Abbiamo incontrato Folco Orselli al John Barleycorn di Milano per l’organizzazione di uno degli appuntamenti del Dr Feelgood Beer & Talk Show, il format che veniva condotto da Maurizio Faulisi e trasmesso in streaming su Facebook prima del lockdown. La serata è trascorsa piacevolmente tra birre, risate e quel pizzico di ironia mista a metafisica, che ha fatto sentire tutti a proprio agio. E così è nata l’idea di questa intervista, per parlare del progetto Blues In Mi, il cui svolgimento, soprattutto per quanto riguarda gli eventi live, è inevitabilmente slittato. Ma ad incuriosirci erano le idee ed i progetti di Orselli, un musicista atipico, capocordata di un progetto atipico, portare la gente e la musica alle periferie di Milano, quando tutti invece puntano a Piazza Duomo.  Ecco cosa ci ha raccontato, pur mantenendo la social distance richiesta dalla situazione!

di Davide Grandi

 

D – Da cosa è nata l’idea di Blues In Mi?

R- Blues in Mi è un progetto bicefalo, da una parte ci sono due dischi di cui il volume 1 è già uscito un anno fa, e dall’altra è un docufilm in 5 episodi che racconta le periferie milanesi attraverso un linguaggio artistico, il blues appunto che, a differenza degli strumenti che di solito si usano per fare questo genere di ricerche, e mi riferisco al giornalismo o alla sociologia, mi permette di approcciare alle persone con un sentimento, visto che il blues non lo ritengo solo un genere musicale ma anche un genere dell’anima.

D- Cosa c’entra il Blues con questo progetto?

R- E’ lo strumento che ho utilizzato. Il blues si occupa da sempre di raccontare le fatiche che le persone devono affrontare per essere davvero libere ed è un ottimo contenitore di “storie”, quello che sto facendo è cercare di raccontare i quartieri dal punto di vista umano e ho scelto il Blues anche per una questione di verità. Voglio raccontare le periferie senza menzogne ma filtrandole attraverso il Blues che è indice di verità. Si può fingere il rock, il pop, il metal; ma non si può fingere il Blues, sarebbe ridicolo.

D- Perché Milano? Che ambiente musicale c’è a Milano?

R- Milano è la città in cui sono nato e che mi ispira da sempre. Il convitato d’asfalto di molte delle mie canzoni. Suono da trent’anni a Milano e la racconto da altrettanti anni. Milano per me è una bella donna con poco seno ma con un gran culo. E’ difficile “trovarla” ci devi girare intorno, come le periferie girano intorno ai centri. Penso che la vera bellezza e originalità di quella donna si trovi lontano dai centri. I centri delle grandi città sono tutti uguali, massificati dalle stese grandi attività e firme. In periferia si trova la milanesità  più aggiornata. L’ambiente musicale milanese penso sia come quello di tutte le città italiane, poco considerato e lasciato a se stesso. Poi dopo ’sto casino del Covid si è capito ancora più chiaramente che posto occupiamo nella società italiana, quello in fondo a destra vicino al cesso.

D- Folco Orselli si considera un musicista di Blues? E cos’è il Blues per Folco Orselli?

R- Se non avessi fatto il musicista avrei fatto il cuoco. Per me il Blues è come l’olio o il burro in cucina. La base di tutte le mie canzoni. Se hai l’olio buono arricchirà qualsiasi piatto che sia pesce, carne o verdure. Non sono un purista, categoria che rispetto ma che a volte sconfina nel “fondamentalismo” e visto che il Blues si accosta a volte alla categoria della religione il rischio è sempre presente. Come ho scritto sopra il Blues non supporta la menzogna e io l’ho declinato in vari modi, applicato al folk, al funk, alle ballads e anche al punk. Ho fatto 6 album e li considero 6 album di Blues, e chi è venuto ai miei concerti o li ha ascoltati sa che è vero.

D- Le periferie e la musica: solo rap/hip hop/trap o anche musica classica e danza?

