little feat

 

Dopo “Sailin Shoes” Lowell fa due passi importanti: diventa produttore del terzo disco “Dixie Chicken” e recluta Paul Barrere come chitarrista (così Lowell può concentrarsi solo sulle parti di slide), Kenny Gradney al basso e Sam Clayton (fratello di Merry Clayton. Gimmie Shelter vi dice niente?) alle percussioni (entrambi arrivavano dalla band Delaney & Bonnie). Gradney, Clayton e Hayward diventano una delle sezioni ritmiche più inventive e versatili del rock di quel periodo. Da una band country rock di quattro elementi, i Feat sono diventati una band multietnica di sei elementi e una macchina ritmica dalle molte sfaccettature. La band ha finalmente imparato a “sentire il groove”: i Feat si lasciano dietro le spalle la loro California e affondano le unghie nel sugoso territorio sonoro di New Orleans (Clayton era nato proprio a NOLA, mentre Gradney a Baton Rouge), mescolando a più non posso riferimenti musicali disparati, tanto che Payne parlava addirittura di “disegnare una linea tra Stravinsky e Howlin Wolf”. Insomma, i Little Feat nel 1972 sono un gruppo che ha trovato la ricetta perfetta per una Jambalaya sostanziosa e ricca di gusto. Questa, tra l’altro, è stata la line-up che è giunta all’attenzione degli inglesi nel 1975 durante il Warner Brothers Music Show, un maxi-concerto che coinvolgeva Doobie Brothers, Tower Of Power, Montrose e Graham Central Station. Il funk rock dei Little Feat ha messo in secondo piano tutto il resto, diventando leader da un giorno all’altro in Europa, lodati da Eric Clapton, Led Zeppelin, Robert Palmer e dai Rolling Stones (Keith Richards ha detto loro: “Siete una parte della famiglia”). I Little Feat non erano showmen, non avevano basato la loro carriera su un catalogo di successi, amavano semplicemente giocare con la loro immensa sensibilità musicale.

Lowell George come produttore di “Dixie Chicken” stabilisce anche un nuovo metodo di lavoro: la maggior parte dei brani veniva catturata durante brevi sessioni live in studio e poi rivisitata estensivamente e affinata attraverso un lungo processo di sovrincisione. Ciò rappresenta perfettamente i due poli dello stile di lavoro di George, da una parte l’amore per la spontaneità del suonare live e dall’altra l’opportunità per controllare tutto lavorando in studio. Questo metodo appare chiaro anche in “Waiting For Columbus”, uno dei loro album più venduti. Il live contiene registrazioni fatte al Rainbow di Londra nel 1977 (in Apolitical Blues c’è pure un ospite d’eccezione: Mick Taylor) e al Lisner Auditorium di Washington D.C., che sono state poi in parte rimaneggiate durante la fase di sovrincisione in studio, come ad esempio le parti di chitarra e le voci.

Ma torniamo a “Dixie Chicken”. Incidere questo disco è stato un processo decisamente lungo e difficoltoso che Barrere ricorda bene: “tutto doveva essere perfetto”. “Dixie Chicken”, oltre ai sei Little Feat, vede anche protagonisti quattro musicisti aggiuntivi e sei coriste (tra cui Bonnie Raitt) ed è il disco in cui lo stile maturo di Lowell compare per la prima volta: rispetto ai lavori precedenti in cui Lowell improvvisava soli con base blues, ora costruisce attentamente melodie e riff, creando parti complementari alla canzone con giochi di vuoti e pieni che si integrano col groove intessuto dagli altri musicisti. Se i riferimenti al blues nel primo album erano prevalentemente di tipo chitarristico, in “Dixie Chicken” spiccano di più a livello testuale. Infatti, nella seconda traccia del disco, Two Trains, emerge l’immaginario blues del treno e della duplicità: due uomini amati dalla stessa donna, uno che se la spassa e uno invece che è afflitto dalle pene d’amore perché ci tiene molto a lei. Un contesto simile possiamo ritrovarlo, ad esempio, in Love In Vain di Robert Johnson, brano in cui spicca anche qui il dualismo delle luci del treno che si riferiscono una alla ragazza amata e l’altra alla mente del protagonista e al suo dolore. In Fat Man In The Bathtub il blues è ben esplicitato nel ritornello: “c’è un uomo grasso nella vasca da bagno con il blues” (che potrebbe raffigurare Lowell George stesso). Anche il penultimo brano dell’album, Juliette, è intriso di parole e frasi tipiche di quel mondo musicale, come “heartache and pain”, “the stars refuse to shine”, “your life is lonely”.

