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I Cymande sono tornati

di Sara Bao

Renascence”, questo il titolo del nuovo album pubblicato lo scorso gennaio dalla band britannica. Un titolo molto significativo perché può considerarsi una vera e propria rinascita quella dei Cymande. Ma facciamo un passo indietro per capire meglio la storia di questa band e come mai ora, dopo una quarantina d’anni è rispuntata fuori come un arcobaleno dopo il temporale.

Il gruppo nacque a Londra nel 1971 e fece breccia nell’animo del produttore John Schroeder che la sera del 18 ottobre andò a Soho per ascoltare una band, ma quest’ultima diede forfait e al suo posto suonarono proprio i Cymande: Ray King (voce), Patrick Patterson (il leader; chitarra), Steve Scipio (basso), Mike Rose (sassofono, flauto e bonghi), Derek Gibbs (secondo sassofono), Peter Serreo (terzo sassofono), Pablo Gonzales (conga) e Sam Kelly (batteria). Schroeder restò colpito dal mix serrato di groove e psichedelia, con frequenti inchini al mondo dell’afrobeat e del jazz, con spruzzate di profondo soul e pure accenni di reggae. Insomma, una profonda celebrazione della cultura nera in Gran Bretagna che ancora non conosceva bene tutte queste sue splendide sfaccettature. Convinto del potenziale di questi giovani, il mese successivo Schroeder li convoca e li porta in studio a registrare quattro pezzi. Quelle demo le porta poi con sé al MIDEM di Cannes a gennaio, un importante evento annuale dell’industria musicale francese e internazionale, e le consegna a Marvin Schlacter della Chess Records di Chicago. Una volta tornato a Londra, Schroeder riceve un telegramma che riporta l’entusiasmo nei confronti di quella band ricca di contaminazioni e la volontà di pubblicarla.

cymande

E fu così che nacque il primo LP, omonimo, dei Cymande sotto l’egida della Alaska in Gran Bretagna, etichetta personale di Schroeder, e per Janus un’etichetta costola della Chess, controllata allora dalla GRT, sul mercato americano. Poco dopo, i Cymande vengono convocati per suonare una serie di concerti, tra cui all’Apollo Theatre, culla di numerosi artisti che erano i loro eroi (vedi Al Green). Una volta rincasati a Londra però, scoprono che il loro disco lì passò completamente inosservato, al contrario di ciò che successe invece negli Stati Uniti, dove stabilì un bel record piazzandosi in tre classifiche differenti, R&B, Jazz e Pop.

Second Time Around, il secondo disco, uscì solo per l’etichetta americana riscuotendo anch’esso un buon successo, ma in Inghilterra non fu nemmeno pubblicato. I Cymande a quel punto compresero come, per cavalcare l’onda del successo, avrebbero dovuto trasferirsi sul suolo a stelle e strisce, ma non ebbero mai lo slancio nè il coraggio di farlo. Il 1974 fu l’anno dell’addio segnato dal terzo disco intitolato “Promised Heights”.

E così eccoci qua, dopo quarant’anni a parlare della rinascita discografica dei Cymande grazie alla     pubblicazione     del     loro     nuovo     album     Renascence     lo     scorso     gennaio.  Il disco si apre con “Casting An Empty Dream” che recita: “A volte mi chiedo se tutto ciò è stato invano. Sembra che niente importi, ognuno insegue la fama, senza alcun messaggio per i giovani da portare avanti. Qual è l’affare? Quando stai inseguendo un sogno vuoto. [..] Forse domani, le parole di ieri e il messaggio che portano potrebbe aiutare i giovani a trovare la loro strada. A volte penso ai sacrifici che sono stati fatti e che sono stati dimenticati nel mondo materialista di oggi.” Un brano questo che mette subito in chiaro le idee della band, su come sia importante trasmettere un messaggio attraverso la musica, dare dei punti di riferimento e dei valori alle giovani generazioni. Già nel loro primo disco omonimo emergeva la volontà di esporre con chiarezza le cose importanti: la colomba che appare in copertina simboleggia la pace, e del resto il nome  stesso, Cymande, in calypso caraibico significa proprio colomba.  Il secondo brano, “Road To Zion”, rallenta il ritmo e ci porta in un languido lido di archi e cori, ritmato da leggeri sonagli e percussioni, facendo emergere le poliedriche anime di questi musicisti.

Gli archi, assieme al pianoforte, la fanno da padrone anche in “Only One Way”, canzone che ospita Celeste Epiphany Waite alla voce, cantante britannica classe 1994. Ecco qui come le due diverse generazioni di musicisti s’incontrano, dialogano e si mescolano condividendo quel “messaggio” tanto caro ai Cymande già dagli anni ‘70. Un pezzo che strizza l’occhio ai bei tempi passati e al contempo accarezza la splendida morbidezza del giovane presente. Un brano decisamente ben riuscito.

