Sixto Rodriguez

Per ricordare Sixto Rodriguez,  purtroppo scomparso lo scorso 8 agosto, abbiamo pensato di riproporre, di seguito, l’articolo di Sara Bao del numero 161 de Il Blues.

LE RADICI AFROPORTORICANE DEGLI STATI UNITI

Una jambalaya culturale con romanzi di Ishmael Reed, poesie di Pedro Pietri e musica di Sixto Rodriguez

Ishmael Reed è stato un poeta e uno scrittore dedito all’espressione delle black roots americane con particolare attenzione al loro aspetto di fonti e di bacino onnipresente da cui in tanti hanno attinto o addirittura rubato. Reed incarna anche la figura dello storico, sempre attento a mettere dei punti fermi in un discorso etnomusicale ampio e troppo spesso confusionario. Reed come bluesman itinerante o come griot dell’Africa occidentale, Reed come ricercatore in stile Alan Lomax o come cronista senza tempo delle icone culturali itineranti tra continente africano, Caraibi e Stati Uniti.

Questo scrittore, nato nel 1938 a Chattanooga, Tennessee, fin da giovane ha cominciato a seguire l’avanguardia intellettuale nera, diventandone infine protagonista con originali scritti satirici o rimesse in gioco di miti e linguaggi. Con questa attitudine, Reed intraprende la rielaborazione sottoforma di poesia e di saggi di un’estetica definita “neo-hoodoo” per cui lo scrittore incarna la figura di un ancestrale stregone intento a miscelare i multiformi ingredienti del testo e dando vita ad una zuppa sincretica gustosa e ricca. Gli ingredienti principali ovviamente vengono tratti dal folklore afroamericano, dalla mitologia egizia e ovviamente anche dalle radici africane, senza dimenticare l’affascinante voodoo haitiano. Quella di Reed è quindi un’ottica che ribalta il pallido punto di vista euroamericano, svelando la parte sommersa dell’iceberg, la gigantesca massa di ghiaccio formata da una grande complessità etnica e multiculturale, spesso dimenticata quando si parla del ricco e stratificato patrimonio artistico degli Stati Uniti d’America.

L’emblema di tutta la poetica di Ishmael Reed è sicuramente il libro “Mumbo Jumbo” pubblicato nel 1972 in cui l’autore trasforma la storia dell’Occidente in un intrico poliziesco con bande di incappucciati che congiurano contro il principio dionisiaco incarnato dai balli dei rituali voodoo. Attraverso un’azzeccata costruzione di sub-testi e di narrazioni all’interno di altre narrazioni, lo scrittore porta in primo piano l’importanza dei Loa, le divinità del voodoo, evidenziando come essi formino un pantheon sincretico molto più ricco e rappresentativo di quello definito dalla tradizione giudaico-cristiana. “Mumbo Jumbo” è una rivendicazione della cultura africana trapiantata e rimaneggiata nel suolo americano, è un trattato di storia degli USA visto con gli occhi di un altro continente, quello africano, da sempre soggiogato dalla candidezza democratica delle stelle e delle strisce. L’intera civiltà moderna viene analizzata da Reed attraverso un brillante rovesciamento di prospettiva che porta all’assoggettamento della storia, comunemente accettata e tramandata, da parte della Verità.

Pedro Pietri, nato a Ponce in Porto Rico nel 1944, è stato un poeta che ha scritto numerose poesie e cronache assurde riguardanti le gioie e i dolori dei Nuyoricani, ossia i portoricani la cui vita era a cavallo tra le isole di Porto Rico e Manhattan, e ha definito l’esperienza Latina nell’America urbana. Oltre che rabbia, strazio e speranza, gli scritti di Pietri pullulano di un senso di orgoglio e nazionalismo e vengono accolti a braccia aperte da una generazione di poeti Latini che hanno seguito le sue orme. Dopo “Puerto Rican Obituary” (1973), demistificazione dell’American Dream sottoforma di epica burlesca, Pietri ha pubblicato “Lost in the Museum Of Natural History” (1981) e “Traffic Violations” (1983) in cui evidenzia ulteriormente la vocazione per una poesia ideata come veicolo di lotta politica e come strumento di dialogo.

