Tad Robinson e’ un aitante sessantanovenne cantante e armonicista originario di New York, stabilitosi ormai da quaranta anni a Chicago. Adolescenza passata ad ascoltare Blues e Soul, universita’ in Indiana, settore musicale. Due “nominations” al W.C. Handy Blues Award e ben otto al Blues Music Award, legittimo chiedersi come mai non abbia ancora ricevuto tali riconoscimenti.
La storia racconta che fu il solidalizio con David Specter su “Blueplicity” a lanciarlo definitivamente nel mondo musicale, dopo un esordio molto promettente, “One to Infinity” su Delmark nel 1994, un marchio di fabbrica che era e rimane una garanzia di qualitaà. Difficile infatti trovare artisti “Delmark” di valore relativo, sia nel Blues che nel Jazz. In seguito Tad si illustrera’ specialmente su Severn Records con altri grandi cantanti come Darrell Nulish e il compianto Lou Pride, suonando stabilmente con un gruppo di musicisti di vaglia che ritroviamo in gran parte anche in questo “Soul In Blue”.
Usualmente, laddove suoni una moltitudine di musicisti, il risultato finale tende ad esser diseguale, tanto piu’ se si registra in studi differenti come succede in questo “Soul In Blues”. Qui invece si sente l’impronta di Robinson, immediatamente riconoscibile dallo stile, Philly sound, e dal timbro vocale vellutato eppur pronto all’impennata. Gia’ da “Out of sight and out of mind” si apprezza il prodotto di classe, l’accuratezza degl’arrangiamenti, la compostezza degl’assoli, con molto organo vista la presenza di maghi dell’Hammond come Roosevelt Purifoy, Alberto Marsico e Kevin Anker, titolare nella band di Robinson.
Volendo cercare dei difetti, si potrebbe notare che i pezzi sono quasi tutti dei mid-tempo, spesso risvegliati dalle sgasate dell’ Hammond, ma questo rientra nella filosofia del Philly Sound. Dentro a tanta buona musica, “Forgive And Forget” mi sembra il pezzo che emerga piu’ nettamente, con “This Time” dove appare il fantasma di Teddy Pendergrass, e “Down To My Last Heartbreak” che seguono da vicino. Robinson non merita un award, ne merita almeno tre o quattro incidendo, da ormai piu’ di trenta anni, solo dischi bellissimi.
Luca Lupoli
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