Si è svolta (tradizionalmente nella seconda settimana di Luglio) dall’11 al 20 la 41esima edizione dell’Umbria Jazz Festival, kermesse musicale tra le più importanti a livello internazionale. Tra gli innumerevoli eventi (più di 200 concerti dal mezzogiorno fino a notte inoltrata) che hanno invaso le piazze e i teatri di Perugia, non potevano certo mancare quelli dedicati ai suoni della cultura afro-americana più legati al blues, connettore imprescindibile e punto di partenza per tutte le forme del jazz passato, presente e… futuro. Tratteremo di quei concerti più affini alla nostra testata ad iniziare dall’evento di apertura del festival che rende omaggio alla scuola soul attraverso il fenomeno indie della Daptone Records. In questi ultimi anni l’etichetta di Brooklyn ha saputo riaccendere l’attenzione verso questa forma musicale attraverso un gruppo di validissimi musicisti trasformando il marchio in un vero e proprio “movimento cult” per ogni appassionato.

The Daptone Super Soul Revue è lo show che ha alternato nel main stage dell’Arena Santa Giuliana i suoi “cavalli di razza” in oltre tre ore di musica iniziando dalla performance vocale di Suandra Williams e Starr Duncan Lowe in arte Suan and Starr che dotate di ottima presenza scenica e potenti vocalità si alterneranno sul palco per tutta la durata del concerto diventando supporto fondamentale per gli artisti che si susseguiranno. A seguire The Sugarman 3 ossia la parte strumentale dello show. Neal Sugarman, sassofonista dalle qualità indiscutibili, è il fulcro di questo set attraverso un sound marcatamente retrò e quei ritmi creati ad arte per far muovere i corpi (a volte impacciati) degli spettatori; brani ricchi di ritmi tra funk e boogie come “Rudy’s Intervention” e “Jealous Moon” ne sono la prova schiacciante. Il pubblico è bello caldo quindi per l’arrivo del carismatico Charles Bradley and His Extraordinaires.  Il suo stile è chiaramente legato al funk degli anni passati (i riferimenti sono chiari Stax e James Brown su tutti) ma Charles riesce a sorprendere per quella specie di innata purezza ed espressività che inonda i brani proposti; “Heartaches and Pain” e “Hurricane” sono il giusto strumento per esprimere tutta la sua passionalità grazie anche ad una voce colma di soul. A differenza di molti altri suoi colleghi Charles sembra essere un personaggio autentico, privo di ogni tipo di aurea artificiale o costruita. La line-up che lo accompagna sa sostenerlo nel modo migliore grazie ad un ritmo costante, mai invadente o ingombrante e quello che piace è la capacità di aver saputo ricreare quei suoni e stili tipicamente di un’epoca passata tanto che sembra essere realmente tornati indietro nel tempo….questo sarà il grande punto di forza di tutte le performance! E’ ora il momento di Antibalas, che si presenta con un vestiario di altri tempi (bianco rosso e blu) che non può certo passare inosservato.

Sharon Jones – Foto di Simone Bargelli

Il suo è un set prevalentemente strumentale e caratterizzato da quell’afro beat tipico degli anni settanta; alcune parti del concerto risuonano mood che ricordano colonne sonore della Black Exploitation, e l’uso a volte insistente di congas e percussioni varie, rende questa parte dello show la meno interessante della serata, anche se va ribadito che gli amanti del genere hanno molto apprezzato. La parte finale è occupata dalla regina indiscussa della Daptone, è il momento di Sharon Jones & The Dap-Kingsla cui leader curiosamente proviene dalla stessa cittadina natale di James Brown. Il suo è un gradito ritorno, già presente al festival nel 2006, ed è un piacere vederla in strepitosa forma sul palco dell’arena. Impressiona per la sua incredibile e contagiosa energia, per una vitalità dirompente; la voce è pungente; salta balla canta e incita senza che la sua performance ne risenta anzi…. Si susseguono senza tregua i suoi fantastici soul come “Retreat!” e “Stranger To My Happiness” per poi incantare ed emozionare negli attimi più intimi come quando racconta, in canzone, la sua recente avventura con il cancro; ma non lo fa con una ballad o un pezzo melodioso, bensì con un ritmo incalzante e sostenuto come a voler prendere a calci quel momento così duro della propria esistenza. Al termine dello show contiamo ben 23 musicisti sul palco e rimaniamo letteralmente a bocca aperta per l’energia che questa piccola grande donna ha saputo trasmetterci.    Immancabile il brano conclusivo “Family Affair” di Sly and Family Stone dove tutti i protagonisti della serata sono presenti sul palco.

