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Little Feat Blues

di Sara Bao

I Little Feat sono stati una delle band più sottovalutate di sempre. Collocarli nel settore blues, o comunque dedicare loro spazio in una rivista di questo genere, potrebbe apparire assurdo a colpo d’occhio, ma così non è perché i Feat hanno le radici ben piantate in questo tipo di musica. Siamo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 in California, il look comune dei giovani è una bella abbronzatura, abiti di jeans e capelli lunghi, in un rilassato clima di easy sunshine life. In mezzo a tutto ciò c’è Lowell George, un corpulento e scompigliato ragazzotto con un’espressione calma e beata, come un guru sgualcito. Lowell faceva sì parte del movimento musicale californiano, ma al contempo era molto più ibrido, in lui c’erano più soul, country e funky rispetto agli altri. Cresciuto a Mulholland Drive con due genitori molto creativi, George già a cinque anni sapeva suonare l’armonica, a undici la chitarra e al college è flautista nella marchin’ band scolastica.

Nel frattempo, impara anche a suonare il sitar, il sax e il shakuhachi, ascoltando inoltre dischi di qualsiasi genere. Durante le numerose sessioni in studio era impegnato e partecipe, ma al contempo schivo; una luce guida, un faro e allo stesso tempo un’elusiva presenza in background. Lowell era ossessionato di suoni: la sua musica era fertile, erratica, varia, uno sparo attraverso ispirazione e humour. Gli piaceva descrivere le sue canzoni come “mosaici crepati”. Sua moglie sintetizzerà il tutto con questa frase: “there was nothing regular about the guy”.

Dopo un paio di esperienze in garage band locali (The Factory e The Standells), Lowell nel 1968 entra a far parte dei Mothers Of Invention per sostituire Ray Collins che aveva lasciato la band. Qui incontra tre personaggi che avrebbero poi avuto grande importanza nella storia dei Feat: Roy Estrada (bassista), Billy Payne (pianista) e Neon Park (illustratore). George resta coi Mothers fino al maggio del ’69 e sarà lui stesso a dichiarare che non ha avuto chissà quale ruolo fondamentale all’interno della band, ma questa esperienza gli ha insegnato moltissimo. Innanzitutto, ha imparato come si guida una band seguendo un modello produttivo definito da Zappa: scegliere ottimi musicisti e poi indicare loro precisamente ciò che devono fare, permettendo la creatività individuale, ma sempre all’interno di precisi confini posti dal band leader.
Inoltre, da Frank Zappa ha imparato anche l’importanza del lavoro in studio di registrazione: Frank aveva una routine di dodici ore al giorno in studio ed è stato uno dei principali innovatori dell’epoca realizzando che questo luogo non era solo un posto in cui la musica veniva registrata, ma significava anche molto dar forma a ciò che la musica sarebbe diventata. Lo studio era parte integrante del processo creativo. Né a Lowell, né a Zappa importava fare singoli di successo o soddisfare l’industria musicale, la musica di Frank e quella si George oltrepassava i confini di genere, era cervellotica (quella del primo), eclettica e sudata (quella del secondo). Un’ultima importantissima cosa che Lowell ha ottenuto da Zappa è stata l’occasione di produrre un album. Il gruppo femminile GTO era sotto il patronage di Frank che ha affidato a George il primo lavoro di produzione col disco Permanent Damage in cui hanno suonato anche vari membri dei Mothers.

Nel 1969 i tempi sono finalmente maturi e dopo aver riempito il bagaglio con numerose esperienze Lowell George è pronto per fondare la propria band: nascono i Little Feat. Il nome del gruppo si dice abbia avuto origine durante il periodo coi Mothers: Jimmy Carl Black racconta che, quando Lowell era nei Mothers condivideva la stanza con lui e con Roy Estrada, i suoi piedi erano corti e larghi, così un giorno gli ha detto che avrebbe dovuto fondare una band e chiamarla Little Feet. Detto fatto, ma modificando Feet in Feat per omaggiare i Beatles.