Nelle note di copertina dell’LP “Loose Joints”, Pietri scrive: Ero solito memorizzare tutto il mio materiale fino al momento in cui ho incontrato David Henderson. Quando gli ho chiesto “Perché non memorizzi la tua poesia?” mi ha risposto: “Perché continua a cambiare continuamente”. In quell’istante Pietri capisce quanto sia importante che l’arte stia al passo con la realtà e non resti fossilizzata per sempre in una forma definita e definitiva.

Le sue “Selected Poetry” sono un perfetto sunto della sua poetica, ficcante, ironica e senza peli sulla lingua. In “The Broken English Dream” scrive:

“Siamo arrivati ​​negli Stati Uniti
per imparare a scrivere male il nostro nome
per perdere la definizione di orgoglio
per avere la sfortuna dalla nostra parte
per vivere dove vagano topi e scarafaggi
in una casa che sicuramente non è una casa,
per essere addestrato ad accendere i televisori
per sognare lavori che non otterrai mai
per compilare le domande di welfare
per diplomarsi senza un’istruzione
per essere chiamato alle armi stravolto e distrutto
per lavorare a tempo pieno e rimanere disoccupato”

E a questo punto viene naturale chiamare in causa il terzo protagonista di questo articolo, il musicista Sixto Rodriguez. Nato a Detroit nel 1942 da padre messicano e madre statunitense con origini native americane ed europee, Sixto, così chiamato perché sesto figlio, è stato un artista importante che ha scritto canzoni su temi sociali, riguardanti, in particolare, le condizioni della classe operaia. Nel 1967 fa l’operaio nell’industria automobilistica e in quell’anno pubblica il suo primo singolo, passato inosservato. Tre anni dopo viene scoperto casualmente dal chitarrista Dennis Coffrey e dal produttore Mike Theodore della Sussex Records e con questa casa pubblicherà “Cold Fact” (1970) e il successivo “Coming From Reality” (1971). Purtroppo, negli Stati Uniti vende pochissime copie e, trovandosi in difficoltà economiche, Rodriguez è costretto a tornare a lavorare come operaio, stavolta in canteri edili e ditte di demolizione.


Da metà anni ’70 le canzoni di Rodriguez cominciano ad avere successo in Nuova Zelanda e Australia. Ma è il Sudafrica che gli darà le soddisfazioni più grandi e la sua musica, pur venendo censurata dai segregazionisti, diventa simbolo della lotta contro l’Apartheid grazie a testi contro l’establishment, i pregiudizi sociali e l’oppressione. C’è solo ancora un unico problema: Sixto non sa nulla di tutto ciò fino al 1997, anno in cui un suo fan realizza un sito web proprio per raccogliere sue notizie. Nel sito s’imbatte una delle sue figlie che mette in contatto il padre con il fan. Pochi mesi dopo Rodriguez si esibisce in un tour di sei date in Sudafrica: qui riscuote tutto il calore e la gratitudine che nei decenni precedenti nessuno gli aveva mai regalato. Nel 2012 viene pubblicato il documentario “Searching For Sugar Man” che lo lancia in tour definitivamente anche negli Stati Uniti. L’importanza di Sixto Rodriguez viene sottolineate bene da Coffrey e da Theodore che definiscono le sue canzoni “fottutamente incredibili”. E continuano dicendo che “i brani erano così diversi, affascinanti, le melodie semplici, ma i suoi testi erano espressivi. Erano il tipo di cose su cui potevi dipingere paesaggi musicali: le canzoni di Sixto possono essere morbide e melodiche, ma il contenuto è sempre qualcosa che non ti aspetti”.
Uno dei brani più taglienti è “This is not a song. It’s an Outburst: or the Establishment Blues”:

“Il sindaco nasconde il tasso di criminalità
La donna del Consiglio esita
Il pubblico si arrabbia ma dimentica la data del voto
Il meteorologo si lamenta, prevede sole, piove…
La spazzatura non viene raccolta, le donne non sono protette…
La mafia sta diventando sempre più grande, come l’inquinamento nel fiume…

E ancora continua:

