Dopo due anni di forzata pausa, Blues To Bop è tornato nella sua collocazione naturale, la fine di agosto, fedele alla sua formula di alternanza nelle tre piazze e con incontri e workshop allestiti nel bel contesto del parco Ciano. Ha mantenuto negli anni la sua vocazione di festival aperto e conviviale, dalla programmazione attenta a combinare veterani ed emergenti, americani ed europei, in ogni caso degnissimi rappresentanti della varietà delle musiche di matrice afroamericana.
Le tre piazze si sono riempite fin dalla serata di giovedi 25, a cominciare dalle 19,30 quando la big band dei Blues Swingers di Roberto Testini sale sul palco di piazza della Riforma. Un gruppo affiatato, arricchito da una sezione fiati di quattro elementi, essenziale per ricreare le atmosfere di uno dei grandi artisti della storia del blues, il texano T-Bone Walker.
Omaggio del tutto riuscito, per diverse ragioni, a cominciare dalla scelta dei brani, non scontata, pensiamo ad esempio a “I’m Gonna Stop This Night Life” o “ Blue Mood” e ancora per la costruzione del suono, valida sezione ritmica (con contrabbasso) e dosando a dovere i dialoghi tra i fiati e la chitarra del leader.
Ci spostiamo su piazza Cioccaro per seguire il concerto di Marco Marchi, accompagnato per l’occasione dal sempre bravo Marco Pandolfi all’armonica e da Oscar Trabucchi (Washboard/batteria). Il loro è un set acustico di bella fattura, uno dei pochi, se non l’unico del festival, per quest’anno. Marchi alterna brani suoi come “Stand Up”, titolo di un suo disco di qualche anno fa, a riprese di classici quali “Honky Tonk Women” o “San Francisco Bay Blues”, chiudendo con “Feel Like I’m Fixin’ To Die”, col coinvolgimento del pubblico.
In piazza San Rocco invece è il turno di Vasti Jackson con i suoi Mississippi Trinity. Vasti è artista dal lunghissimo curriculum, attivo da una quarantina d’anni, sia a nome proprio che al servizio di artisti quali Katie Webster, ZZ Hill o Bobby Rush. Nella sua band segnaliamo anche la presenza del chitarrista e armonicista Keith “Prince Of Delta Blues” Johnson, di cui sentiremo di sicuro parlare in futuro.
Lo show di Jackson segue l’estro del momento, tra una arringa al pubblico, un assolo tirato e un ripasso di classici quali “Love Her With A Feeling”, non lesina persino una incursione nel reggae con “Stir It Up”. E’ uno di quei musicisti cui sembra riuscire tutto facile, con una naturale attitudine allo spettacolo, riversata anche nelle jam di fine serata l’indomani.
Del concerto di Lilly Martin, valida cantante residente in Svizzera, ascoltiamo purtroppo solo pochi brani, apprezzandone le doti vocali e le canzoni estratte dal suo ultimo disco, “Lookout” con pezzi quali la classica “Driving Wheel” oppure “Waiting For The Fog To Lift”.
Una garanzia, per professionalità, rigore della proposta e conoscenza di storia e linguaggio del blues tra Chicago e la West Coast, Egidio “Juke” Ingala & The Jacknives hanno fornito una bella prova. L’armonica di Ingala tiene la scena con personalità e presenza, imprimendo variazioni di tempo e dinamiche, la sezione ritmica Soverini / Pitardi tiene insieme il tutto con compattezza e levità e Marco Gisfredi è chitarrista dal fraseggio inventivo e con profonda conoscenza della tradizione.
Di nuovo in piazza San Rocco, la leggenda Bobby Rush in forma olimpica, del tutto incurante dei quasi ottantanove anni, alla testa della sua band, con la presenza della formosa ballerina / corista Mizz Lowe vero nome Loretta Harris. Rush soffia con vigore immutato nell’armonica e canta sornione e divertito come suo solito, inanellando senza sosta una serie di brani uptempo, tra funk mississippiano e blues rotondi dagli stacchi sempre precisi, quali i classici “Hoochie Coochie Man” ,“She’s Nineteen Years Old” o “Night Fishing”.