Mountain Men – Foto di Simone Bargelli

La vera sorpresa del festival va a nostro parere individuata in un formidabile duo proveniente da Chartreuse Mountains, Francia da cui il nome Mountain Men autori di un blues straordinario quanto elegante e coinvolgente. La forte personalità e presenza di Mr.Mat, voce e chitarra e Mr.Iano, armonica e voce diventano un connubio quasi perfetto nel bellissimo “Hope” album le cui tracce compongono gran parte del live set.  Un blues il loro che s’interfaccia perfettamente con la cultura europea, impastando armonie tra Mississippi e folk francese; la possente e ruvida voce di Mr.Mat contrasta con l’eleganza e la leggerezza dell’armonica di Mr.Iano, ma come spesso accade gli opposti si attraggono e da cose così distanti nascono suoni inusuali e originali; il brano “Egotistical” ne è il perfetto esempio….la insolita e decisa versione di “Georgia On My mind” è la testimonianza di cosa sono capaci di fare. I Mountain Men si sono esibiti in vari palchi del festival e negli orari più svariati sempre offrendo uno spettacolo di altissima qualità… veramente inimitabili! Umbria Jazz dedica un’intera serata quella di martedì 15 Luglio a New Orleans città con la quale ormai da tempo ha stretto un legame indissolubile. Ad aprire il tutto la delicata presenza di Molly Reeves insieme ai suoi Viper Mad al Restaurant Stage sempre presso L’arena Santa Giuliana. Il trio totalmente acustico, Kellen Garcia contrabbasso, Ryan Robertson, tromba (con l’immancabile sordina) e Molly alla chitarra e voce sono i prosecutori di quella tradizione swing tipica della Big Easy che agli inizi del secolo scorso ha unito le immancabili strutture blues alle prime forme di jazz ed i tre ragazzi ci sanno veramente fare attraverso un approccio stilisticamente perfetto e una sobrietà che è tipica dei grandi….Molly possiede un’eleganza e leggerezza che merita la nostra ammirazione vista anche la sua giovane età (poco più che vent’enne) e i già tantissimi progetti discografici ai quali è legata. Sono tanti i blues proposti anche quelli provenienti dalla tradizione più nascosta di New Orleans alcuni firmati WC Handy, fino alle tradizionali più classiche come “Iko Iko” e “Stormy Weather”. Anche loro suoneranno per tutta la durata del festival e probabilmente li rivedremo ancora nel capoluogo Umbro. Proveniente sempre dalla capitale della policulturalità e contaminazione musicale, arriva sul main stage la formazione che più di altre oggi rappresenta il suono e la filosofia originale di New Orleans. I Galactic sono un settetto dalle forti fondamenta rhythm n blues; che grazie alle qualità dei suoi componenti riescono a fondere elementi rock, blues, e funk in un sound riuscito ed inedito. Punto centrale è senza dubbio il ritmo, creato a dovere attorno alla bella voce di Maggie Koerner che, grazie al timbro sagace e roccioso, “dipinge” di rock la tela assemblata dai musicisti. “He Calls Me Mama” è una malinconica soul blues ballad (dal repertorio solista di Maggie) dove poter sfoderare tutte le abilità vocali della Koerner, mentre “Dolla Diva”, “Hey Na Na” esprimono tutta la compattezza e l’affiatamento di un gruppo abilissimo; bella anche la versione di “Rock Steady” portata al successo da Aretha Franklin. Groove ad alte frequenze che ricordano a volte quelle dei Royal Southern Brotherhood anche se i Galactic si sono formati ancor prima (era il 1994); comunque questa ad Umbria Jazz era la loro prima apparizione al festival ed in Italia….Bravissimi una piacevole sorpresa. Annunciato da Renzo Arbore è il momento del custode indiscusso della tradizione di New Orleans; con il suo look bizzarro e l’immancabile teschio sopra il pianoforte sale on stage Malcom John Rebennack meglio noto come Dr.John.