R – Per il primo episodio del film ho fatto un esperimento. Ho cercato tre ragazzi di periferia, di tre quartieri diversi, che praticano Rap, Trap, e Hip Hop, che poi sarebbe la macro categoria che contiene gli altri due. I tre ragazzi sono di tre culture diverse, Lokita è italiana, Islam Malis è egiziano e Jay Dee filippino. Ho provato a scrivere una canzone con loro che contenesse tutte queste apparenti diversità. Io ci ho aggiunto il Blues, che essendo il padre del Funk è quindi nonno dell’Hip Hop visto che quest’ultimo viene appunto dal Funk. Il tutto è documentato nel primo episodio che uscirà per Corriere.it il 20 giugno e successivamente sui nostri canali (la pagine Facebook si chiama “Blues in MI” come quella Instagram.). I prossimi episodi saranno declinati in altro modo, per esempio il secondo è dedicato alla danza nei quartieri, e anche per questo cercherò di unire stili differenti sotto l’ombrello del Blues. La tesi che voglio dimostrare è che attraverso una base di valori comune tutte le diffidenze e i pregiudizi vengono a cadere.

D- Cosa vuol dire nel 2020 il concetto du quartiere dal punto di vista anche musicale oltre che umano?

R- Il quartiere crea appartenenza e linguaggi, soprattuto l’area ovest (Baggio, Giambellino, San Siro/Segesta) che ho visitato per il primo episodio, che è l’area più Urban dal punto di vista musicale. Naturalmente le declinazioni dell’Hip Hop la fanno da padroni, ma ho registrato anche che tra i ragazzi si tornando pian piano anche a suonare altri generi, nelle cantine o nelle sale prova. Il quartiere, dopo questo evento devastante, tornerà ad essere un riferimento importante anche dal punto di vista della praticità. Ogni quartiere dovrà essere autonomo per quanto riguarda tutti i beni essenziali e non, I famosi 15 minuti, di cui si sta molto parlando, per cui da casa tua devi poter raggiungere tutti quello che necessità alla tua vita. La gentrificazione, se governata, può portare dei vantaggi, penso a NoLo. Quando dico governata intendo per esempio un occhio sui prezzi degli affitti che il mercato, nel momento che al quartiere vengono apportate delle migliorie, fa schizzare verso l’alto.

D- La periferia, è diversa dal quartiere?

R- Diciamo, per continuare sulla metafora precedente, che la periferia è L’Hip Hop e i quartieri sono i generi da lui derivati.

D – Pensi che la musica sia solo intrattenimento o che volente o nolente debba portare un messaggio più “profondo”?

R- La musica, per come la intendo io, deve cercare di comunicare con l’io più profondo della gente. Quando ascolto una canzone voglio che mi provochi una reazione profonda, che faccia vibrare, per simpatia, i miei sentimenti. Poi c’è anche quella che ascolti al supermercato, ma la ascoltiamo veramente? Poi naturalmente ognuno è libero di fare quello che gli pare, ma da quando la musica la fanno tutti, anche chi non ha idea di cosa sia una chitarra o un pianoforte, mi sembra che l’asticella si sia un po’ abbassata. Tornado ai rapper, che dal punto di vista dello “strumentismo” praticamente non esistono, dal punto di vista contenutistico invece ho trovato la stessa urgenza che riconosco in musicisti che apprezzo, anche di altre generazioni, quelle a cui facciamo spesso riferimento noi “vecchietti”.

 D- La musica (e tutte le forme d’arte in generale) dovrebbero essere al centro della vita di ognuno di noi, assieme alla cultura e all’educazione, cosa può e vuole fare Blues In Mi e Folco Orselli?

R- Voglio cercare di aprire una strada che utilizzi strumenti apparentemente non idonei a raccontare una storia, ma che in realtà sono più profondi degli strumenti classici. Non ho nulla contro l’esplorazione giornalistica o sociologica, ma mi sembrano vie sempre un po’ freddine; dobbiamo sintonizzarci con le storie della gente attraverso strumenti che dell’anima, intesa in senso pagano, si sono sempre occupati. La cultura, la scuola, la famiglia sono elementi importantissimi, ma poi dobbiamo fare in modo che i terreni che “arano”, che preparano, vengano seminati davvero, e non si può delegare ad altri questo compito dobbiamo impegnarci tutti, ognuno per le proprie possibilità, a migliorare la vita degli altri e così facendo, migliorare anche la nostra.

D- Blues In Mi e il Coronavirus, come evolverà il progetto dopo  questo stop forzato che ci costringe a metterci tutti in discussione?

R- Abbiamo per ora eliminato tutti gli eventi fisici sui territori, prevedo concerti, performance artistiche, parate alla Mardi Gras a New Orleans ed altre manifestazioni che contemplavano la vicinanza. Ora è tutto tra parentesi da questo punto di vista ma, visto che questo è un progetto che dura due anni, confido di recuperare in coda quando il vaccino ci “sparerà in un neo rinascimento che prevedo molto, molto interessante.

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