A walk through memory lane
di Matteo Bossi
Ci ricordiamo bene la prima venuta in Italia di Jimmy Burns, correva l’anno 2003, al bel festival di Castel San Pietro. E non lo ha dimenticato nemmeno lui, “mi ricordo bene di quando sono venuto in Italia con mio fratello Eddie…è passato diverso tempo”. Allora avevamo avuto modo di parlare a lungo con lui per una intervista pubblicata sul n. 84 de Il Blues, di lì a poco sarebbe uscito il suo terzo album su Delmark, “Back To The Delta”. Lo ritroviamo, a distanza di anni, con un nuovo lavoro, “Full Circle”, di ritorno per l’etichetta oggi di Elbio Barilari e Julia Miller, che lo vede affiancato dalla Soul Message Band dell’hammondista Chris Foreman. Ottantaduennne, Jimmy non ha perso il gusto di fare musica e la sua memoria è sempre lucida e acuta, lo dimostra continuamente, anche nel corso della nostra conversazione.
Questo disco è diverso da altri che hai realizzato, in primo luogo per la presenza della Soul Message Band e poi sono canzoni del tuo passato R&B che, probabilmente, non sei solito suonare dal vivo.
È vero, suono raramente questo materiale. Suono molte più cose dalle mie registrazioni per la Delmark rispetto al mio periodo R&B. Sai per quanto riguarda il repertorio R&B non l’ho praticamente mai suonato dal vivo fino al 2018. Ma queste session sono andate benissimo, mi è piaciuto davvero lavorare con questi ragazzi. Non è stato un problema, certo abbiamo dovuto provare i pezzi, ma sono ottimi professionisti e questo rende tutto più facile quando vuoi raggiungere un risultato. Li conoscevo già ma non avevamo mai suonati insieme prima.
Nelle note di copertina racconti delle session originali degli anni Sessanta e Settanta, ad esempio su “Where Does That Leave Me” c’era Donny Hathaway ed anche il compianto Bill Howl-N-Madd Perry.
Ho incontrato Donny solo una volta, era il 1970, agli studi Chess, c’erano lui e Phil Upchurch ed era una session per Little Milton, registravano una canzone intitolata “Many Rivers To Cross”, ero con un amico Odell Brown. Non se ricordi Odell Brown & The Organ-Izers, lui finì a suonare per Marvin Gaye ed è uno degli autori di “Sexual Healing”. Ma sì, mi ricordo di ognuna di quelle session, a partire dalla prima, nel 1959. In ogni caso, Donny ha suonato su “Where Does That Leave Me” e “Can’t Get Over You”, ma non è stato accredito, ci hanno messo il nome di qualcun altro. Io e Bill ci conoscevamo da tanto tempo, gli ho parlato anche poco prima che se ne andasse, viveva giù in Mississippi. Tanti non sanno che è stato lui ad insegnare a suonare a Kingfish. Ci conoscevamo da cinquant’anni, da quando viveva a Chicago, poi è tornato nel Mississippi e ci vedevamo quando andavo là. Lo conoscevo come Billy Perry, solo dopo ha adottato il nome Howl-N-Madd, registrò una canzone col nome di Billy Eastoon qui a Chicago, “I Was A Fool”, credo abbia collaborato con Barry Despenza quando questi ha smesso di scrivere con Carl Wolfolk.
Vivi a Chicago dal 1955 e a quei tempi hai frequentato la scena doo-wop col tuo gruppo The Medallionaires, ma anche la scena folk e quella R&B, hai visto artisti come Barbara Dane o Curtis Mayfield.
Beh, amo tutta la musica, adoro il blues ma non sono un purista…mi piace la buona musica, per me c’è solo un tipo di musica, quella buona. Dio mi ha dato il dono di fare musica e mi piace farlo. Mi piace ogni cosa, da Frank Sinatra e Muddy Waters, non che lo suoni ma è il mio orizzonte. Poi dipende dalla canzone, se non la sento non la canto. Hai citato Barbara Dane, mi ricordo di averle parlato nel 1960, avevo diciassette anni, eravamo in un posto a Chicago chiamato Gate Of Horn, credo che al tempo avesse fatto qualcosa con Muddy Waters. È scomparsa di recente, aveva più di novant’anni. Era una bella signora e suonava anche la chitarra acustica.
