E’ una festa, che decolla anche stavolta, quella del Lodi Blues Festival. Più che altro perché la routine quotidiana della città all’ombra della grande Milano non riserva spesso eventi come questo, sebbene la Treves Band che li vive su tutto lo stivale, ci ricorda anche dal palco delle Vigne che il blues non se n’è mai andato. E anche l’interesse di uno zoccolo duro nei confronti della musica afroamericana non è mai scemato, quantunque diradandosi negli anni martoriati della pandemia. Ma il blues per definizione è chiamato a resistere, perché nasce per resistere, e quando ce lo ritroviamo anche nel lodigiano è una festa, perché sopravvive ogni volta che ritrova sé stesso.

Eccolo allora, un’altra volta, nei localini gremiti ad anticiparci la serata delle Vigne, quando gli onori di casa sono in mano all’ospite d’eccezione che da mezzo secolo calca i palchi della scena blues in Italia, inaugurando la stessa storia dell’idioma afroamericano nel nostro “Belpaese”. Sarà la Treves Blues Band del “Puma” di Lambrate infatti l’epicentro del blues in Teatro sabato 16 marzo, colpaccio quasi al completo per la sala, ma che gli eventi collaterali del Lodi City Blues, emanazione del Lodi Blues Festival, contribuiranno a colmare nei pub del weekend, pieni anche a metà settimana: tra il concerto dei Goosebumps Bros all’aperitivo domenicale del KM 298, il 25 febbraio, e l’ultimo sabato fuori festival con Francesco Piu in Vigna Alta, il 9 marzo, al Wellington Pub il duo di Maurizio “Gnola” & Cesarone Nolli faranno il tutto esaurito, nientemeno che di mercoledì, 28 febbraio. Ci rendiamo conto così che non è perché febbraio avesse un giorno in più quest’anno, che il Wellington fosse pieno, e neppure che per chissà quali contingenze astrali lo fossero gli altri posti, o lo stesso teatro.

Gnola e Nolli Wellington Pub Lodi foto Matteo Fratti

Potrebbe essere un’esigenza locale, quella di ritrovare eventi, e riveder suonare nei locali di queste parti sembra che piaccia ancora, come quando forse anche il contesto decentrato della bassa poteva riservar sorprese. Nessuna sorpresa invece per gli attori in scena stavolta, habitué degli scenari lodigiani di scorse stagioni del Blues Fest, a volte estive a volte tardo – invernali (o ante – primaverili) come in questa tredicesima edizione. E se ci perdiamo la “prima” al KM 298 per un equivoco d’orario (!) il Cesarone Nolli (che lì si era esibito in trio con Nick Taccori alla batteria e Paolo Legramandi al basso, in alcuni classiconi) lo ritroviamo a metà settimana, appunto, col grande “Gnola”, mattatori nel più autentico pub di Lodi, il Wellington, che sta “nell’oscurità ai margini della città” oltre Adda, neanche fosse la “rive gauche”. Ma niente di scuro la sera coi due, se non la birra, quanto piuttosto una luminosa infilata di blues e dintorni, e John Hiatt e Johnny Cash e giù d’intrecci a incalzare dal repertorio d’entrambi, con la telecaster di “Gnola” abilmente in glissato e la morbida duesenberg di “Big” Nolli, vere vocione entrambe, ancor più blues per un repertorio roots.

E anche all’ingresso in Vigna Alta sarebbe valso il detto: “…più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…” – dalla moltitudine gremita attorno all’angolo di  Francesco Piu, davanti al quale ci siamo ritagliati una nicchia per ritrovare il nostro amico bluesman isolano, adottivo in quel di Lodi e Sud Milano fin dal tempo dei suoi esordi. Lo rivediamo con grande piacere e tanta energia e simpatia, quasi quanto la sua amata “raspadura” a vanto del nostro territorio, assieme al suo “croccante” blues elettro – acustico, fatto di uno stile “slappato” sulle sue rabberciate acustiche, restaurate o di gran pregio, e una molteplice effettistica di loop e battiti artigianali, wah e slide distorte, e anche lui, gran voce. Un bagno di sudore, tanta la carica profusa nel fare spazio ai pezzi storici, o a reinterpretazioni come “Trouble So Hard”, suo cavallo di battaglia.

Cek Franceschetti e Federica Zanotti foto Matteo Fratti

Più raccolto e discreto, Cek Franceschetti, la settimana dopo ad aprire per Treves, come si deve a chi lascia spazio, ed è ospite sul palco dell’evento centrale. Sono i cinquant’anni della Treves Band e chiunque di senno avrebbe avuto tutto l’imbarazzo a rischiar di invadere una scena importante. Con Federica Zanotti alle percussioni, Franceschetti (che più volte ritrovammo fin dai tempi dei CekOut) lo evita alla perfezione e scarica un adrenalinico blues sulla resofonica, con un breve set di qualità nel suo stile un po’ pazzo un po’ divertito, memore di Son House.

Fiato…all’armonica, quando invece sul palco lodigiano del Blues Fest ritorna il nostro carissimo bluesman di Lambrate, anticipato dai suoi “pards” ad annunciarlo ad un pubblico “di casa”, tante le volte in cui anche qui la Treves Blues Band ha fatto faville. Sarà così anche in questa data, che si attendeva invero dopo i concerti con Lou Marini, celebrativi del mezzo secolo nella storia della band, con Gariazzo (chitarra e voce), Dellepiane (basso) e Serra (batteria e percussioni) a fare da power – trio a supporto del leader, instancabile come non mai nel ritorno che Lodi aspettava. “Lodi” dei Creedence Clearwater Revival, gli dedica un’altra volta la band; sono poi i consueti cavalli di battaglia a fare il paio con chicche d’impeccabile precisione, il treno con l’armonica che pare ormai un Frecciarossa, i tamburi di Serra coinvolgenti come sempre, e l’immaginario di un viaggio inesauribile che la chitarra di Gariazzo ha contribuito a tracciare in scelte esecutive a farne immancabile spalla del “Puma”. “Midnight Special”, “Stone Fox Chase”, fanno tappa un’altra volta a Lodi, coi primi cinquant’anni di una Treves Blues Band sempre in forma, per sempre giovane.

 

Matteo Fratti

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