veronica sbergia

Se c’è una cosa che non è mancata agli artisti blues italiani, nel corso degli anni, ed anzi ha forse rappresentato un distinguo qualitativo rispetto ad altre scene europee, è l’attenzione al blues degli anni Venti e Trenta, un periodo denso di personalità forti, cambiamenti e intrecci musicali. Pensiamo, per esempio, a qualcuno come Raffele Bisson, Max De Bernardi, Mauro Ferrarese e Roberto Menabò o sul versante femminile a Elli De Mon e ovviamente Veronica Sbergia. Ed è proprio di quest’ultima artista che torniamo a parlare e del suo “Bawdy Black Pearls” per la Bloos di Simone Scifoni.

Veronica si muove da anni in queste acque con estrema disinvoltura spesso navigando con un partner d’eccezione quale Max De Bernardi o le varie incarnazioni dei Red Wine Serenaders, senza dimenticare il recente progetto con Laura Fedele come Jolly Shoes Sisters. Questo lavoro solista si inserisce nel solco della sua produzione degli ultimi lustri, andando ad occupare un posto d’onore in una discografia coerente e di qualità costante. Le dodici tracce sono estratte dal repertorio di altrettante artiste attive tra gli anni Venti e i Quaranta, alcune note e altre molto meno.

Dal punto di vista musicale l’approccio è, per così dire, filologico, strumenti acustici si posizionano attorno alla voce di Veronica, con un ruolo da attore protagonista per il piano dello stesso Scifoni (davvero bravo) e lì accanto troviamo, nemmeno in tutti i brani, il mandolino di Lino Muoio, la chitarra di De Bernardi, il contrabbasso di Dario Polerani (o Lucio Villani) e Mauro Porro ai fiati. Abbinare filologia e freschezza non è affatto scontato, ma nelle mani di Veronica e soci questi “risqué blues”(bawdy, appunto) prendono vita, dispiegando tutta la loro sensualità in double entendre talvolta allusivi altre piuttosto espliciti.

Citare un brano o un altro, in un lavoro di grande compattezza, rischia di essere pleonastico, eppure come non menzionare almeno “B.D. Woman’s Blues” (in origine cantata da Lucille Bogan) o “Sold It To The Devil”oppure  una nuova pregevole, interpretazione di “Dope Head Blues” (Victoria Spivey) che peraltro aveva già inciso in “The Mexican Dress”. La voce di Veronica si piega e si appropria di ogni verso, con spigliata e vivace ironia, sassy la si definirebbe in inglese, si ascolti ancora “If It Don’t Fit Don’t Force It” (Barrel House Annie) o “What’s You Price”(Lena Wilson), contrappuntata dall’impeccabile piano di Scifoni.

Plausi anche alla copertina, realizzata da Roberta Maddalena Bireau artista italiana residente a Berlino, centratissima rispetto alla musica.

Matteo Bossi

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