Sul versante R&B hai conosciuto Otis Clay, Tyrone Davis o Harold Burrage, cosa ci puoi dire al riguardo?
Oh, si conoscevo tutti loro. Con Otis ci siamo incontrati la prima volta nel 1965 a Chicago Heights, Illinois, era una domenica sera. C’era anche Tyrone. Io avevo un disco in circolazione ed anche Otis aveva appena pubblicato “Tired Of Falling In And Out Of Love”, mentre Tyrone aveva un pezzo, “You Made Me Suffer”, su Four Brothers Records. Era prima che diventasse famoso. E c’era un altro ragazzo, Johnny Sayles, lui faceva parte dello show, loro erano lì per la serata. Otis e Tyrone erano anche colleghi di lavoro, ma Tyrone all’epoca era Tyrone The Wonder Boy, non usava il suo vero nome, Tyrone Davis appunto. E il tizio che lo produceva era appunto Harold Burrage.
E Curtis Mayfield?
Beh, frequentavamo la stessa scuola, ma non ci conoscevamo. L’ho incontrato quando Jerry Butler ha lasciato il gruppo, veniamo dallo stesso quartiere. Così ho finito per passare tempo a casa sua ed è li che ho conosciuto gli altri Impressions, come Fred Cash. Non avevo capito che Fred fosse uno degli originali, si era riunito al gruppo quando Jerry se ne è andato, all’epoca non lo sapevo. Io ero amico di Richard Brooks, lui e suo fratello Arthur avevano scritto “For Your Precious Love” con Jerry. Curtis ci ha suonato ma non l’ha scritta lui. Mi ricordo di quando Richard mi disse un loro disco stava per uscire su ABC. Era “Gypsy Woman”. Ci vedevamo spesso era davvero un buon amico. Se ne è andato. Poi sono diventati un trio, con Curtis, Fred e Sam Gooden, ma avevano cominciato in cinque.
Col tuo gruppo avete accompagnato Jimmy Lee Robinson.
Esatto, “Twist It Baby”! C’è il mio gruppo su quel brano…Got a little girl dooo…era su etichetta Bandera. Penso che anche gli Impressions siano finiti su Bandera dopo la Vee-Jay ma abbiano avuto un problema e abbiano firmato un altro contratto. Registravano molte canzoni, mi ricordo di quando Curtis ha iniziato ad essere la voce principale, l’ultima cosa con Jerry credo sia stata “At The County Fair”.
Hai detto che è stato il vedere Billy Branch e Lurrie Bell a fine anni Settanta a farti venir voglia di suonare blues, come sono andate le cose?
Hai assolutamente ragione! Era il 1978, Willie Dixon aveva messo insieme Larry Taylor, mio nipote, Billy Branch, Freddie Dixon e Lurrie Bell e per portarli a Berlino per un concerto chiamato Next Generation Of The Blues. Quando sono tornati a Chicago una sera siamo andati a sentire Billy Branch, era giovaneed ero stupefatto dal sentirlo suonare blues a quel modo, era qualcosa di eccezionale all’epoca. Billy è ancora un mio buon amico ed oggi è uno degli ambasciatori del blues. Ha anche lavorato in Europa con mio fratello Eddie e Little Joe Blue. Quando li ho sentiti suonare…beh mi ricordo di averne parlato a mia moglie, suonavano Chicago blues e amo il Chicago blues, Muddy Waters, Little Walter, Jimmy Rogers…suonavano cose come “Can’t Hold Out Much Longer” o “Crazy About You Baby”, mi piacciono ancora, sono tra le mie musiche preferite.
Il tuo primo album su Delmark, “Leaving Here Walking”, è uscito quasi trent’anni fa. Allora lavoravi molto con Rockin’ Johnny Burgin.
Oh si, erano gli anni Novanta, mi invitarono a suonare allo Smoke Daddy, ma non era una questione di soldi, perché al tempo col mio lavoro guadagnavo qualcosa come mille dollari a settimana. Penso che ci dessero venti dollari più cibo e bevande, ma non mi importava, lo facevo per la musica. Le cose sono andate bene ed è così che sono finito su Delmark. Bob (Koester) era venuto a sentirci, Scott Dirks gli aveva parlato di noi. Quando abbiamo inciso “Leaving Here Walking” erano anni che accumulavo canzoni originali. Avevamo una bella band.
Eri amico anche di Jimmy Johnson?
