Da quando Joe Bonamassa si è trasferito a Los Angeles oltre vent’anni fa, ha suonato in molti teatri della città, fra cui il Greek da cui ha tratto l’eccellente live del 2016: tempo fa aveva pure dichiarato che suonare all’Hollywood Bowl era sempre rimasto un sogno per lui, che finalmente si è avverato nell’agosto del 2023. La grandezza del luogo e l’atmosfera che emana sono state pienamente valorizzate dall’orchestra di 40 elementi che ha arrangiato e arricchito alcune sue composizioni, che troviamo nel live in questione: dopo l’overture iniziale la serata prende vita con una trascinante versione di “Curtain Call”, che ha quasi un rimando alla zeppeliniana “Kashmir”. Viceversa, vi è quasi un afflato meditativo che emerge fra le righe di “Self Inflicted Wounds”, pregevolmente arricchita dall’ariosità dei fiati e dagli interventi vocali; prima di lasciare spazio alla grande intensità di “No Good Place”, gioiellino ripreso da “Blues of Desperation”: in entrambi i casi gli assoli di Joe Bonamassa sono autentici capolavori. Dall’intro acustica di “Ball Peen Hammer” il brano si sviluppa con la personalità della voce del nostro chitarrista, che appare quasi ancor più ispirato del solito: basta soffermarsi sugli splendidi slow come “Prisoner” oppure “Heartaches”, dalla struttura particolarmente elaborata in cui l’orchestra offre un contributo determinante.

Ma non è solo la potenza dei brani blues a brillare in questo album: tracce come “The Last Matador Of Bayonne” dimostrano la versatilità di Joe Bonamassa come compositore e narratore. Con la sua chitarra che racconta storie di perdita e speranza, questa canzone si distingue come uno dei momenti più toccanti dell’intera registrazione. Lo stesso dicasi per l’interpretazione travolgente di “Twenty-Four Hour Blues” di Bobby Bland: la performance dal vivo di questo classico è un’esplosione di energia e passione, con chitarra e l’orchestra che si fondono in un crescendo emozionante. Che Bonamassa ripropone poi anche nella sua “John Henry”, un brano che è ormai quasi diventato un classico, per terminare con un’altra esperienza epica offerta dalla coinvolgente “Sloe Gin”. L’apporto dell’orchestra in questo lavoro è semplicemente straordinario: gli arrangiamenti proposti da maestri del calibro di David Campbell, Trevor Rabin e Jeff Bova aggiungono una profondità e una ricchezza sonora che abbraccia e amplifica la potenza della musica di Bonamassa. Dai brani più energici e ritmati a quelli più malinconici e riflessivi, orchestra e chitarra si fondono in un connubio perfetto di suoni ed emozioni.

 

Luca Zaninello

 

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