Eric Clapton Live - Milano 27 maggio 2025

Eric Clapton Live a Milano, una forse inaspettata esperienza.

A “soli” tre anni dal passaggio precedente avvenuto nel 2022, Eric Clapton è tornato a suonare a Milano, per ben due serate.

Un appuntamento segnato in agenda da tempo, parte del tour celebrativo dei suoi ottant’anni, cominciato con otto date al Budokan di Tokyo e proseguito con una manciata di date inglesi, tre delle quali al suo salotto preferito, la Royal Albert Hall.

E la serata milanese, noi abbiamo assistito a quella di martedì 27 maggio, sarà, senza dubbio, tra quelle da ricordare, per tante ragioni.

Ma partiamo dall’inizio e dunque dal set d’apertura di un amico di lunga data di Clapton, quell’Andy Fairweather Low che è stato al suo fianco per quasi tre lustri come chitarrista ritmico e da qualche anno si diverte con i suoi dischi solisti intrisi di blues, soul e buona musica, come il recente “The Invisible Bluesman”, pubblicato pochi mesi addietro.

Qui è alla guida dei suoi Low Riders, un sestetto con anche una sezione fiati, che lo segue con precisione. Andy inizia dal tema di Peter Gunn e prosegue alternando suoi brani come “Spider Jivin” e  “Sweet Soulful Music” a cover curiose come “In Spite Of All The Danger” (di McCartney e Harrison, in epoca preBeatles) e “One After 909”(questa sì dei fab four) e poi un blues acustico come “Matchbox” e “Got Love If You Want It” o ancora una sua ballad che, racconta lui introducendola, ha registrato anche Joe Cocker, “Hymn For My Soul”.

Bravo e simpatico, peccato solo che il suo concerto sia avvenuto davanti ad un Forum ancora mezzo vuoto, essendo cominciato alle 19:30 precise.

Eric Clapton Live

Eric Clapton Live - Forum Assago

Pare di essere in Svizzera quando, non sono nemmeno le 21, le luci si spengono e sul palco arriva Eric coi suoi pard, Sonny Emory e Nathan East come sezione ritmica, Chris Stainton alle tastiere e Tim Carmon all’organo, il fido Doyle Bramhall II oltre alle coriste Katie Kissoon e Sharon White.

La scaletta prevede una partenza lanciata, calando subito un asso, il classico dei Cream, “White Room” e già si intuiscono due cose, la prima che le ottanta primavere non freneranno Clapton dall’affrontare con piglio e carica brani che ha suonato mille volte.

La seconda è che la band lo appoggia in ogni passaggio, tanto che spesso agli assolo del leader fanno seguito passaggi ispirati di Stainton, Bramhall e Carmon.

È quel che avviene anche nei due solidi blues “Key To The Highway” e “Hoochie Coochie Man”. Un altro celeberrimo hit “Sunshine Of Your Love” è vissuto con il contributo collettivo e un bell’assolo del maestro.

La parte centrale del concerto è occupata, come da tradizione, da un set acustico, inaugurato da una espressiva “Kind Hearted Woman” di uno dei suoi riferimenti dichiarati da sempre, Robert Johnson.

Non manca quasi mai “Nobody Knows You When You’re Down And Out”, con un bravissimo Stainton a ricamare sulla tastiera. Una riscoperta degli ultimi anni, almeno dal vivo, è invece “Golden Ring”, (in origine su “Backless”), qui in un arrangiamento molto simile a quello presente su “The Lady In The Balcony”.

Le corde, almeno quelle vocali, di Eric, riposano un momento, è infatti East a cantare la splendida “Can’t Find My Way Home” (Winwood) tra le perle dei Blind Faith.

Il pubblico applaude a lungo “Tears In Heaven”, «this is for Lori», dice lui nell’introdurla.

Di nuovo la Stratocaster, ma per questa terza parte è quella con i colori della bandiera palestinese, un messaggio chiaro, che non ha bisogno di proclami. Scorrono altri momenti che fanno rivivere il passato e gli amici che non ci sono più, come George Harrison, con cui scrisse “Badge”.

Il vertice dell’intera serata lo raggiunge, probabilmente, con una micidiale versione di “Old Love”, cantata con trasporto e condita da un assolo lungo e lirico, con ripetuti bending di commovente intensità, prima di lasciar spazio a Carmon nel finale del brano.

Ed ecco l’eterna “Crossroads” e un immancabile slow blues, “Little Queen Of Spades” (RJ ancora, ovviamente), con un altro generoso e dinamico lavoro sul manico della chitarra, occasione per il folto e multi-generazionale pubblico per apprezzarne tono, scelta delle note e fraseggio, qualità che lo hanno reso unico nei decenni.

Da menzionare gli assolo sia di Stainton sia di Doyle Bramhall, un crescendo davvero ben costruito.

Cocaine” chiude in bellezza, ma c’è tempo per un bis, un altro blues, “Before You Accuse”, come a ribadire, se mai ve ne fosse bisogno, l’amore per una musica che ne ha segnato profondamente la vita, fin dall’adolescenza.

Bello vedere la stima e i sorrisi tra la band e la dedizione di un artista dalla carriera lunghissima che continua a calcare il palco senza risparmiarsi.

Matteo Bossi

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