Oh Jimmy, l’ho visto la prima volta nel 1964 in un posto su Maxwell Street, all’epoca avevo registrato un pezzo intitolato “Give Her To Me”. Sono stato un suo ammiratore da allora, perché era sempre raffinato. Quando l’ho sentito suonare blues negli anni Ottanta ne sono stato sorpreso, perché la prima volta che l’ho visto suonava più che altro R&B, mi ricordo che cantava un brano di Wiliam Bell piuttosto famoso allora, “Any Other Way”. L’ho conosciuto ed era un tipo molto intelligente, una persona davvero in gamba.
Quando hai cominciato a suonare con tuo fratello Eddie? È stata una fortuna vedervi assieme in Italia e poco tempo prima avevate inciso “Snake Eyes”.
Lascia che ti spieghi una cosa. Sono il più giovane, mentre Eddie è il più vecchio, aveva quindici anni più di me. Anche se avevamo gli stessi genitori non siamo cresciuti insieme. Lo ha cresciuto mia nonna, così come mia sorella minore Rosie. Ho conosciuto bene Eddie solo molto più tardi. Settant’anni fa siamo venuti a Chicago, io, mia sorella, mia mamma e il mio patrigno. Nel 1962 lui mi ha presentato Albert King, era per l’etichetta di Little Milton a East Saint Louis, la Bobbin…Milton aveva “Lonely Man” e Albert “Don’t Throw Your Love On Me So Strong”. Li ho incontrati perché stavano facendo qualcosa per Big Bill Hill a Chicago, nel West Side. Quando con Eddie abbiamo avuto modo di fare qualcosa insieme era il 1998 o ’99 in Svezia, con un tizio polacco che è diventato un cittadino naturalizzato canadese su a Toronto. E poi siamo andati in Giappone, la mia prima volta là. Ma non abbiamo fatto molte cose insieme. A volte suonavo con lui come ospite quando andavo a trovarlo a Detroit, lui suonava spesso in città. In realtà ci siamo conosciuti davvero solo a partire dal 1971, quando andavo a Detroit in vacanza con la mia famiglia, con mia moglie e i figli. Volevo che i miei figli conoscessero i loro cugini. E questo ci ha avvicinato molto.
E per quanto riguarda le registrazioni di “Snake Eyes”?
Oh me le ricordo benissimo, perché dovevano essere proprio l’11 settembre 2001. Non lo dimenticherò mai. Dovevamo entrare in studio di lunedì, ma con quello che successe la session venne cancellata e rimandata al martedì. Eddie era a casa mia con sua moglie e mi ricordo che mia moglie e mia cognata stavano guardando la televisione e non pensavano fosse reale all’inizio.
Canti due canzoni, “Beast Of Burden” e “Dead Flowers” su Chicago Plays The Stones, cosa ricordi di quel progetto?
Quello era un progetto di Larry Skoller, il fratello di Matthew, ho cantato due canzoni e mi sembra che solo io e John Primer ne abbiamo cantate due. Anche Billy Branch era su quel disco e su uno dei pezzi che canto c’è Keith Richards alla chitarra. Sai ho conosciuto anche Jeff Beck nel 1965, facevamo parte dello stesso show.
Hai spesso suonato anche in Europa col chitarrista italiano Luca Giordano ed anche con Dave Herrero. Cosa puoi dirmi di queste esperienze con musicisti di un’altra generazione?
Ho suonato molto con Luca in Spagna e in Italia, veniva qui con Quique Gomez di Madrid. Ho parlato con lui non molto tempo fa, lavora molto giù in Brasile. È un grande chitarrista. Lavoro spesso anche con Dave, anzi più avanti questo mese apriremo per gli ZZ Top. Di solito ci troviamo a pranzo qui a Chinatown. Ci conosciamo da molto, lui si ricorda di mia moglie e io ho conosciuto suo fratello e la sua ragazza, persino sua madre, vengono anche a casa mia quando faccio il barbecue, per Natale o il Thanksgiving, cose del genere…due anni fa con Dave e mia nipote Demetria siamo andati a Città del Messico.
Di sicuro suonare con te è una esperienza molto formativa per loro.
Oh non penso mai che qualcuno possa imparare da me, cerco solo di fare quello che devo…tenere tutto sotto controllo. Non l’ho mai pens
ata in questi termini, ma se è così è un bel complimento.













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