Carolyn Wonderland – One Special Lady
di Matteo Bossi
Avevamo parlato con Carolyn Wonderland quattro anni addietro (Il Blues n. 157) in occasione del suo lavoro, “Tempting Fate”, il primo per Alligator, prodotto da Dave Alvin. Abbiamo colto al volo l’opportunità di ritrovarla ora che è in uscita “Truth Is”, il nuovo album, il seguito di quello appena menzionato, visto che l’etichetta e il produttore sono gli stessi.
Un altro disco molto convincente, specchio della sua personalità e della sua visione della musica e del mondo senza compromessi. “Sì, è stato come prolungare la stessa gioia.
Sembrava impossibile superare l’esperienza precedente, perciò, perché non invitare di nuovo tutti? Era solo questione di trovare il momento giusto dato che tutti hanno una agenda fittissima. Ed ha funzionato, abbiamo trovato una settimana.
Dave ed io ci scambiavamo idee sulle canzoni già prima. Visto che ci siamo divertiti talmente per Tempting Fate per questo sono arrivata con certe mie canzoni che avevano solo un’ossatura, non ero vincolata agli arrangiamenti, anzi alcuni li abbiamo cambiati totalmente…mi va bene essere disposta a vedere una parte dissezionata e poi rimessa insieme. È davvero bello, difficile ma ne vale la pena. E Dave in questo è bravissimo. Ci sono un paio di brani in cui dopo averli ascoltati ha detto-sei sicura di voler iniziare con quel verso?- Hai ragione – gli ho detto. Vede cose che ti sfuggono.
Quando scrivi è meglio avere un editor, chiaramente, ma avere qualcuno che vede dall’interno quello che stai cercando di ottenere è straordinario. Ha davvero un dono.”
Questi ultimi due lavori ci sembrano tra le cose migliori che hai fatto.
Grazie! Sembra davvero una maturazione, ho sempre creduto all’idea che più suoni e più migliori o fai meno schifo, almeno! La cosa migliore che posso fare e crederci fino in fondo, d’altra parte scrivere canzoni significa questo e alla fine tieni quelle che hanno uno spirito…penso si capisca quando la gente non ci crede, talvolta per paura o per calcolo.
Per questo disco hai una sezione ritmica diversa, Giovanni Carnuccio (batteria) e Naj Conklin (basso), mentre prima c’erano Bobby Perkins e Kevin Lance.
Sì, ed è buffo ma Bobby sostituirà Naj per alcune date…siamo tutti parte di una grande famiglia felice, spesso nella off season, la gente si unisce ad altre band, ma c’è ancora molta musica da suonare e registrare. Devi essere contenta di lasciarli andare e poi ritornare quando possono.
E anche stavolta ci sono le tue amiche, Shelley King, Ruthie Foster, Marcia Ball e Cindy Cashdollar.
Oh, sì avere Marcia e Cindy Cashdollar è magnifico…ogni volta che ci ritroviamo mi viene in mente che dobbiamo proprio scrivere musica l’una per l’altra e fare un disco. È troppo divertente. E Ruthie ha appena vinto un Grammy. Fantastico. Era su una crociera, io questa volta non c’ero ma stavo guardando il live e mi fa piangere ogni volta, forse è un gioco, vediamo se riesco a far piangere Carolyn? È straordinaria ed è stata nominata tante volte che se lo merita davvero. Gesù, penso ancora a “Phenomenal Woman”, era talmente bello…
Anni fa avete anche scritto una canzone insieme, “Come Together”.
Questa è divertente, la canzone è venuta fuori perché eravamo entrambe ospiti ad uno show televisivo qui ad Austin. Io pensavo che l’avrei accompagnata e lei invece pensava che sarebbe stata lei ad accompagnarmi! Così ci siamo dette, sarà meglio che scriviamo qualcosa…
Un pezzo come “I Should Take” non sarebbe fuori posto in un disco di Marcia Ball, probabilmente.