“Le vendite di armi sono alle stelle, le casalinghe trovano la vita noiosa
Divorzio l’unica risposta che il fumo provoca il cancro
Questo sistema cadrà presto, di fronte ad una giovane melodia arrabbiata
E questo è un fatto freddo e concreto…”

Un cold fact chiaro e tondo che Rodriguez canta senza tanti peli sulla lingua andando a punzecchiare chi ha creato questa situazione disastrosa. L’establishment deve assumersene tutte le colpe, ma è lampante che, ancora una volta quell’establishment girerà la testa dall’altra parte lasciando la gente come Sixto, e tutti coloro che vorrebbero un cambiamento radicale, con la bocca asciutta e il solito blues.

pedro pietri

Ed ecco che Rodriguez e Pietri sembrano percorre le stesse strade con i medesimi intenti. Due carriere parallele, una poetica, l’altra musicale, che mirano verso un obiettivo comune: quello di puntare il dito contro l’America del potere precostituito, di quell’establishment che guarda la popolazione dall’alto in basso e non fa altro che schiacciarla. Anche Ishmael Reed fa scorrere la sua vena letteraria su binari che conducono alla stazione già presidiata dagli altri due ideali compagni di viaggio. Reed, con la sua vena satirica, reinterpreta i presunti punti fermi della tradizione sociale (e letteraria), restituendo un nuovo ritmo sincretico a materiali umani e letterari da troppo tempo fissi in schematiche griglie occidentali. L’umorismo in Reed, l’esplicita acidità di Rodriguez e l’amara ironia di Pietri diventano armi ideali per scandagliare le assurdità che caratterizzano questo mondo “rovescio come le trippe”.

Se Sixto porta dentro di sé le radici messicane del padre e le esprime schierandosi dalla parte degli operai costretti a lavorare sotto pessime condizioni contrattuali, Reed ha in sé invece le roots africane esportate con la violenza nel continente americano, in primis nella zona caraibica, e le diffonde attraverso il “neohoodooism” all’interno dei suoi lavori, un metodo letterario che mescola aspetti dell’inglese standard, inclusi dialetto, slang, neologismi, rime, ma anche linguaggio tratto dalle strade, dalla musica popolare e dalla tv. Pedro Pietri, infine, vomita versi che mixano spagnolo e inglese, creando un patois che se fosse un’immagine incarnerebbe la “Creazione di Adamo” di Michelangelo, due braccia protese, da una parte gli Stati Uniti e dall’altra Porto Rico, con la punta del dito che si tocca in un’unione di dolcezza, ma anche di diffidenza. E invece Pietri elimina la poetica che potremmo così immaginarci per calare il lettore dentro un mondo di scarafaggi metropolitani e mille difficoltà quotidiane nella terra dei sogni, dove dicono che tutto sia possibile. Ma così non è, evidentemente. È solo la terra dell’ennesimo necrologio portoricano.

Questi tre personaggi sono tra i più americani di sempre, se per “americano” intendiamo una qualità definita dalla sua indefinibilità: le trasformazioni continue che nuove influenze, idee e tradizioni apportano nella società si stratificano e si sedimentano creando una cultura, a lungo termine, in continuo divenire.

Dopo tutto ciò vi starete chiedendo cosa c’entrano questi personaggi con il blues.
Beh, mi pare chiaro che abbiano tutte le carte in regola per stare qui: vite ai margini estremi dello star system (Sixto Rodriguez), poesie alla Bukowsky, meno violente, ma aggressive al punto giusto (Pedro Pietri), romanzi allucinogeni in cui la cultura vigente viene sottomessa da minoranze trionfanti (Ishmael Reed). Se questo non è blues, non saprei come altro definirlo.

Tre artisti che si sono sbattuti per cercare di sovvertire il potere costituito, di evidenziare tutto ciò che non va nella società in cui viviamo, di esprimere la rabbia attraverso l’arte e di far sentire la propria voce. Sono questi i personaggi che riescono a rimescolare il mazzo di carte e far sì che gli ultimi diventino i primi, con una buona dose di umiltà, coraggio e instancabile lotta. Se il blues mi ha insegnato qualcosa in tutti questi anni è sintetizzabile proprio con queste tre parole incarnate da Reed, Pietri e Rodriguez: umiltà, coraggio, lotta.

Sara Bao

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