Che il blues sia diventato (anche) un linguaggio globale, soprattutto negli ultimi decenni, è constatazione persino banale, si veda anche la provenienza sempre più varia agli IBC di Memphis. E gode di un crescente interesse anche in Sud America, pensiamo a quanti validi musicisti provengono da paesi come Argentina o Brasile e alle loro numerose collaborazioni con blues(wo)men americani affermati. Meno nota la scena colombiana, qui rappresentata da Carlos Elliott, chitarrista e cantante, già fattosi conoscere anche in Europa, Italia compresa. Carlos, negli ultimi quindici anni, ha preso a frequentare il Mississippi, avendo l’opportunità di conoscere e suonare con artisti cardine della scena locale, personaggi quali R.L. Boyce, T-Model Ford, Cadillac John, Joe Ayers o Lightnin’ Malcolm.
Ha anche fatto amicizia con i Cornlickers, la band che accompagnava Big Jack Johnson negli ultimi anni di attività, fino alla sua scomparsa nel 2011. Tanto che Bobby Gentilo, il chitarrista e produttore di quella formazione è diventato suo collaboratore fisso e questo Soul Boogie è il quinto album che realizzano assieme. Registrato in presa diretta al Right Coast Recording Studio in Pennsylvania, con loro due e il batterista Edu Oviedo, presenta undici brani di sua composizione che mischiano le sonorità nordmississippiane a riferimenti caratteristici della sua terra. Elliot è rimasto affascinato dalle affinità tra la scansione ritmica della musica di Kimbrough e quello dalla cumbia colombiana e dei parallelismi tra il fiume Mississippi e l’Otun, dalle sue parti.
Viene alla mente un’espressione azzeccata di Jim Dickinson, “world boogie is coming”, diventata poi anche il titolo di un bel disco dei suoi figli uscito nel 2013, per descrivere una concezione della musica umanista e trasversale, per i corpi quanto per gli spiriti, che passa sovente attraverso i ritmi reiterati dell’Hill Country Blues. Un approccio che, crediamo, sottoscriverebbe anche Carlos Elliot.
E qui ne fornisce esempi validi, cantando sia in spagnolo che in inglese, a cominciare dal passo iniziale, “Rattle Snake”, coi suoi richiami ad R.L. Burnside, un invito alle danze con le chitarre a trovare intrecci psichedelici senza virtuosismi. Altri brani in questa stessa vena sono “Boogie Love” e “Boogie Shaman”, efficaci e scorrevoli, fedeli alla parola utilizzata come titolo, boogie appunto, così come “Poder Nativo”, cantato in spagnolo.
Non si pensi però ad un album monolitico, c’è un brano particolare come “Apache Renegade”, una scorribanda di frontiera, un po’ alla Calexico, oppure “Here With You”, una ballata d’amore ideale per rallentare il passo, seguita, per contrasto, da un serrato strumentale, “Tigre Fuego”. Il finale è poi costituito da due brani pregni d’atmosfera, “Slow Down” e “Ahora”, il primo dall’incedere lento ed evocativo e il secondo un momento più cantautorale e latino. Disco interessante per un artista cha sa conciliare elementi diversi e anche dal vivo sa regalare divertimento.
Matteo Bossi










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