Racconta dei suoi due Grammy e diciotto Blues Awards con un certo orgoglio ed estrae anche dal suo enorme repertorio anche episodi recenti, come “Porcupine Meat”, canzone titolo del suo premiato album del 2016. Divertimento assicurato, concerto generoso e coinvolgente, ripetuto anche la sera successiva in una piazza della Riforma piena di appassionati, stupiti dalla vitalità, davvero senza tempo, di Emmett Ellis alias Bobby Rush.
Riusciamo anche a vedere il finale del concerto di King Solomon Hicks, giovane cantante e chitarrista originario di Harlem. Dal vivo le qualità che si intuivano dal suo disco su Mascot risultano ancora più evidenti. Bella voce soulful, chitarra incisiva ma senza mai indulgere nelle parti soliste o in excursus che travalicano i generi. L’indomani, in piazza della Riforma, lo apprezziamo lungo tutta la durata del concerto, in cui alterna cose tratte dal disco come “I’d Rather Be Blind” ad altre riprese, niente affatto pedisseque, come una “Feels Like Rain” (del grande John Hiatt) vellutata o una simpatica “Polk Salad Annie” del compianto Swamp Fox Tony Joe White. Funzionale l’accompagnamento di due veterani quali il suo produttore Kirk Yano (basso) e Steve Holley (batteria), un trio atipico, lontano dagli stereotipi del format. Il futuro è tutto dalla sua parte.
La prestazione di Nikki Hill e del suo gruppo, vista tra giovedì e venerdì sera, è caratterizzata da una febbrile energia rock’n’roll, figlia di incessante carica delle leader e di una sbarazzina attitudine garage della band, che oltre al marito Matt Hill, può contare sulla ottima Laura Chavez, per anni a fianco di Candye Kane, ma ha suonato spesso anche con Vanessa Collier, vista a Lugano nel 2019. La Hill tira la voce senza risparmiarsi un attimo, la band la supporta accentuando i ritmi e le sonorità ruvide. Tutto questo rende difficile rimanere fermi, specie in episodi come “Struttin’” o “Poisoning The Well”. Da menzionare ancora il talento chitarristico della Chavez.
Venerdi in piazza Cioccaro ci gustiamo un bel concerto soul, quello di Toni Green accompagnata dai bolognesi Groove City Band, capitanati dal tastierista Fabio Ziveri. Non siamo i soli, visto che Bobby Rush e Mizz Lowe si siedono proprio davanti al palco e non si muovono per tutta la prima parte, un bel gesto indubbiamente. L’affiatamento tra la band e la Green è frutto di una lunga conoscenza e di tanti concerti insieme, lo si evince dalle prime note di “Dr Feelgood” e per tutta la durata, passando per un omaggio ad una stimata collega come Ann Peebles, “Slipped, Tripped and Fell In Love”.
Nessuna sbavatura ma anzi una encomiabile padronanza del soul memphisiano da parte della band italiana e una conferma, per chi ne avesse bisogno, del valore di Toni Green, già beniamina di Porretta. Il gospel ha sempre trovato spazio nella programmazione del festival e quest’anno non fa eccezione, vista la presenza di Nikki D And The Sisters Of Thunder, band familiare da Toledo, Ohio, incentrata attorno alla steel guitar della leader.
Grande entusiasmo nell’essere in un posto così lontano da casa, riversato su un pubblico incuriosito e partecipe. La combinazione delle voci e la chitarra nervosa di Nikki D Brown animano una serie di gospel che in altri tempi sarebbe stata perfetta per la serie “Sacred Steel” dell’Arhoolie, spicca una versione tonante di “A Change Is Gonna Come”. Una interessante scoperta.
Questo Blues to Bop 2022 ha rappresentato un gradito e riuscito ritorno, nel pieno rispetto della sua storia e speriamo, del suo luminoso futuro.
Matteo Bossi
Comments are closed