Oh, grazie, quello lo abbiamo smontato e riarrangiato…mi ha ricordato quando ero più giovane ed ero in una band con Jerry Lightfoot e la sezione ritmica era composta da Larry Fulcher e Barry “Frosty” Smith. Larry suona spesso con Ruthie ora. Perchè questa canzone poteva andare in molte direzioni diverse, e alla fine ci siamo detti “OK scegli una città e un periodo”. “New Orleans, 1960”, ho risposto. Ecco cosa sento quando ci ripenso. Ed è una lezione che ricordo da Larry e Frosty.
Quindi alcune di queste canzoni le hai scritte con Dave.
Si, come dicevo, avevo queste idee di canzoni, testi e riff di chitarra, come uno scheletro e una cornice e talvolta lui le ha cambiate rendendole migliori. Diceva cose come, “qui c’è bisogno di un bridge, qui di quealc’saltro…” Ad esempio “Whistling Past The Graveyard Again” la facevo in modo più diretto, l’avevo scritta mentre mio marito è andato a fare acquisti al supermercato un giorno. Una cosa divertente. E Dave ha detto, “sì è carina, divertente, me e se la facessimo così…” e così l’abbiamo provata lenta e sinuosa, ci siamo divertiti di più. Dave ha fatto una magia, altrimenti sarebbe stata diversa. Il finale è quasi il tempo che avevo inizialmente. È stato bello averlo comunque richiamato.
È stato un processo differente rispetto a Tempting Fate.
Si, di sicuro. Ne ero quasi intimorita, non mi era mai successo di arrivare ad una session con canzoni così nude, non pronte, non rifinite. Per almeno sei o sette di queste canzoni mi sembrava tutto nebuloso, avevo le parole e come pensavo andasse più o meno il pezzo…ma è stata davvero la band a tirarle fuori. “Deepest Ocean Blue” l’ha scritta in pratica tutta la band collettivamente, era un riff di chitarra che mi faceva diventare matta da un paio d’anni…non se ne andava più. Ed ho pensato, ci farò qualcosa e un riff accattivante, ma non avevo un testo, né una struttura…le parole raccontano del mio bassista che ha fatto la proposta di matrimonio a quella che ora è sua moglie, l’abbiamo tutti succedere su una nave, per questo la canzone parla dell’essere su una nave.
Il fatto che ogni componente della band sia in grado di aggiungere un pezzo del puzzle è una questione di fiducia reciproca?
Oh, sì, viene dall’essere una band, specialmente essendo spesso in tour si vive insieme per sei settimane di fila nel van…e dopo un po’ finisci per sincronizzare anche il respiro e riesci ad anticipare cosa l’altro vuole sentire o dove vuole andare. Devi prenderti il rischio, suonando è bello essere avventurosi, voglio dire alla peggio la gente ride…da ragazza mi mettevo in imbarazzo da sola. E quando scrivevo una canzone era una cosa preziosa, come una bambina e dicevo come andava esattamente la canzone. Ora, e forse si deve solo all’età, capisco meglio che c’è molto più da imparare dagli altri rispetto a quanto ho da offrire. Ed è bello lasciare che le canzoni respirino e cambino forma.
Forse è persino liberatorio.
Molto. Fa sì che la musica resti una forma d’arte viva. Se non impari sempre qualcosa o prendi rischi…preferisco vedere qualcuno che rischia di cadere.
Quando hai deciso che il titolo sarebbe stato “Truth Is”?
