Chris O'Leary

E’ a questo sesto disco che Mr. Chris O’Leary firma per Alligator, col suo debutto per la casa discografica di Bruce Iglauer in piena chiave chicagoana, non sfigurando affatto per padronanza della materia, come da tradizione dei musicisti della squadra del lucertolone. Era già al primo disco infatti che la band del cantante armonicista della band “Barnburners” di Levon Helm era in odore di nomination tra i prestigiosi Blues Music Awards del 2011, imboccando a quel tempo la sua personale strada musicale, sempre accompagnato da innumerevoli compagni di viaggio e musicisti, come lo è tuttora.

Alle spalle, persino la parentesi di veterano nel Corpo dei Marines a cavallo d’anni ‘90, a immaginarcelo un po’ come lo scanzonato rocker arruolatosi del film “Gunny” di Clint Eastwood, che si autoproclamava simpaticamente l’ “ayatollah del rock’n’roll”.L’intraprendenza solista di O’Leary ce lo avviava così in un percorso che giunge tuttora a mettere a frutto i tesori di un’esperienza pregressa, sin dalla conoscenza dei retroscena dell’album “Woodstock” di Muddy Waters, o dei tempi d’oro del “Last Waltz” di The Band, come ci racconta Bob Margolin nelle note a quest’album: un interessante testimone blues ai nostri giorni, traghettatore “mississippiano” d’altri eroi per un team vincente, quantunque dall’Hudson Valley newyorkese verso il sound di Chicago.

Sicché “The Hard Line” è fatto di una dozzina di pezzi, e un’innumerevole infornata di ospiti a condire le canzoni che balzano all’orecchio con viraggio al soul ed errenbì, fin dal primo brano. Le registrazioni viaggiano tra studi in Connecticut, Florida e New York, missaggio a Chicago sempre sotto supervisione di Iglauer, e chi ci suona si alterna attorno ai membri più stabili, come il chitarrista Chris Vitarello e il bassista Andy Huenerberg. E se “Lost My Mind” riproduce lo stile soul & rhythm dell’apertura, si distinguono per intensità cose come “Ain’t That Crime” o “I Cry At Night”, quest’ultima come una hit, potente bluesone con l’unica comparsata chitarristica di Mike Welch.Cedono poi il passo alle danze “Things Ain’t Always What They Seem” o il pianistico barrelhouse “Need For Speed”, ma piacciono ancor di più il feelin’ laid-back di “Lay These Burdens Down” o “Who Robs A Musician?”, cantato B.B. – style per l’una e approccio Fleetwood alla Greeny per entrambe. Mentre “Funky Little Club On Decatur” è un omaggio new orleansiano, si chiude su un veloce r’n’r l’ultimo di O’Leary, piacevole in toto, come un classico d’annata.

Matteo Fratti    

 


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