Si prosegue con “Coltrane”, canzone che fin dal titolo definisce delle coordinate musicali precise da raggiungere e omaggiare: “Ogni nuovo inizio, da una fine amara, porta con sé il messaggio che la creazione manda. Canzoni di libertà da un mondo lontano, le troverai nella musica che suona Coltrane. La musica è il messaggio mandato da Dio all’uomo, ascolta bene e capirai. Canzoni di mistero ti tolgono il respiro, così è come ci si sente ad ascoltare Coltrane suonare. Lui ti porta in alto come un giorno di sole, è così che ci si sente quando si ascolta Coltrane suonare”. E se i Cymande omaggiano Trane, è bene sottolineare come negli anni ‘80 moltissimi musicisti del settore hip-hop e rap ne campionarono i loro groove ridando slancio di fatto alla loro musica. Alcuni tra questi furono i De La Soul (Change In Speak), gli EPMD, i KLF, e persino i Fugees. Nel ‘94 Spike Lee ha anche inserito il loro pezzo Bra nel film Crooklyn.

cymande renascence

Il disco procede poi con “Sweeden”, un brano che riassesta il tiro sui fiati e sui ritmi decisi, il groove parte subito a pigliarsi l’assist per schiacciare a canestro a due mani, mettendo a referto punti facili con percussioni, cembali e tamburelli. Eccoli qui i Cymande dei ‘70s che riemergono in tutto il loro splendore strumentale incanalato in un riff difficile da togliersi dalla testa. “How We Roll” è un brano che vede ospite Jazzie B, Dj e produttore musicale britannico dedito al soul, all’R’n’B e ai classici dell’Hip-Hop e della Dance Music. Le atmosfere qui sono panteresche, si striscia quatti quatti nella giungla intricata di liane di basso, con shaker che sibilano come serpenti e congas che dettano l’andatura lenta e appiccicosa. Jazzie B si occupa del parlato conclusivo:

“Mentre la musica ci porta in un unico movimento è così che fluiamo, lasciando che questa emozione evochi le vibrazioni, collegando il potere infinito e quell’energia. È così che cresciamo, come l’albero piantato in riva al fiume, come rotoliamo dentro a questa vibrazione e in questa frequenza della vita. È così che cresciamo, insieme, unendoci come un’unica cosa in questo viaggio che è iniziato”.

Anche questo messaggio di musica intesa come condivisione di vibrazioni, di vita e di emozioni è una bella sintesi dell’esperienza miscelatoria dei Cymande. Il loro particolare mix di funk, soul, reggae, jazz e musica latina è l’emblema delle loro origini. Tutti loro provenivano dai Caraibi (alcuni dalla Giamaica, altri dalla Guyana e da St. Vincent) e quindi il retroterra musicale era lo stesso, sapevano esprimere alla perfezione tutte quelle magnifiche sfumature sonore che consentivano loro di abbattere il confine di genere con estrema facilità.

Per comunanza di storia, cito a questo punto anche il buon Shabaka Hutchings, musicista originario della Barbados che con una carrellata di flauti autocostruiti e con il suo afrobeat porta in giro per il mondo un sound moderno e al contempo rispettoso delle radici. O spostandoci, in un’altra parte del pianeta, più precisamente in Francia, gli Zebda, band che ha saputo unire le tradizioni sonore dei padri come le atmosfere arabeggianti con gli ascolti giovanili come la canzone francese e l’hip-hop, dando vita a un melange di roots e urban sound estremamente popolare.

Ma torniamo ora al disco dei Cymande la cui successiva canzone è “Heart Of The Willing”, brano che procede dentro a binari pop soul cristallini, su quello stile tanto caro anche agli Holmes Brothers. L’intro di “I Wanna Know” fa tornare in mente alcune delle atmosfere aliene dei The Comet Is Coming capitanati proprio da Shabaka Hutchings, ma quando si dipanano voce e archi si torna sul sentiero battuto dei Cymande classici. Una sorta di spy story song ambientata dentro alla testa del protagonista che continua ad interrogarsi su come avrebbe dovuto agire.  “Darkest Night” è un inno all’oscurità della notte che cela i doppiogiochisti, nasconde le azioni degli uomini, spezza definitivamente la sacra fiducia, svanita senza lasciare nemmeno una traccia. Un brano strumentalmente molto luminoso e colorato, a dispetto del titolo.

A terminare il disco troviamo “Carry The Word”, una canzone che può essere definita come la chiusura perfetta dell’album: “Noi porteremo la parola alle persone di tutte le nazioni, le nostre canzoni devono essere ascoltate, dobbiamo far sì che i nostri cuori siano liberi”.  I Cymande non mollano un colpo e dopo oltre cinquant’anni non perdono l’occasione di far passare un messaggio attraverso i propri brani. Un messaggio di pace, libertà, fratellanza. Ancora una volta. E il mondo, ora come ora, ne ha davvero un gran bisogno. Torniamo quindi a far girare sui nostri piatti questi eroi sconosciuti dell’hip hop, della disco music e del groove in generale, il cui messaggio è salpato dalle coste della Gran Bretagna per attraccare nei ricettivi Stati Uniti dove ha contribuito a plasmare la musica per quasi mezzo secolo.

cymande film

Il 2024 ha anticipato il ritorno sulle scene dei Cymande con l’uscita di un documentario intitolato Getting It Back: The Story of Cymande, che racconta la loro storia e l’importante contesto storico in cui sono nati e cresciuti. Londra all’epoca, infatti, era un barilotto di dinamite pronto ad esplodere a causa delle tensioni politico-razziali e questi ragazzi volevano essere una band schierata, pronta a diffondere un messaggio di amore e di non violenza. L’unico problema era che la Gran Bretagna, al contrario degli Stati Uniti, aveva alzato le barricate contro la Black Music e non sapeva che farsene di questo supergruppo. Nonostante ciò, i Cymande dopo decenni sono riemersi dall’oblio e ora finalmente anche in Europa si parla di loro.

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