Sembrava semplicemente il titolo…alla fine, che ti piaccia o meno, molte canzoni che scrivi sono degli appunti per te stesso, la tua verità, speri di trovare una verità universale, penso sia quel che ognuno cerca di fare nello scrivere canzoni. Questo rappresenta dove sono in questo momento. Quando sono felice di qualcosa non ne scrivo, ma quando sono arrabbiata, confusa o triste sembra ci siano asperità sulla superficie e un vuoto pronto ad essere riempito. Una volta scrivevo canzoni d’amore triste o non corrisposto ma in quella parte della mia vita le cose vanno talmente bene che non ho preoccupazioni in tal senso. Ho molti timori su quel che succede nel mondo e anche molta speranza. Cercare di mettere tutto in prospettiva e calarsi nei panni degli altri può essere un processo doloroso ma alla fine credo ne valga la pena. Che ci riesca o meno continuerò a provarci. E se qualcuno non è d’accordo può sempre scrivermi una canzone in risposta!
È più difficile proporre un messaggio di questo tipo in Texas, uno Stato piuttosto conservatore?
Beh, c’è pur sempre la teoria secondo cui la nostra musica è così buona proprio perché la nostra politica e i politici stessi sono così terribili! Ma, se vedi dove vivono le persone, le città sono come mirtilli che fluttuano in una zuppa di pomodoro rosso del resto dello Stato. Ad un certo punto devi esprimerti, oppure non ti sarà permesso di farlo. O lo fai o lo perdi. A volte la gente si arrabbia e reagisce a parole…il che va bene, mi preoccupa invece quando lo fanno fisicamente. Ma questo non mi ha fermato. Dobbiamo esserci gli uni per gli altri e accettare che la gente possa cambiare idea, del tipo “oh, wow, questo non è quello che mi avevano promesso”.
Come hai scelto le cover, “Wishful Thinking” e “Orange Juice Blues”?
Sono cresciuta, a dire il vero non sono mai cresciuta del tutto, andando a vedere Greg Wood con gli Horshoe i i Tab Jones ancora prima e per anni il mio chitarrista è stato un tipo fortissimo di nome Scott Daniels, che è scomparso. Lui e Greg erano soci in un sacco di progetti…perciò tra loro due e Eddie Hawkins hanno scritto molte belle canzoni. Ed erano canzoni molto personali, tanto che, come artista, non mi sentivo a mio agio a farle, le parole non mi si addicevano, non ero convincente…Per “Wishful Thinking” era diverso pensavo mi calzasse bene ed è un pezzo che amo da vent’anni, sono stata contenta di registrarla finalmente. Anche per questa Dave ha avuto ottime idee, di solito registriamo live e questa l’abbiamo fatta una mattina, all’inizio e mentre cantavo la voce mi si è spezzata e lui ha insistito, “devi cantarla con questa voce”. A fine giornata l’ho rifatta con la voce piena ma riascoltandola aveva ragione lui. Il momento migliore per registrare questo brano è proprio di mattina quando la voce sta per spezzarsi. Perché è così che mi fa sentire.
E per il pezzo di The Band?
Quella l’ha scelta Dave! Sono una grande fan di Levon Helm e Dave sa che io e Cindy siamo amiche, per questo ci siamo conosciuti, grazie a lei. Ha anche suonato nella sua band per un po’. Abbiamo questa connessione con la musica di The Band, che tutti amiamo, e poi avere lei e Shelley a cantare con me è stato perfetto, come una sera tra ragazze a casa! Andremo allo studio di Levon per il suo compleanno, ci sarà un Ramble con Amy e la band. Tuttora è davvero emozionante entrare in quel posto. Ho moltissimi bei ricordi. Una volta stavamo suonando lì e mi hanno detto “hey, vogliamo che canti una canzone con noi nel secondo set”. “Oh, wow, che pezzo faremo”. In quel mentre passa mio marito e mi dicono “Let’s Go Get Stoned”. “Oh, fantastico”. Howard Johnson aveva portato gli arrangiamenti dei fiati e l’abbiamo suonata…all’epoca Levon non cantava, perciò non si pensava lo facesse, ma ad un certo punto, dopo il secondo ritornello la sua voce era la più forte di tutte! È stato straordinario. Spero ci sia una registrazione da qualche parte. Levon era piano di gioia per quello che faceva, una cosa che aveva in comune con John Mayall, erano pieni di passione per suonare musica e condividere il palco con chiunque, erano lì per far sì che tutti attorno a loro suonassero al meglio. Per questo John aveva questa “università del blues”… tutti gli volevano bene. Ed è lo stesso per Levon. John era così, “suonala ancora, brilla!”, ti diceva e non c’è stata una sera senza un assolo di basso o batteria, tutti avevano la possibilità di lasciarsi andare.
