james jabo houston

È molto probabile che, a meno di essere originari di Austin, non abbiate mai sentito parlare di James “Jabo” Houston, uno degli ultimi vecchi della scena blues di East Austin, Texas. Cresciuto sulle strade dell’East Side, immerso fin dall’infanzia nel microcosmo blues locale, James “Jabo” Houston ha atteso fieramente di registrare il suo primo album all’età di 78 anni (essendo nato nel 1944). “Jabo Blues” (Bello Records) risulta quindi una documentazione dell’eredità della scena di East Austin. Batterista ed ex bassista autodidatta, diventato tastierista dopo alcuni problemi di salute, Jabo infonde in ogni brano la sua filosofia blues, “bisogna sentirlo, non basta suonarlo”. Con la sua voce roca e in un’atmosfera down home blues, quest’album è concepito e prodotto dal suo amico chitarrista Jack Edery, inciso nello studio del noto batterista Nico Leophonte (Bo Diddley, The Fabulous T-Birds). Come molti altri musicisti, Jabo ha lavorato tutta la vita come operaio nell’edilizia o come meccanico, pur suonando regolarmente nei club col suo gruppo The Old Dogs. Dei dieci pezzi inclusi nel disco, due sono originali scritti da Jabo, “First Name Is Jabo” e “Down In Louisiana”, mentre otto sono cover quali “Change My Mind”, “Woke Up This Morning” o ancora “Night Time Is The Right Time”. Oltre a Jabo, gli altri  membri degli Old Dogs sono, Roy Crawford al canto, Bobby Terrell al sassofono, Eric Przygocki al basso, Nico Leophonte alla batteria, Jack Edery alla chitarra e Billy Cummings all’organo, tromba e cori.

Sul primo originale, “First Name Is Jabo”, il suo innato senso della narrazione si impne come un marchio di fabbrica, comincia affermando, “My first name is Jabo” prima di aggiungere, “my second name ain’t never been told” (il mio secondo nome non è mai stato pronunciato). In seguito, la canzone diventa il pretesto per vantare le sue prodezze con le donne dato che canta, “amo le belle donna dall’età di dodici anni” e il merito lo attribuisce a suo padre, seppur non fosse un fantino gli ha “insegnato a “montare” e aggiunge maliziosamente, “basta mettersi in mezzo e oscillare da un lato all’altro”. Un bell’esempio di “double entendre” e di linguaggio verancolare ricorrente nei testi delle musiche di matrice afroamericana.

Sul secondo brano autografo, “Down In Louisiana”, dagli accenti terragni e dall’atmosfera tipica del Sud, Jabo si appresta a correre dietro a una donna che è fuggita con un altro uomo in Louisiana, con la sua colt 44 in mano. Oltre a far presagire un destino inquietante per la sua dulcinea, Jabo si trova di fronte a un dilemma: dopo aver commesso un crimine imperdonabile, ritrovarsi rinchiuso nel penitenziario di Angola, Louisiana State Penitentiary, dalla reputazione sinistra o al contario, continuare a vivere in una paciosa indolenza caratteristica della Louisiana. Il ritmo cupo creato da Eric Przygocki al basso e dalla batteria di Nico Leophonte è perfetto per sottolineare le parole malinconiche della canzone. Il sax di Bobby Terrell e la chitarra fluida e ben calibrata di Jack Edery evidenziano perfettamente il dolore e la sincerità insite nella sua voce. Ne vorremmo ancora di questo blues del sud che si incolla alla pelle con le sue emozioni vere, senza fronzoli né ornamenti! Per quanto riguarda le riprese, citiamo (tra tanti titoli di egual valore) una versione di “The Things I Used To Do” che coglie nel segno. In conclusione, ecco un album raro, ancorato ad un blues down home, da procurarsi con urgenza, dato che la musica è qui suonata da un gruppo compatto, in grado di fondersi con brio nell’universo di James “Jabo” Houston, Ray Reed, Clarence Edwards, Orange Jefferson e molti altri… Indispensabile.

Philippe Prétet


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