Charles Mingus - Peggio di un Bastardo

Dobbiamo ringraziare il jazz per averci dato Charles Mingus, o Charles Mingus per averci dato il jazz?

Questa è la domanda che mi sono fatto dopo aver letto di Mingus, averlo ascoltato e aver letteralmente “divorato” la sua auto-biografia. La risposta che mi sono dato è che Mingus ha contribuito a darci il jazz in un periodo in cui, insieme a Duke Ellington, Miles Davis, Charlie Parker e compagnia, riscrivevano le regole del gioco e della musica. La loro creatura è poi diventata il canale attraverso cui ci sono arrivate le storie di questi personaggi. Charles Mingus è di certo un soggetto da romanzo. L’opera va letta con la mediazione delle lenti dello scrittore: un personaggio divorato dall’appetito per l’eccesso, alimentare, sessuale, violento e sentimentale, la malattia e la vita randagia. Mi sono avvicinato al personaggio di Charles Mingus e alla sua biografia dopo aver letto il capolavoro di Geoff DyerNatura morta con custodia di sax – storie di jazz” (Il saggiatore), e dopo aver letto che questo non è un libro sul jazz, ma è un libro jazz, non ho potuto fare altro che acquistarlo. Dopo averlo letto (divorato è il termine giusto) posso dire che la definizione è corretta. I capitoli si susseguono in modo apparentemente confuso e sconclusionato, senza un filo logico, che anziché stancare, portano il lettore a continuare a saziare il suo appetito alla ricerca del tema conduttore. Come nel viaggio di Alice nella tana del bianconiglio, in ogni capitolo ci sono storie più bizzarre di quelle precedenti, apparentemente sconnesse, che spingono il lettore a continuare per capire come tutto questo si collega. Immaginate una collana di perle che si rompe, queste cadono e rimbalzano confusamente sul pavimento, ma alla fine, tutte singolarmente molte preziose, si riallineano nelle fughe delle piastrelle. Allo stesso modo, chi legge questo libro trascorre ore a cercare di orientarsi in questa meravigliosa confusione chiedendosi dove sta andando ma, al termine del libro, resta una strana sensazione di logica e ordine e il lettore si trova a pensare che, in effetti, ha avuto tutto molto senso. Ma non lo saprà spiegare. Cosa c’è di più jazz?

Questo libro è quindi un’altra composizione jazz di Mingus, non musicale ma letteraria. Il libro si sviluppa in un susseguirsi di capitoli in cui emergono una serie di episodi talmente eccessivi che la reazione spontanea è “va bhe, questo non è successo davvero”. Allora vai su internet cercando notizie e conferme, non ne trovi. Solo che invece di convincerti che quella sia stata una fantasia dell’autore, ti resta inspiegabilmente quel meraviglioso e indisponente dubbio che, si, in fin dei conti, potrebbe anche essere andata in quel modo. Il libro è raccontato in terza persona, da un Charles Mingus “esterno” perché, come scrive l’autore, “in altre parole io sono tre. Il primo, sempre nel mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di poter raccontare ciò che vede fare agli altri due. Il secondo è come un animale spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è una persona gentile, traboccante d’amore, che lascia entrare gli altri nel sancta sanctorum del proprio essere e si fa insultare e si fida di tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi soldi o anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli viene voglia di uccidere e distruggere quello che gli sta intorno compreso sé stesso per punirsi di essere stato così stupido. Ma non può farlo, e allora torna a chiudersi in sé stesso”. Questo libro è stata l’occasione in cui il primo Mingus ha potuto finalmente raccontare gli altri due. La storia è quella di una persona che, già da bambino, non trova un suo posto definito nella comunità. Con un colore di pelle troppo scuro per essere considerato membro della comunità “bianca”, di carnagione troppo “chiara” per essere considerato un membro della comunità afroamericana. “Lui voleva solo essere accettato da qualcuno ma questo ancora non accadeva, e allora vaffanculo! Diventò qualcos’altro. Si innamorò di sé stesso. <<Andate tutti a farvi fottere, squallidi razzisti del cazzo!>>, pensava. <<Io scruto le anime, dentro e fuori. Niente razza, né colore, né sesso. Non m’importa del colore della vostra pelle, tanto io vi vedo dentro, fin dentro le vostre misere anime sottosviluppate e piene di odio>>”

Il libro racconta la storia della sua vita per come l’ha vissuta. Pur non essendo un libro sulla musica, questa rimane una presenza discreta che accompagna la storia dell’autore e quindi della narrazione. Dalle pagine del libro emerge il sentimento di astio che una vita di soprusi e vessazioni ha prodotto in Charles Mingus. Emblematica la sua frase “ci fanno diventare famosi e ci danno dei nomi: il Re di questo, il Conte di quello, il Duca di quest’altro! Tanto crepiamo senza il becco di un quattrino. A volte penso che preferirei morire piuttosto che affrontare questo mondo di bianchi”. La storia di Mingus procede raccontando la sua crescita, la necessità di vivere di espedienti tipica del musicista che ancora non ha avuto successo, il rapporto con Charlie Parker, Duke Ellington, gli album registrati. Passando per i racconti senza edulcorazioni di rapporti, personali, sessuali e sociali. Un personaggio dell’eccesso anche nella terminologia del racconto e nelle immagini proposte. Nelle scene descritte la personalità ambivalente dell’autore emerge in maniera chiara e quasi disturbante tanto è repentino il passaggio tra i due Mingus (il terzo è la voce narrante), nel fallito tentativo di mantenere un equilibrio tra la discesa verso l’eccesso della violenza e degli stupefacenti, e la dolcezza dell’uomo che cerca di restare agganciato a valori più sobri di amore e amicizia. Il capitolo finale in cui il Charles Mingus pacato e amorevole cerca di spiegare ad un Fats Navarro, ormai tossicodipendente, l’esistenza di Dio, è un capolavoro. La scena si svolge con uno scambio di battute di cui faccio fatica, a posteriori, a spiegare il filo logico, ma che nel suo disordine è chiarissimo. La scena raccontata merita di essere letta più volte. Questo libro quindi è un’ autobiografia, un romanzo e un’opera jazz. L’edizione del centenario è stata pubblicata con l’aggiunta di due testi: una lettera aperta a Miles Davis e il saggio manifesto “cos’è un compositore di musica jazz?”, due scritti che completano quello che è un vero e proprio testamento artistico. Questa opera va letta e assaporata ma soprattutto va custodita, non come un libro, ma come una preziosa esperienza.

 

Andrea Capelli

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