nella categoria degli indispensabili in qualsivoglia discografia di base è poi “Harlem Street Singer” del Reverend Gary Davis. Il disco, uscì nel 1960 nella nuova serie Bluesville della Prestige, venne inciso in un solo giorno nello studio di Rudy Van Gelder in New Jersey, mirabile ingegnere del suono cui si devono centinaia, se non migliaia di incisioni di giganti del jazz (Davis, Coltrane, Monk,Dolphy, Hancock…), con la produzione di Kenneth Goldstein. Un lavoro unanimemente ritenuto tra i vertici della carriera di Davis, anche Ian Zack, autore della sua biografia, “Il Reverendo Gary Davis” (in italiano per Shake) lo definisce, “il capolavoro di Davis e una delle più stupefacenti incisioni dell’era folk. […] Il repertorio, tutto gospel, comprendeva alcuni dei suoi classici, con un cantato sublime e una notevole interazione tra la voce e i virtuosismi della chitarra […]”.  Nel suo testo, Zack ricostruisce più  nel dettaglio la session, segnata anche da qualche tensione con Goldstein, tuttavia, una volta messo il disco sul piatto, tutto passa in secondo piano e si viene sopraffatti dalla sua musica. Versioni definitive di “Twelve Gates To The City”, “Samson & Delilah” o ancora “I Am The Light Of The World”, “Death Don’t Have No Mercy” sulle quali si sono misurati tantissimi aspiranti chitarristi, suoi allievi diretti o di generazioni successive che di lui hanno potuto solo gustare i dischi. E questo è, appunto, imperdibile.

lonnie johnson

Restiamo nella stessa etichetta, Prestige/Bluesville, nello stesso studio di Van Gelder e persino nello stesso anno, il 1960, per “Blues & Ballads”, bellissimo disco intestato a Lonnnie Johnson with Elmer Snowden. Johnson, magnifico cantante e chitarrista, a fine anni Cinquanta stava lavorando come custode in un albergo di Philadelphia quando Chris Albertson, appassionato e DJ, lo ritrova, proprio su indicazione di Elmer Snowden e gli fa incidere “Blues By LJ” su Prestige. Da qui l’idea di realizzare un album coi due amici, il passo è breve, visto che entrambi sono ancora in ottima forma, anche se Snowden non registrava nulla da ben ventisei anni. Banjoista e chitarrista raffinato, fondatore di quella che poi diventerà l’orchestra di Duke  Ellington e poi a fianco di molti altri grandi fino a metà degli anni Trenta. I due sono affiancati dal basso di Wenell Marshall (Ellington, Coleman Hawkins, Art Blakey…)  per dar vita a dieci brani di grande classe, in cui le chitarre dialogano in punta di dita, ognuno incoraggiando l’altro nei passaggi solisti, si ascolti con attenzione gli strumentali “Blues For Chris” e “Savoy Blues” di Kid Ory, di sopraffina, felpata eleganza. Johnson era anche un espressivo cantante a suo agio soprattutto nelle ballad come “Back Water Blues” o “I Found A Dream”, morbidamente sorrette da un finissimo cesello alle chitarre. Persino ovvio ribadire quanto Johnson sia stato tra i più influenti chitarristi del XX secolo, pensiamo a T-Bone Walker, Charlie Christian, Robert Johnson o B.B. King. Quest’ultimo lo ha sempre considerato tra i suoi eroi e in “Il Blues Intorno a Me“, ne parlava così, “[…] il suo cantato aveva un certo che di sognante e il suo stile alla chitarra era più lirico […] era diretto in un luogo oltre il blues che allo stesso tempo non lasciava mai il blues. […]”. Elmer Snowden incise nello stesso anno, in quartetto, “Harlem Banjo” (Riverside) mentre un secondo volume, con gli stessi protagonisti, “Blues, Ballads & Jumpin’ Jazz” venne pubblicato negli anni Novanta.

Non vi è dubbio che gli appassionati di blues affezionati al vinile troveranno in queste riedizioni pane per i loro denti, un’ottima occasione di regalarsi o regalare dei classici, meritevoli di trovare posto in ogni collezione. Sono già in programma due nuove uscite, Scrapper Blackwell e il Live “This is Buddy Guy!”.

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