«La sofferenza credo di essermela un po’ cercata, per capire il blues»
di Andrea Capelli
Nella mia ricerca di qualcosa di nuovo che possa darmi fiducia nel mondo e soprattutto nel futuro del blues e affini, ho conosciuto artisticamente Claudia Buzzetti durante un suo live, in un locale della provincia bergamasca. Per me è stata una sorpresa inaspettata. Voce bella e piena per uno stile country-folk U.S.A. Da quel giorno il suo album, “7Years Crying”, è presenza fissa nella mia playlist di Spotify.
Ho contattato Claudia Buzzetti per una intervista e ci siamo incontrati in un piovoso venerdì nello stesso locale dove l’ho ascoltata la prima volta.
Claudia ha avuto una influenza musicale piuttosto varia, dalla mamma ha avuto le influenze Jazz, dalle sorelle più grandi sentiva l’hip hop e il latino americano. Fortunatamente per noi ha scelto di sviluppare la prima influenza, da Billie Holiday a Frank Sinatra, passando per Charlie Parker e Miles Davis, conosciuti durante i suoi studi di pianoforte al CdpM di Bergamo.
Claudia Buzzetti, l’intervista
Quando hai scelto di fare questo mestiere?
Nata come ultima in famiglia sono sempre stata coinvolta in spettacoli teatrali fatti in casa tra sorelle di cui conservo un bellissimo ricordo. Fatti molto seriamente, con prove, voci, costumi. Nonostante sia cresciuta in una famiglia della working class i miei genitori ci hanno consentito di sviluppare le nostre passioni facendoci frequentare corsi di teatro, coro, ecc…A 17 anni mio padre mi ha trovato una data come cantante in un locale, quindi ho dovuto trovarmi una band e con il mio insegnante di pianoforte, Giuseppe D’Avino, abbiamo iniziato un progetto Jazz e realizzato un disco di cover italiane (Italian song book). Un giorno, mentre facevo la barista, ho conosciuto Michele Dal Lago che mi ha introdotto all’early swing poi country e folk. Non ho mai voluto una vita ordinaria e sin da quando sono piccola qualunque cosa la faccio seriamente, quindi credo di averlo voluto fare sin da subito.
Di che temi scrivi?
Di diversi temi, dalla tematica sociale della condizione femminile, all’amore relazionale. “Planet Labirinto” parla dell’uscita dall’adolescenza.
Il testo di “Planet Labirinto” ha tinte un po’ fosche. Anche “New York Walk” (brano contenuto nell’album “7Years Crying” ndr), è un po’ “angosciante”
Mi fa piacere che tu lo dica, perché ogni tanto, appena uscito il brano, c’erano persone che lo postavano come colonna sonora di video di bambini al parco e mi domandavo se ne avessero tradotto il testo. Nella canzone c’è l’immagine del diavolo, tema ricorrente nel blues, che mi bussa alla porta e mi dice di annegarmi nella vasca da bagno. Vuole simboleggiare il rischio di cadere nell’errore, nella tentazione. Sono sempre stata affascinata dalla condizione umana dell’errore, che riguarda anche il corpo, il fatto di non essere perfetti, di non essere dei robot.
Una sorta di accettazione di sé.
Restiamo sulle canzoni, “Mr. Hyde”, la mia preferita, di cosa parla? Quale è il tema?
Anche in questa canzone il tema è quello dell’accettazione del nostro lato oscuro, di non voler più nascondere il Mr. Hyde inteso come il mostro che abbiamo dentro e che ci porta a commettere degli errori, perché non siamo perfetti e dobbiamo accettarci per quello che siamo.
Il verso della canzone “sono un cane e sto scodinzolando” è collocato all’interno di una scena dove sembra che ci sia una persona che, pur di farsi accettare da qualcuno, è disposta a fare tutto ciò che vuole
C’è anche quello, ho un po’ mischiato i temi. Il filo rosso è comunque quello dell’esperienza che intreccia diverse tematiche. Come ha detto Norah Jones in una intervista, l’interpretazione di una canzone cambia in base a come ogni persona la percepisce. La tua interpretazione della strofa è corretta ed è accaduto, da qui l’accettazione di come siamo stati e degli errori che abbiamo commesso.
