Il festival Dal Mississippi Al Po dopo alcuni appuntamenti a Parma la settimana precedente (tra cui Kasey Lansdale, Hugo Race, Neal Black) , ritrova, per l’ottavo anno, la collocazione nella suggestiva piazza Molinari di Fiorenzuola d’Arda per tre serate. La prima di esse, lo scorso 21 giugno ha visto protagonista Mud Morganfield, per un set di Chicago blues d’annata. All’anagrafe Larry Williams, figlio di Muddy Waters, classe 1954, si è dedicato alla musica soltanto negli ultimi quindici anni, dimostrando una attitudine naturale al canto, combinata d una somiglianza a tratti impressionante con il leggendario genitore.

Mud Morganfield

Mud Morganfield foto Matteo Bossi

A partire dal 2008 Mud ha pubblicato diversi dischi, ricordiamo in ultimo che la Delmark ha editato lo scorso anno “Portrait” comprendente registrazioni apparse, a suo  tempo, su Severn col titolo di “Son Of  The Seventh Son”, con due brani in più.  In studio e dal vivo ha collaborato  con artisti quali Bob Corritore, Kim Wilson, Billy Flynn, Rick Kreher, Billy Branch,  Studebaker John e molti  altri veterani, che hanno contribuito a delineare la credibilità della sua figura di bluesman.

Per i suoi tour nel vecchio continente la sua band di riferimento è quella dell’armonicista inglese Steve “West” Weston, un quartetto solido e affiatato che oltre al leader allinea il chitarrista Paul Garner, l’italo-inglese Eric Ranzoni al piano e una sezione ritmica precisa. Weston, che qualcuno ricorderà ad esempio negli ultimi due dischi di Wilko Johnson o anche con gli scandinavi Trickbag, è armonicista di valore che dimostra la sua qualità senza eccedere negli assolo.

Dopo un brano introduttivo ecco arrivare sul palco Mud Morganfield e accomodarsi al centro su uno sgabello, imbracciando anche un basso, che suonerà solo per la prima canzone. Il repertorio si appoggia totalmente a quello di Muddy Waters a partire da “Blow Wind Blow” e per finire con “Walking Through The Park” come bis. Nel mezzo la voce rotonda e tonante di Mud ha condotto la band in un ripasso di pagine che appartengono alla storia di questa musica.  Mud onora la memoria del padre in modo più che legittimo, senza astenersi dall’affrontare super classici immortali quali “Hoochie Coochie Man”, “She’s 19 Years Old” o “Mannish Boy”, ma anche recuperando un pezzo meno noto come l’ottima “Strange Woman”, forse il gioiello della serata o una divertente “Can’t Get No Grindin'”.

Un piacevole viaggio nel passato con un figlio d’arte che anche nella mimica del volto sembra seguire le orme del padre, supportato da un valido gruppo che ha fatto della compostezza e dell’assenza di fughe in avanti una sua prerogativa, memore forse della lezione di economia e sottigliezza delle band che accompagnavano Muddy.

Matteo Bossi

 

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