La XVI edizione del festival Dal Mississippi al Po si è aperta il 27 agosto con una line up d’eccezione: Roberto Luti & Angelo Leadbelly Rossi seguiti da Gnola Blues Band feat. Paolo Bonfanti. Prima della musica però c’è stato anche un interessante collegamento Skype con James Grady, autore del Montana celebre per il suo romanzo d’esordio I sei giorni del Condor. Seba Pezzani ha intervistato lo scrittore parlando della situazione attuale e chiedendogli dei suoi progetti futuri. “Ci sono due crisi drammatiche al momento negli USA, ma che colpiscono gravemente anche tutto il resto del mondo: il Covid in primis, e in secondo luogo il razzismo, alimentato dalle disparità economiche e sociali. Per quanto riguarda i miei progetti invece posso anticiparvi che ho appena finito di scrivere un nuovo romanzo ambientato nel cuore degli Stati Uniti, proprio nel mio Montana”.

Tocca poi alla musica portare avanti il collegamento col Deep South statunitense. L’azzeccato binomio Luti-Rossi, conduce la platea al di là dell’oceano, ma anche verso Sud, giù fino ad approdare alle sponde nere dell’Africa, inoltrandosi fino al centro del suo cuore ed esplodendo in migliaia di colori sonori vivaci e malinconici. La luna si affaccia da dietro le nuvole e accarezza con una brezza serale di fine estate i visi increduli e mascherati del pubblico. Skip James si lascia plasmare dal duo italiano che manipola Hard Time Killin’ Floor Blues vestendola di strascichi doloranti e sonagli lontani, facendo eco come catene di un passato pesante. La combo Luti-Rossi è sinonimo di risparmio sonoro al fine di ottenere il massimo risultato emozionale: poche note e pochi accordi, ma efficaci ed esaurienti. La semplicità e il lavoro di sottrazione, ce lo insegnano loro, nel blues prebellico sono sempre l’arma vincente. Qualche parola, un paio di tocchi, una manciata di suoni profondi e gutturali per riversare sugli ascoltatori sensazioni forti come l’aceto, distillate in pochissime gocce musicali definitivamente letali.
Angelo e Roberto, con una musica più forte di qualsiasi medicinale chimico, ci hanno portato giù, sempre più giù fino alla tana del Diavolo, dove la puzza di zolfo si mescola a zaffate di igienizzante per mani e sudore pungente. C’è una profusione di vibrazioni rustiche, grevi pizzichi improvvisati tra giochi di sguardi e sonorità ruvide, grezze come le mani dei raccoglitori di cotone. Suoni callosi e umili, caldi e sinceri. Accordi da lavoratori instancabili e canzoni da manovali, piene di verità e sentimento. “Play brother!” dice Rossi a Luti: due fratelli con una notevole differenza di età, nati dallo stesso padre, il blues, e da madri forti e inamovibili, le roots.

Con la Gnola Blues Band e Paolo Bonfanti il blues abbandona l’acustica e va a farsi un giro in città, tra luci al neon e scosse elettriche. Gnola, Legramandi e Nolli aprono il set con Dusty Roads, brano deliziosamente accattivante scritto e composto da Edward Abbiati e Maurizio Glielmo. Il blues si mischia al rock, dando vita ad un ibrido sonoro ruspante caratterizzato da una sezione ritmica marmorea: Legramandi-Nolli seminano groove e cori nelle retrovie mentre il GGG, il Grande Gigante Gnola, piccona le dita sulle chitarre elettriche.
Poi si unisce alla festa il Bonfa proponendo il suo brano Father’s things, vestito per l’occasione come un centometrista, attillato, scattante e pronto a sprintare per passare subito il testimone a Trouble and Pain della Gnola Blues Band.
Paolo Bonfanti a seguire propone Slow blues for Bruno, uno strumentale nostalgico, strascicato, e ghiacciato come il suono della Telecaster mancina. Emozioni intense e dolorose, cristallizzate in musica. Si continua con I kinda like it e Ventilator Blues a cui segue poi I can’t find myself che si apre in un duello amichevole tra Tele-Bonfa e Strato-Gnola per una chiacchierata sgargiante a culminare in fragorose risate chitarristiche.
Gnola si lancia poi in una gustosa versione di This Ol’ Cowboy della Marshall Tucker Band ed è subito tempo di jam. E come ogni jam che si rispetti ognuno mette del suo. Il Bonfa infatti coglie al volo la situazione e dagli Stati Uniti fa tornare tutti nella sua Liguria con un pezzo in dialetto genovese che unisce i temi e gli stereotipi dell’immaginario blues. Tocca poi a On your way down di  Allen Toussaint mandare tutti a passeggiare tra le strade di New Orleans con un groove godurioso, caldi cori soul e il wah wah di Gnola a condire ancor di più questa insalata di creolitudine già di per sé saporita. Ma è già subito ora di un’altra mini jam, che parte con il classicissimo Midnight Rider in cui un poliedrico Cesare Nolli dà libero sfogo alla sua voce soulful. E’ il momento di andare verso la conclusione ma non prima di aver eseguito la corale She got me now della Gnola Blues Band che si presta bene a chiamare in campo l’ultima jam session, stavolta anche con Angelo Rossi e Roberto Luti. Smokestack lightnin’ è un incipit da paura, con gli ululi di Angelo “Wolf” Rossi che conduce il pubblico verso una chiusura tutta groove e soul con Get out of my life, woman di Allen Toussaint che marca definitivamente la lode alla serata.

L’esordio della XVI edizione del festival Dal Mississippi al Po ha visto protagonisti quattro nomi di punta nel mondo del blues italiano. Angelo “Leadbelly” Rossi, Robert Luti, Gnola Blues Band e Paolo Bonfanti sono il poker musicale che fa sentire orgogliosi e fieri di essere italiani nel mondo del blues.

 

Sara Bao

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