Rivedere dal vivo e negli anni del tramonto dorato, per inevitabili ragioni anagrafiche, artisti come Mayall che hanno avuto una carriera lunghissima e lasciato un segno destinato a restare, potrebbe presentare il rischio dell’effetto nostalgia o della (legittima) difficoltà di accettare il tempo che passa. Eppure non si è avuta questa sensazione durante il concerto che John e i suoi musicisti hanno animato all’Alcatraz il 19 ottobre scorso, proprio perché il primo a divertirsi ancora sembra lui stesso.

Foto di Lucia Braccioforte

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Segnaliamo in primo luogo l’ottima sezione ritmica formata da Greg Rzab (Buddy Guy, Otis Rush, Otis Clay nel curriculum) e Jay Davenport, batterista da Chicago blues vecchia scuola, non bastasse la felpa dei Cubs a rivelarne la provenienza. L’ensemble è completato dal chitarrista texano Rocky Athas, certamente valido ma meno in linea col blues in senso stretto, visto che gli manca quel filo di creatività negli assolo, indispensabile per evitare che tutti finiscano per assomigliarsi troppo. Una considerazione in questo senso la merita Mayall che, come al solito, si divide tra chitarra, tastiera e armonica e pur non essendo un virtuoso in nessuno dei tre, ha indiscutibilmente un modo tutto suo di approcciarli, basti per l’armonica l’attacco della classica “Help Me”.

Foto di Lucia Braccioforte

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Per il resto il repertorio è fondato in buona parte  sulla produzione recente, “Mother In Law Blues” e lo slow “Drifting Blues” condotto con gusto dal piano di John, entrambe dall’ultimo CD e “Floodin’ In California” (Albert King) e “Why Did You Go Last Night” (Clifton Chenier) da “A Special Life” oppure “Nothing To Do With Love” da “Tough” o ancora “Dirty Water”. Ma ripesca anche una pagina del passato come “Nature’s Disappearing”, apparsa nell’album “Usa Union” del 1970 e qui estesa lasciando libero corso agli assolo di Athas che, purtroppo, ci fanno rimpiangere quelli di Harvey Mandel presenti nell’edizione originale. Del resto Mayall è sempre stato un leader generoso e chiama spesso gli applausi e gli interventi dei suoi musicisti. Dopo un’ora e quaranta di concerto, richiamato sul palco e ripesca dal passato “Hideaway”. In apertura hanno suonato i Cyborgs, duo italiano con il loro consueto abbigliamento alla Bob Log III e una manciata di riprese suonate con troppa uniformità, da “Still A Fool”, “Rolling And Tumbling”, la loro “Cyborg Boogie” e una “You Got To Move” invero non proprio indimenticabile.

 

 

Matteo Bossi e Marino Grandi

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