dixie chicken
Importante in questo disco e nell’intera carriera di Lowell George, anche se indirettamente, è la figura di Allen Toussaint che in un’intervista ha ricordato George come “a heartfelt man who was wide awake to emotions around him” Quest’ultimo ha incontrato per la prima volta i Feat quando hanno fatto il tour assieme nel 1975, mentre il musicista di New Orleans stava promuovendo il suo album “Southern Nights”. Prima di allora Toussaint non sapeva che la sua On Your Way Down fosse stata inclusa in “Dixie Chicken” dalla band californiana. Anche se Toussaint era sette anni più anziano di George, è diventato uno dei molti musicisti a cui Lowell fece da mentore: “lui mi ha incoraggiato durante quel tour. Andare in tour era qualcosa di nuovo per me, fino a quel momento avevo sempre lavorato in studio e non ero mai stato al centro di un palcoscenico”. Toussaint trovava snervante la dimensione live: Quando Lowell ha visto che era davvero combattuto sul fatto che stesse facendo la cosa giusta sul palco, e se dovesse essere lì o meno, gli ha detto parole confortanti: “Con così tante cose meravigliose che hai fatto, non dovresti preoccuparti di questo”. Toussaint dopo l’incoraggiamento di Lowell ha trovato fiducia, affrontando con molta più serenità il tour. Come accennato poco sopra, all’interno di “Dixie Chicken” è presente una cover del pezzo On Your Way Down di Toussaint che i Feat riescono a rendere benissimo grazie al sound e al groove “down south” che nel corso degli anni hanno assimilato. Anche nel disco solista di George “Thanks, I’ll Eat Here” è presente un’altra cover di un pezzo del musicista di New Orleans, What Do You Want The Girl To Do?. Allen Toussaint avrebbe potuto essere parte diretta della storia dei Little Feat, ma a causa di una svista di Lowell purtroppo non è andata così. Bill Payne in un’intervista ha raccontato come George consumasse smisuratamente droghe e alcol perdendo del tutto il senso di responsabilità e facendo cose stupide come, ad esempio, lasciare su un treno tra New Orleans e Los Angeles i nastri coi master e i mix di fiati di Toussaint destinati all’album “Feats Don’t Fail Me Now”.

A proposito di Payne è interessante sottolineare come nella stessa intervista abbia rievocato il suo promo incontro col fondatore dei Feat, evidenziando alcune fonti di ispirazione di questo “guru stropicciato”: “Ero stato convocato per un’audizione informale a casa sua a Ben Lomond a Los Felix, a mezzo miglio di distanza dal punto di partenza della famiglia Charles Manson negli omicidi LaBianca/Sharon Tate. Sono arrivato come richiesto e lui non era lì. C’era però una bella bionda che mi ha fatto entrare e mi ha detto di mettermi comodo che Lowell sarebbe tornato nel giro di quattro ore. Così ho guardato la sua collezione di dischi e i suoi libri. C’erano l’album Smithsonian Blues che includeva Join The Band (del celebre gruppo folk The Georgia Sea Island Singers), Muddy Waters, John Coltrane, Lenny Bruce e tomi di Carl Sandberg, Howl di Allen Ginsberg, Last Exit To Brooklyn di Hubert Selby Jr. Sapevo che mi sarebbe piaciuto anche se aveva una spada da samurai dall’aspetto brutto sul muro (George era cintura marrone di karate di Okinawa) e io ero un ragazzo di Waco, Texas.” Blues, Folk, Jazz, Roots, George dalle parole di Payne appariva come un divoratore onnivoro di influenze culturali.