John aveva anche una incredibile etica lavorativa, un aspetto che forse ha ispirato anche quanti abbiano avuto modo di lavorare con lui.
Oh certamente! Alcuni dei miei ricordi preferiti sono di quando la gente arrivava ai concerti senza realizzare subito che c’era lui lì a preparare i CD per la vendita…tutto quel che faceva era meticoloso. E la gente diceva, “Oh mio Dio, ma è John Mayall?” Ma non lo faceva per fare spettacolo. E a fine serata voleva che tutti noi della band portassimo i nostri CD, era anche il nostro momento…e se ne stava lì a chiacchierare con le persone. Era così gentile. Mi manca molto.
Hai qualche ricordo a proposito di “The Sun Is Shining Down”, il suo ultimo album?
Quella canzone la scrisse in soggiorno, mentre eravamo tutti lì. Ricordo che eravamo con Greg e Jay a fare una living room jam…John è andato in cucina, “oh sarà andato a prepararci un tè o qualcos’altro”. Quanto torna ci dice, scarabocchiando qualcosa, questa è una canzone su quello che stiamo facendo. Era dolce ed era davvero contento.
Tornando al disco, l’ultima canzone è dedicata al compianto Gene Taylor. Lui e Dave si conoscevano da molto.
Sì, si conoscevano da sempre…Gene viveva tra qui e il Belgio, alla fine era qui ad Austin. Il Texas non è attrezzato per il freddo. C’è stata una gelata e la cosa sarebbe di per sé tragica, ma il fatto è che chi era al potere decise di approfittare di questa tragedia e di limitare l’energia, e questo ha comportato un abbassamento delle temperature. Sono sicura che qualcuno ci ha guadagnato ma centinaia di texani sono morti per il freddo e Gene è stato uno di loro. Gli volevo bene, era una bella persona, divertente, di grande supporto. Perciò quando ho detto a Dave che avevo scritto una canzone per Gene lo ha apprezzato e quando è stato il momento ha detto che ovviamente avremmo dovuto suonarla insieme e trovare un pianista adatto. E così è venuto Henri Herbert, che al tempo viveva a Austin, lui è di Londra, un pianista fantastico che è oltretutto un grande fan di Gene. Sapevo che sarebbe stato in grado di incarnare lo spirito. E indubbiamente lo ha fatto. L’abbiamo incisa dal vivo in studio è stato un gran momento, ma ci sono state anche molte lacrime.
Hai mai inciso qualcosa con Gene?
No, a meno che qualcuno non abbia qualche video sul suo iphone o qualcosa del genere…mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di farlo. Sono felice dei grandi pianisti che suonano qui, ogni volta che Red Young mi dice di sì, è una gran cosa. Arriva e sa trovare delle contro-melodie che cambiano completamente la direzione del brano. E Bukka Allen riesce davvero a creare un’atmosfera, suona un accordo e l’aria nella stanza cambia. Non so come faccia. Mi sento fortunata. E Marcia Ball? Stiamo scherzando? Adoro suonare con lei. Mi invito ai suoi concerti così spesso che abbiamo creato una band io, lei e Shelley, KindWonderBall, così possiamo suonare insieme.
Nelle note di copertina tra le molte persone che ringrazi ci sono Delbert McClinton e Derek Trucks e Susan Tedeschi, c’è una ragione particolare?