Mr. Mat – Foto di Simone Bargelli

Dotato sempre di carismatica aurea e stravagante eclettismo, Malcolm presenta il suo personalissimo tributo a Louis Armstong stravolgendo già da subito la classica ballata “What A Wonderful World” in una folcloristica marcia da Mardi Gras… a volte si ha difficoltà persino a riconoscere i famosi brani proposti tanto è il cambiamento armonico imposto da Dr. John. Umbria Jazz già lo aveva accolto in passate edizioni e come sempre rivederlo è una bella sensazione.  La band che lo supporta è diretta dalla brava trombonista Sarah Morrow e va sottolineato come sia stata scelta una sezione fiati per lo più composta da musicisti italiani; va però anche evidenziato come, se da un lato la line-up è ottima, dall’altro la verve del maestro non è più quella di un tempo (più di quaranta anni sono passati dai suoi esordi) e i suoi eccessi, non solo musicali, si sono fatti sentire soprattutto negli interventi pianistici del “santone” di New Orleans. Al contrario la voce mantiene intatta tutto quel fascino e tipicità che lo hanno reso celebre. Tra i tantissimi altri concerti ai quali abbiamo preso parte, volevamo anche ricordare il piano blues di un habitué dei palcoscenici umbri Mitch Woods, boogie woogie e jump style sempre ottimamente eseguito, il rockin’ sound e rhythm & blues di Ezra Charles Texas Blues Band, quintetto capitanato da un altro esperto pianista e i giovani nonché apprezzatissimi Tuba Skinnyanch’essi da New Orleans e possessori di quella tradizione tra rag-time e blues tipica delle marching band della Louisiana.

Cecile McLorin Salvant – Foto di Simone Bargelli

Il momento più elettrizzante e ricco di emozioni però lo ricorderemo nel concerto di Cecile McLorin Salvalt, artista franco-statunitense definita come una delle voci più importanti del jazz contemporaneo e paragonata ad una nuova Sarah Vaughan; indelebile rimarrà il suo timbro e la sua interpretazione “stellare” della tradizionale “John Henry”, holler che ha inondato di brividi gli spettatori del Morlacchi in un caldo pomeriggio di Luglio, ribadendo ancora una volta che solo se hai del blues in corpo potrai suonare dell’ottimo jazz!  L’Umbria Jazz, seppur a volte criticato per le sue proposte musicali, resta una delle rassegne più imponenti e importanti del panorama internazionale. Il festival assicura sempre alta qualità organizzativa, logistica e artistica ed a tutto questo i suoi frequentatori sono ormai abituati, per non dire viziati. Non andrebbe mai dato per scontato quest’aspetto, ma anzi sempre elogiato e supportato soprattutto in momenti storici come quelli che stiamo vivendo (l’affluenza in calo è la triste e inevitabile conseguenza); anche per tutto ciò un grazie sincero va ha chi ci ha permesso di svolgere il nostro lavoro al meglio e a tutte quelle “figure invisibili” che rendono possibili dieci giorni umbri di grande musica…alla prossima edizione!

 

Simone Bargelli

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