I Primi Blues e le ultime visioni    di Marco Denti

Il rapporto con il blues non è mai così scontato ed è sempre foriero di sorprese, anche nel caso di uno dei più raffinati ed estroversi intellettuali di tutta la storia della cultura americana, Allen Ginsberg.

Le radici della sua ricerca poetica sono ampie ed elaborate e la progressione verso il blues comincia da un altro sognatore, Jack Kerouac, che, all’interno del loro ininterrotto dialogo lasciò scivolare un suggerimento, un po’ in forma di interrogativo, un po’ in forma di provocazione, dicendogli «perché dipendere da un pezzo di carta per le tue poesie».

Il punto di domanda è rimasto vacante perché a) non erano persone che lasciavano in sospeso le frasi e b) la risposta era implicita, almeno quanto immediata. Il precedente di Dylan, ammirato e condiviso all’infinito da Allen Ginsberg, aveva spalancato le porte verso un territorio arcaico, sterminato e ricchissimo.

L’elaborazione, come scriveva in “Da New York a San Francisco” (minimum fax), sarebbe partita proprio dall’idea che «la lingua scritta è una stampella per la mente» e quindi che la poesia è tanto «un’unità di suono quanto di un’unità di pensiero. […] [continua a leggere nel n° 137 – Dicembre 2016]

 

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