little feat

L’estate del 1970 il gruppo firma un contratto con la Warner Bros e l’anno successivo pubblica il suo primo album omonimo. Un disco di soli trentatré minuti in cui Lowell suona molta slide guitar perché si era ferito una mano facendo volare un modellino di aereo telecomandato. Inoltre, proprio per questo motivo, viene supportato in alcuni brani da una leggenda della chitarra: Ry Cooder. Quest’ultimo infatti è citato nei credits della celebre Willin’ e del medley blues Forty Four Blues e How Many More Years. A proposito di blues, George era affascinato da questo genere di musica, in particolare da Howlin’ Wolf (autore dei due brani sopra citati), Muddy Waters e Robert Johnson. La cosa buffa è che, quando gli viene chiesto chi lo abbia influenzato maggiormente come musicista Lowell risponde proprio Howlin’ Wolf, un artista non primariamente conosciuto come chitarrista. George, al contrario di molti altri, era in grado di sviluppare uno stile che rispettava lo spirito degli originali senza copiarli pedissequamente.

La maggior parte della musica blues è economica, diretta, a volte delicata, sottostimata, e tutte queste caratteristiche erano presenti nello stile del Lowell maturo, mancanti invece nei chitarristi rock che si professavano essere “influenzati dal blues”. George e Wolf avevano in comune l’abitudine di stiracchiare le note lungo le battute, Howlin’ cantava quelle note e le suonava sull’armonica, Lowell le cantava e le suonava sulla chitarra. L’amore per Howlin’ Wolf emergerà anche dopo la scomparsa di Lowell George con l’uscita della raccolta Hoy-Hoy!, titolo probabilmente preso da un verso del pezzo di Wolf Three Hundred Pounds Of Joy. “Little Feat” è stato recensito positivamente, ma ha venduto solo undicimila copie.

Dopo questo primo insuccesso commerciale la Warner Bros recede il contratto, ma grazie a Van Dyke Parks, poliedrico musicista e grande amico di Lowell, i Feat ottengono una seconda opportunità. Tornando momentaneamente a Ry Cooder è il caso di sottolineare anche il fatto che all’interno del suo primo disco omonimo troviamo proprio Van Dyke Parks al piano e come produttore assieme a Lenny Waronker, oltre che un paio di Little Feat, Richie Hayward alla batteria e Roy Estrada al basso. È molto curioso come in quel periodo la Warner Bros avesse sotto contratto Little Feat, Ry Cooder e Bonnie Raitt, tutti artisti che attingevano ispirazione dalla tradizione blues e che rivisitavano il genere ognuno a modo proprio.

 

sailin shoes

Il secondo album della band s’intitola “Sailin’ Shoes” e viene prodotto da Ted Templeman. È un album molto più caldo, con più profondità di suono, presenza e varietà del precedente. Il disco segna una transizione nello stile chitarristico di Lowell: la sua slide è presente in tutte e undici le canzoni, tranne nella nuova versione di Willin’ e in molte di queste Lowell dimentica la distorsione che era invece molto presente nel primo album, in favore di un tono puro, limpido, pulito. “Sailin’ Shoes” è un disco di fondamentale importanza perché vede la prima apparizione di Neon Park, il disegnatore di copertine che accompagnerà i Feat fino al 1993, anno della sua morte: la sua giustapposizione di elementi apparentemente incongruenti era la visione perfetta della musica dei Feat. Quest’album è stato il preminente lavoro della line up iniziale e al contempo già un disco di transizione in cui lo stile di canto e il chitarrismo di George si sono mossi avanti rispetto all’impronta sonora più imitatoria che appariva nel primo disco.

Sfortunatamente, anche “Sailin’ Shoes” ha venduto poco. Le ragioni erano di varia natura: gli ascoltatori rimanevano confusi dalla tendenza dei Feat di assemblare canzoni in modo non convenzionale e un altro motivo poteva essere il fatto che George, rispetto agli altri musicisti rock di quel periodo, non avesse un look abbastanza attraente da rockstar.

Durante il tour promozionale, Roy Estrada se ne va per entrare nella band di Captain Beefheart e i Feat in quel momento apparivano sempre più senza speranze. Durante questo periodo poco soddisfacente, Lowell inizia ad accettare sempre più frequentemente sessioni in studio con altri musicisti. È stato uno dei sessionmen più gettonati dell’epoca: ha suonato in circa quaranta album, oltre a quelli della sua band, soprattutto tra il 1972 e il 1976 (John Cale, Carly Simon, Etta James, Maria Muldaur, Linda Ronstadt, Jackson Browne, Valerie Carter, John Sebastian, Herb Pedersen sono solo alcuni degli artisti con cui ha collaborato).

(Fine prima parte-continua)

seconda parte

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