J Sintoni - Il Blues Magazine

Go Country Records (I)

Uscito agli inizi dello scorso autunno, lo abbiamo recuperato solo recentemente, questo nuovo lavoro del romagnolo J. Sintoni, dopo averlo rivisto dal vivo nella tappa milanese al fianco del sempre bravo Grayson Capps. Un disco che ben fotografa la sua evoluzione e la maturità di scrittura, è autore di tutte le nove tracce, senza suonare alla maniera di altri, anzi trovando una sintesi equilibrata tra tutte le sue influenze americane.

Un altro tratto distintivo dell’album è la totale sincerità, sia di scrittura che di registrazione, senza filtri, né espedienti di produzione. Prendendo a prestito il titolo di un vecchio disco di Lil’ Ed & The Blues Imperisals, “what you see is what you get”, visto che le incisioni presso il Crinale Lab, un ex fienile divenuto studio di registrazione, sono anche state filmate e sono visionabili in rete. Emanuele J. Sintoni suona qui con Lorenzo Sintoni al basso e Angelica Comandini alla batteria, un gruppo che sfugge a tutti gli stereotipi che si tende ad associare al trio, dando infatti vita ad un impasto elettroacustico misurato con estrema cura e capacità di ascolto reciproco.

Basta l’ascolto di tracce come “The Fence”, venata di malinconia, “ovunque guardi vedo il frutto di scelte sbagliate e sogni spezzati”, con un lavoro strumentale di gran gusto. Ribadito anche nel successivo boogie “Ain’t That A Job”, ironia e disincanto, quando qualcuno ti dice “sei fortunato fai quello che ti piace”, ma è un lavoro che ti può persino uccidere. La ballata “The Incident (The Tallulah Lynching of 1899)” è un momento da ottimo storyteller, una pagina che colleghi americani, crediamo, gli ruberebbero volentieri, o meglio prenderebbero a prestito (le royalty!). Racconta un fatto forse poco noto, il linciaggio per impiccagione di cinque siciliani emigrati da Cefalù, in una piccola cittadina della Louisiana, Tallulah. Un episodio rievocato, qualche anno fa, anche in un bel libro di Enrico Deaglio edito da Sellerio, “Storia vera e terribile tra Sicilia e America”.

“Barefoot Child”, appesa solo ad un delicato arpeggio acustico, ricorda persino certe cose del compianto Kelly Joe Phelps, altrettanto introspettiva, seppur con il ritorno dei soci, “When I Go Home”. Mentre l’elettricità e un ritmo più classico pervade “Tribal Dreams”, per certi versi liberatoria, “the heart is burning, it’s a kind of fever”. Ma c’è ancora tempo, sembra dirci Sintoni. Ed è certamente un bel tempo quello passato ad ascoltare “Pickin’ On The Ridge”.

Matteo Bossi

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