Ecco dunque l’album postumo di James Harman (1946-2021) “Didn’t We Have Some Fun Sometime”, realizzato sotto la supervisione di Nathan James e prodotto da Andrew Galloway, patron della label canadese Electro-Fi. Si tratta di otto brani “Live” che Harman aveva registrato durante la pandemia, sui quali aveva lavorato fino al suo decesso, avvenuto nel sonno, il 19 maggio 2021,  più quattro altri in studio, messi da parte in vista di un prossimo album. Fin dall’inizio del disco si viene presi da uno slancio incontrollabile. Ci si immerge subito nell’atmosfera e nell’universo di questo artista, poeta, paroliera, cantastorie, improvvisatore scaltro, in grado di lasciare un’impronta carismatica e di grande generosità sul palco. La sua armonica scarna accompagna i testi, storie di vita quotidiana ed altri più intimisti, che invitano alla riflessione su sé stessi.

Ci si trova a rimpiangere il talento di scrittura e delle capacità dell’immenso James Harman, che ha trascorso una parte essenziale della sua carriera in California. E poi ci si lascia trasportare dai ritmi del jump blues della West Coast, con la batteria che bilancia shuffle secchi, un basso metronomico e una chitarra dal fraseggio fluido e incisivo. Ci sono ottimi musicisti quali Hal Smith e Marty Dodson alla batteria, Gene Taylor e Carl Sonny Leyland al piano, Troy Sandow al basso, Michael Tempo alle percussioni e Nathan James alla chitarra, basso e percussioni. Tutto questo dà luogo a pezzi che invitano alla danza come “Pick Up The Shack”, “Work Don’t Come To Me” e ad altri profondamente intimisti quali “A Hand Shake”, con la chitarra solista intrecciata a sottili percussioni. O ancora ad un blues terragno e accattivante che trasuda da tutti i pori, “Knock Me Out Again”, dove la voce affaticata di James Harman inonda la scena di emozioni musicali rare e commoventi. La canzone titolo, “Didn’t We Have Some Fun Sometime” scorre con una voce piena di emozioni, non simulate. Un gioiello che riassume in sé l’universo avvolgente di un artista luminoso che ha raggiunto le stelle troppo presto. Essenziale.

Philippe Prétet


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