Al Blues Festival del Magazzino di Gilgamesh, venerdì 6 marzo  è la volta dell’immenso Sax Gordon, tra i più richiesti solisti del suo strumento, ingaggiato da nomi del calibro di Ben E. King, Solomon Burke, Rosco Gordon, Charles Brown. Un curricolo tendente all’infinito, nonostante non sia Matusalemme e invece il passaporto reciti nato a Detroit nel 1965!

La serata è aperta degnamente dal Max Altieri Lil’Combo. Il chitarrista è praticamente il musicista residente per il blues nel locale torinese, autentico riferimento in città per le sue frequentate jam, appuntamento fisso del martedì.

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Sviscera un repertorio di classici riferendosi particolarmente alla tradizione di Chicago tra gli anni ’50 – ’60. La temperatura cresce in sala al punto giusto per accogliere la star americana. Lo accompagna la versatile band di Luca Giordano, noto chitarrista e produttore abruzzese, con Walter Cesarani, basso; Fabrizio Ginoble, tastiere; Lorenzo Poliandri, batteria che con il nostro ha un’assidua frequetazione.

Partono come treni, acceleratore a tavoletta: Gordon Beadle, questo è il suo vero nome all’anagrafe, immediatamente scopre tutte le carte e fa capire che il suo show è imperniato su una straordinaria generosità. Non si risparmia, canta, si dimena, ma soprattutto soffia nel vecchio tubo che stringe tra le mani facendo letteralmente urlare il suo tenore. Conosce bene la tecnica e sa far stupire: indubbiamente potrebbe suonare del jazz senza problemi disponendo appieno della grammatica e della sintassi del suo strumento. Ci fosse una sezione di fiati a supportarlo, probabilmente verrebbe giù il locale (vedi Porretta 2010). Il pubblico lo segue sui sentieri del rhythm and blues più nobile, ma anche  nelle ballad più sensuali o la dove il soul quasi mistico si rivela o si scatena l’ardore dello swing.

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Il concerto risulta indubbiamente interessante perché non è facile ascoltare in Italia un sax solo devoto a questo linguaggio: da noi i sassofonisti abitualmente si nobilitano immergendosi nel jazz e ritenendo, a torto, questo linguaggio troppo pop, troppo semplice. Eppure gente come Avitabile e Senese lo ha nobilitato spesso e volentieri.

Molti brani sono suoi, è un autore prolifico, ma indubbiamente qualche cover in più avrebbe fatto  sognare ancor di più. The Misfits, blues dinamico sempre presente nella sua scaletta, mette in mostra l’onesta band che ben svolge il compito di accompagnarlo senza mai prevalere e occupando diligentemente gli spazi che gli vengono riservati (non troppi per la verità).

Colpisce la sua versione di No Consideration di Jimmy Burns  e la successiva  The way it is: Gordon si mette a camminare in mezzo ai tavoli quasi a dialogare con il pubblico, facendo parlare il sax,   schioccando baci al parterre femminile e qui ci finalmente ci si mette anche una gran chitarra.

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E uno dei pezzi più belli e espressivi. Non manca il blues più torrido che culmina con un dialogo intenso tra gli strumenti. A tratti sembra di ascoltare quella scuola che ha deliziato il mondo del rock attraverso il fraseggio dell’indimenticabile Clarence Big Man Clemons quando arrivano un paio di brani che parrebbero su misura anche per il boss. La temperatura è ormai alta per il gran finale con un dinamico e travolgente Get Into It che introduce la jam conclusiva che coinvolge tutti i musicisti protagonisti della serata sul palco.

 

 

Marco Basso

 

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