Che allegria
Non trovo molto interessante il tema dell’allegria. Anche le grandi donne del blues, Bessie Smith o Ma Rainey, quando hanno avuto successo non era un successo positivo e liberatorio, avevano delle vite difficili. Quindi mi piace molto l’aspetto blues delle persone, ma non significa che non mi diverta, anzi!
Nelle tue canzoni quanto c’è di tua esperienza e quanto c’è di inventato
50 e 50
Il blues e la black music sono nati in un periodo, quello della schiavitù e immediatamente successivo, e in una comunità oggetto di grandi discriminazioni e di grandi sofferenze. I temi del blues e del soul infatti sono spesso la morte, il viaggio, l’alcolismo, la stessa parola “blues” deriva da Blue Devils. Cantare oggi il blues e il soul, riproponendo questi temi, ha ancora lo stesso significato? Nasce ancora dalla sofferenza? O è un po’ l’essere un “radical chic” artistico, un esercizio di riproposizione di una musica con una storia passata perché fa sentire un po’ intellettuali?
Penso che la nostra classe di appartenenza (la working class) anche oggi non sia esattamente benestante. Oggi anche chi lavora è povero, pensa alla difficolta di comprarsi una casa, sono temi diversi, sofferenze diverse. Poi che nelle canzoni ci sia la sofferenza vera o sia solo apparenza penso che dipenda dall’artista. Penso di essermela un po’ cercata la sofferenza proprio per non risultare finta.Volevo conoscere il blues. Ma questa è una mia supposizione a posteriori, non so se quando ero adolescente le sofferenze me le sono cercate per cantare blues. Attraversare l’errore per poi uscirne migliore.
Quali sono le tue paure professionali?
La mia paura è di non avere più la voce per cantare. Mi piace cantare. Tra mangiare e cantare preferisco cantare.
Come vedi la scena musicale italiana della black-music?
Conosco qualche formazione che tuttavia è nell’underground, non sono mainstream.
Forse è proprio il genere a non essere mainstream?
No, negli USA ci sono artisti che emergono con sonorità blues, mi viene in mente l’ultimo disco di Beyoncé (“Cowboy Carter” n.d.r.), loro sono mainstream. Ci sono momenti in cui diventa mainstream ma non in Italia. Però non la conosco così bene la scena italiana.
Come la vedi la situazione dei locali per la musica live?
La cosa che mi dispiace dei locali in Italia è che le persone parlano mentre suoni, mentre negli Stati Uniti (Claudia ha vissuto per un periodo negli USA dove si è esibita in diversi locali ndr) prestano tutti attenzione.
Fai fatica a trovare date?
In questo periodo no. Però ultimamente ho deciso di rallentare un po’ perché vorrei dedicarmi alla registrazione di brani nuovi.
Percepisci una scena musicale vitale a Bergamo?
Si, ultimamente vedo moltissimi giovani, uomini e donne, con gli strumenti ed è una cosa bellissima che le persone si stiano appassionando di nuovo alla musica. I locali stanno dando il loro contributo per mantenere vivo questo interesse perché anche per loro è un grande sforzo mantenere la musica dal vivo.
L’intervista a Claudia Buzzetti si è conclusa così, lasciandomi una bellissima sensazione. Artisticamente ha una grande consapevolezza e profonda sensibilità.
Lei, come molti altri bravissimi artisti che rimangono nell’underground, ci sta mettendo egregiamente il suo.
Ora sta al popolo del blues fare in modo che questi musicisti e questo genere musicale vengano conosciuti e apprezzati dal grande pubblico.
Quindi grazie mille a Claudia Buzzetti, per il suo tempo, per la sua disponibilità e per la sua musica, che vi consiglio di ascoltare!
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