Sì, uno dei primi concerti quando ero solo una ragazzina a Houston, è stato aprire per Delbert e lui fu incredibilmente incoraggiante verso una ragazzina che non sapeva nemmeno cosa stesse facendo. Non so se lo ricordi o meno. E negli ultimi dieci anni ho avuto modo di partecipare alle Sandy Beaches Cruise, che tutti chiamano le Delbert Cruise, perché è così. Sono tutti parte della famiglia o amici. È una di quelle situazioni in cui suoni un set e poi al secondo hai una sezione fiati, al terzo due tastieristi…tutti vogliono partecipare alle jam ed è molto divertente.
Per Susan e Derek perché ho una nuova chitarra grazie a loro! Stranamente, avevamo appena finito la Delbert Cruise ed eravamo in tour dalla Florida, tornando verso il Texas, la mia chitarra, la telecaster che usavo, ha avuto un problema…era quasi OK, ma poi il giorno dopo non ne voleva proprio sapere di funzionare. Così chiamai Susan. Il giorno prima, eravamo stati a trovarli, avevamo entrambi un day off e ci siamo fermati da loro a mangiare e passare tempo insieme. Così appunto l’ho chiamata dicendo, “conosci un buon riparatore o un banco dei pegni? Ho un’altra settimana di concerti”. “Ho una chitarra che puoi prendere”, mi ha risposto lei. E mentre stavo guidando verso casa loro, mi ha mandato un messaggio, “anzi Derek dice che puoi avere la sua” e mi manda una foto. La chitarra è in una teca nello studio. È la Telecaster signature Susan Tedeschi, Derek l’aveva comprata per averne una in studio. Suona straordinariamente bene. Ed è la mia prima scelta come chitarra negli ultimi mesi. Questo disco invece l’ho inciso con la blueshawk, quella che suonavo con Mayall, è così consumata, ho deciso che doveva proprio finire in copertina. Non ho mai consumato una chitarra quanto questa.
L’ultima volta avevamo parlato di Clarence “Gatemouth” Brown e Lil’Joe Washington. Hai qualche ricordo legato a W.C. Clark, mancato lo scorso anno?
Oh W.C. ha suonato fino alla fine. Sapeva di essere amato dal pubblico e questo mi fa felice. Era così generoso con chiunque volesse suonare. Non si metteva in avanti, era contento di accogliente con i nuovi venuti e gentile on tutti. Suonava in tutti i club di Austin, si divertiva molto a suonare dal vivo.
E Carl Weathersby? Anche lui se ne è andato ed ha trascorso ad Austin gli ultimi anni e ha persino suonato qualche volta con Mayall.
Non ho avuto modo di passare molto tempo con lui, era molto amico di Jay Davenport dai tempi di Chicago. So che c’erano diverse organizzazioni qui in città che gli volevano bene ed hanno cercato di aiutarlo. È stato triste sapere che ci ha lasciato. Specialmente dopo aver sentito Jay raccontare di quanto fosse formidabile. Mi piace essere in tour ma a volte ti perdi belle cose a casa. Ma è la vita. Anni fa, anche io e Marcia Ball abbiamo creato una organizzazione di benefica, Homeaustin.org, in origine volevamo aiutare Lavelle White, assicurarci che non perdesse la casa. La cosa più difficile di essere un homeless, e posso dirlo dopo aver vissuto per due anni nel mio van, è che quando sei in quel sistema è difficile uscirne. Essere poveri è costoso. Perciò raccogliamo fondi affinché i musicisti più anziani nell’area di Austin non rischino di perdere le loro case. Un atto d’amore. Ed è una cosa che amo di Austin, penseresti che con così tanti musicisti ci sia molta competizione, ma in realtà tutti sono molto solidali. Una bellissima comunità, grazie a Dio c’è ancora. Ci diamo dignità l’un l’altro e questo è molto importante.
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