WALTER TROUT – “Dal Mississippi al Po” porta a Piacenza il fenomenale chitarrista
Intitolare un festival “Dal Mississippi al Po” equivale ad aprire un barattolo di miele per gli amanti italiani del Blues. La scelta del nome è certamente felice ed evocativa, associando due fiumi che nel passato, con le dovute proporzioni e i diversi contesti storico-sociali, hanno rivestito un ruolo analogo nell’immaginario iconografico delle migrazioni economiche, negli USA come in Italia, negli anni del “boom economico”.
Il Mississippi è infatti protagonista di moltissime storie, leggende e canzoni dei primi bluesman che raccontavano la sofferenza e la speranza, i viaggi, i treni e l’abbandono delle rispettive famiglie verso un Nord carico di promesse e aspettative (spesso rivelatesi vane).

Piacenza, geograficamente collocata sulla sponda meridionale del fiume Po, ospita un festival dal nome certamente suggestivo che quest anno ha fatto un regalo enorme al popolo del blues, portando sul suo palco uno dei più grandi, talentuosi e famosi chitarristi blues-rock viventi: Walter Trout.
Il festival si svolge nella bellissima scenografia di Palazzo Farnese, ma il periodo è piuttosto infelice: in questa parte d’Italia è intenso periodo di vacanze, e i residenti mi hanno riferito che la città è praticamente vuota. Di conseguenza, poche decine di persone presenti che hanno reso il contesto più simile ad un evento privato che ad un concerto.
Poco dopo le 21.30 è il momento dello show e Walter Trout ci regala una performance notevole. Certamente il mio giudizio può essere influenzato dal fatto che adoro il chitarrista e nutrivo un entusiasmo innaturale all’idea di assistere al suo concerto, ma Walter non ha sbagliato un colpo.
Accompagnato da musicisti di livello assoluto (tra cui il figlio trentenne John), il leader regala una serie di brani elettrici e rock eseguiti alla perfezione. Concerto in pieno stile rock blues senza il glamour della contemporaneità, il leader si presenta sul palco con un paio di jeans e una t-shirt, nessun cambio di chitarra, sempre la stessa stratocaster bianca da cui estrae tutto ciò che lo strumento ha da dare.
Walter ci prova a coinvolgere i presenti, nonostante i numeri non esaltanti, ma il pubblico sembra capire poco l’inglese e le risposte (quando ci sono) non sempre sono entusiasmanti. Divertente la scena di lui che chiede “cosa ne dite di un po’ di rock stanotte?” e il pubblico, che probabilmente non ha capito, non risponde con lui che prende atto e prosegue con “bhe, lo facciamo comunque”.
Oltre ai suoi brani Walter esegue “Say Goodbay to the blues”, un tributo a John Mayall, nella cui band Trout ha militato per sette anni. Nella scaletta c’è anche “Artificial”, il singolo pubblicato da poco che anticipa il nuovo album “Sign of the times”, che l’autore ha descritto come un “urlo primordiale e una valvola di sfogo di cui tutti abbiamo disperatamente bisogno”, in uscita il 5 settembre (qui la recensione dell’album https://www.ilblues.org/walter-trout-sign-of-the-times/). Artificial “è una critica pungente al mondo falso, plasmato da un’intelligenza artificiale incontrollata”, brano che Walter dal palco introduce dicendo di non volere l’Intelligenza Artificiale, non vuole musica scritta dall’IA.
Si prosegue poi con altri brani dell’autore, che purtroppo non ha inserito in scaletta “Me, My Guitar And The Blues”(Jimmy Dawkins), lasciandomi con un senso di incompiutezza.

Walter Trout live al Festival Dal Mississippi Al Po 2025 (foto Francesca Fiorani)
Richiamato sul palco dal pubblico che invocava il più classico degli “one more”, ha eseguito (a richiesta) “Going Down” del repertorio di Freddie King.
Durante il concerto c’è stato il tempo, per Trout, di ricordare la sua terribile esperienza con la malattia, invitando tutti i presenti a fare qualcosa di buono per il prossimo, e quindi firmare per la donazione di organi. Curiosamente questa frase sembra essere stata intuita e compresa dal pubblico, che ha applaudito.
Per concludere, non si può che essere grati agli organizzatori del festival per averci portato Walter Trout e averci permesso di assistere dal vivo alla sua performance, per altro nell’anno di release del nuovo album. Dispiace per il poco pubblico, presente in quantità che non ha reso onore alla grandezza del musicista. Solo una nota di critica costruttiva: quando si ospitano autori di questo genere (musicale), chiedere al pubblico di restare costretto seduto sulle sedie è una tortura immeritata, disponetele a lato se è proprio necessario, ma lasciate uno spazio centrale per restare in piedi, saltare, cantare e ballare. Dopotutto: è un concerto!
Andrea Capelli










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