George Thorogood al Chiari Blues Festival (foto Gianfranco Skala)

Seconda serata per il Chiari Blues Festival, il 16 luglio scorso, illuminata dalla presenza, per questa unica tappa, di George Thorogood, di ritorno in Italia dopo oltre tre decadi di assenza. Misterioso come talvolta alcuni artisti, per ragioni imperscrutabili, passino raramente dalle nostre parti, mentre altri vi facciano ritorno regolarmente. Ricordiamo anche, per quanto riguarda Thorogood, l’annullamento di una data milanese nell’estate 2013.  L’occasione, dunque, è di quelle invitanti, visto che l’uomo del Delawere, classe 1950, mostra di aver voglia di divertirsi ancora molto sul palco.

L’apertura

L’apertura era affidata ad alcuni artisti italiani, The Scotch prima e Maurizio Pirovano ed infine Tino Cappelletti con la sua Kappelman Joy Band. Bassista e chitarrista di lungo corso, il suo set si caratterizza per un’alternanza di pezzi originali e cover proposte con gusto, pensiamo a “I Can’t Hold Out” oppure una simpatica “Sportin’ Life” di Brownie McGhee. La band gira senza sbavature ed è apprezzabile il lavoro di Tiziano “Rooster” Galli alla chitarra nel ritagliarsi un suo spazio.

Per condividere invitano l’armonica dell’amico Fabrizio Poggi, ricordando in maniera simpatica quando nel 2018 sfiorò i grammy assieme a Guy Davis con il loro disco “Sonny & Brownie Last Train”, per vederlo invece assegnato ai Rolling Stones con “Blue & Lonesome”.

Il concerto di George Thorogood

George Thorogood al Chiari Blues Festival (foto Gianfranco Skala©)

George Thorogood al Chiari Blues Festival (foto Gianfranco Skala©)

Cresce l’attesa per l’arrivo di George Thorogood, che si presenta accompagnato dai fidi Destroyers, Jeff Simon alla batteria, Bill Blough al basso, il valido Jim Suhler alla seconda chitarra, oltre a Buddy Leach al sassofono.

Basta l’inizio per capire che il nostro non ha intenzione di risparmiarsi, anzi invita il pubblico, già in piedi, per un “Saturday night rock’n’roll party”. E festa sarà a suon di classici accumulati in una carriera lunga e fruttuosa. Si torna indietro nel tempo ai primi suoi dischi su Rounder con delle interpretazioni di “Who Do You Love” dell’indimenticato Bo Diddley ma anche del rock’n’roll “Night Time”. E’ un bel promemoria di come la sua sia musica per il corpo, difficile restare seduti infatti, efficace oggi come quarant’anni addietro per divertirsi e scacciare i cattivi pensieri del quotidiano.

Sebbene abbia compiuto 72 anni, George sembra divertirsi incredibilmente sul palco, e ci appare quasi più in forma di quando lo vedemmo nel 2015 al Notodden Blues Festival, forse anche per il pubblico che si dimostrò piuttosto freddino (non solo a causa del clima crediamo), nonostante i suoi ripetuti inviti a darci dentro col “boogie”.

“One Bourbon, One Scotch, One Beer”, boogie hookeriano in origine di Amos Milbourn, viene dilatata a lungo, senza perdere troppo mordente. Thorogood lascia spazio anche alla band, tanto è vero che Suhler si produce in uno strumentale, “Steppin’ Out” (celebre la versione su “Bluesbreakers With Eric Clapton”).

Da gigione quale è sempre stato, lui stesso ammette che a volte riesce a stupirsi per la quantità ed il repertorio di sciocchezze che riesce a sciorinare al suo pubblico, non perde occasione di ammiccare alle belle donne sedute in prima fila, e se per quella alla parte sinistra del palco riserva il suo pettine personale, lanciato dopo essersi fatto bello in perfetto stile showman, a quella a destra lancia una bottiglia d’acqua dicendole che potrà raccontare ai suoi nipoti di aver bevuto con George Thorogood.  Il tutto sotto gli occhi dei rispettivi mariti che colgono (speriamo) lo spirito leggero ed innocuo degli intermezzi.

Thorogood scherza anche col pubblico e riserva per il finale una sequenza di pezzi forti del suo repertorio, arrivano infatti, uno dietro l’altro “Gear Jammer”, “Get A Haircut” (quasi un racconto fedele della storia musicale e umana del nostro beniamino) e la celeberrima “Bad To The Bone”, un pezzo che conoscono anche i sassi, talmente reiterato è stato il suo utilizzo nel cinema e nella televisione. Arriva persino “Tequila” a ribadire l’atmosfera festaiola e spensierata. Siamo quasi al finale, ma c’è ancora tempo, per “Move It On Over” e “Born To Be Bad”, dispensata come unico bis, per accomiatarsi da un pubblico che lo ha applaudito a lungo, consapevole della rara opportunità di vedere nel nostro paese uno artista del suo calibro. Proprio per questo, ci sembra, ne abbia gustato ogni minuto.

Matteo Bossi e Davide Grandi

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