Nel giro di un triennio i Feat esplorano il blues dalle radici fino alle foglie, interpretandolo a loro modo in tre dischi che racchiudono perfettamente le fasi di vita di questa band: l’acerbità adolescenziale di “Little Feat”, la transizione verso la spensierata gioventù con “Sailin’ Shoes” e infine la consapevolezza sonora della maturità adulta con “Dixie Chicken”. Ma come può una band importante come i Little Feat aver avuto così tanti problemi a vendere dischi? Senza un’immagine coesa, con un suono selvaggiamente eclettico che sfidava le facili categorizzazioni e un cantante grasso con il senso dell’abbigliamento di un fornaio o di un meccanico, i Little Feat erano l’incubo di ogni reparto marketing. Ma, al loro apice, erano avanti anni luce e facevano sembrare i contemporanei noiosi e arrancanti. Il genio di Lowell George è stato essere innovatore, non portando ovvie avanguardie radicali all’interno del rock come hanno fatto Velvet Underground e Jimi Hendrix, ma combinando assieme forme stabili e tradizionali in modo immaginativo e non usuale.

Proprio perché i Little Feat hanno sempre lavorato con questo tipo di forme musicali, l’estensione di questa innovazione è spesso passata inosservata dalla grandi audience. Hanno occupato una perpetua posizione scomoda, troppo strana per essere accettata nel mainstream, e non abbastanza sperimentale per essere pensata come alternativa. Un punto interessante che conferma quanto Lowell George fosse geniale è il concerto che i rimanenti Feat organizzano pochi mesi dopo la sua morte coinvolgendo molti artisti e amici musicisti che nel corso degli anni avevano collaborato con lui. Tra questi ci sono Linda Ronstadt, Jackson Browne, Bonnie Raitt, Emmylou Harris e Nicolette Larson. La setlist di questa serata commemorativa era composta da trentaquattro brani, ma solo sette di questi erano stati scritti effettivamente da Lowell. I suoi compagni di band in più occasioni hanno sottolineato come i pezzi scritti da George fossero complicati da suonare, irregolari nella struttura testuale e melodica, tanto da essere difficili da replicare pure per musicisti esperti. Tutto ciò è confermato dal fatto che l’unico brano che ha avuto grande successo ed è stato coverizzato da molti aveva uno schema regolare e semplice: Willin’.

Dopo la morte di Lowell George, i restanti Feat hanno deciso di tenere vivo il progetto, plasmandolo nel corso degli anni. Proprio lo scorso maggio, dopo dodici anni di silenzio discografico, è uscito il nuovo album “Sam’s Place”, un album in cui è protagonista Sam Clayton che, oltre a suonare le percussioni, si prende l’impegno anche di essere la voce principale. Le canzoni contenute in questo LP sono praticamente quasi tutte cover di iconici pezzi blues, You’ll be Mine scritta da Willie Dixon e resa celebre da Howlin’ Wolf, Long Distance Call di Muddy Waters in cui c’è ospite Bonnie Raitt e ancora Mellow Down Easy, I Can’t Be Satisfied e una versione live della celeberrima Got My Mojo Working. Insomma, i Feat nel 2024 non si sono ancora scordati delle radici, che tanto care furono al loro leader Lowell George.

Il tempo ha contribuito a dare valore ai Little Feat o restano ancora una band di nicchia? I Feat si sono certamente guadagnati rispetto e sono anche riusciti a raggiungere il successo commerciale che fin dall’inizio meritavano, ma al contempo, ancora oggi, troppi ascoltatori e appassionati non sono consci dell’importanza che ha avuto, e tutt’ora ha, questa band per tutte le ragioni riportate in questo articolo. Continuiamo quindi a diffondere la loro storia e la loro musica in ogni modo e canale possibile per far sì che i nostri amati Little Feat vengano citati tra quelli che hanno fatto la storia, al fianco di Beatles, Zeppelin e Stones.

Sara Bao


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